Dagli esordi di Broadway a oggi, il musical ha vissuto più di centocinquant’anni di storia: la nostra storia, fatta di teatro, film, e musica.
Forse il teatro in Italia non gode della stessa popolarità che ha in altri Paesi. Forse, per via della nostra tradizione operistica, il musical è ancora visto come qualcosa di troppo lontano dalla nostra cultura. Eppure, partendo da Broadway, questo genere teatrale si è diffuso nel mondo e ha raggiunto anche il nostro Bel Paese. Numerosi sono gli spettacoli importati dai paesi anglosassoni a beneficio del pubblico italiano. Non mancano inoltre alcune produzioni teatral-musicali autoctone: da Aggiungi un posto a tavola a Notre Dame de Paris, questi spettacoli sono ormai entrati di diritto a far parte della nostra cultura popolare.
Ogni anno, quasi trenta milioni di persone provenienti da tutti il mondo si recano a Londra o a New York per assistere a un musical. Musical che vanno in scena otto volte a settimana per mesi, anni o, in alcuni casi, decenni. Basti pensare che Les Miserables, il musical più longevo al mondo, va in scena ogni sera nel West End (il quartiere dei teatri di Londra) dal 1985, con due sole interruzioni di qualche mese in quasi quarant’anni di repliche. Tuttavia, fin dall’introduzione del sonoro nel cinema, le versioni cinematografiche degli spettacoli di maggior successo danno la possibilità di avvicinarsi al genere anche a chi non abbia mai assistito a un musical dal vivo. Per non parlare di brani incisi da cantanti di fama internazionale e diventati vere e proprie hit, spesso senza nemmeno che il grande pubblico fosse a conoscenza delle origini teatrali di quelle canzoni.
Insomma, che si sia appassionati del genere o no, il mondo del musical ha, talvolta anche a nostra insaputa, fatto incursione nelle nostre vite e molti momenti della sua storia sono diventati parte del nostro bagaglio culturale.
Dagli esordi all’età dell’oro
Nato a Broadway nel 1866 con la prima rappresentazione di The Black Crook, il musical inizia a prendere forma negli anni Ottanta dell’Ottocento. Tra i principali produttori del periodo, Harrigan e Hart mettono in scena spettacoli che parlano di vita quotidiana newyorkese, puntando per la prima volta sulla qualità del cast artistico. D’altronde, fin dal principio, i sempre più spettacolari numeri musicali e coreografici rivestono un ruolo di assoluta centralità nell’economia delle rappresentazioni. Le vicende narrate, arrangiate in trame spesso appena accennate, fungono infatti quasi da pretesto per l’inserimento degli stessi. Numeri che si pregiano delle firme di una schiera di talentuosi compositori, parolieri e librettisti.
Se, da un lato, il genere riscuote quindi un notevole successo fin dai suoi esordi, tra gli anni Venti e Cinquanta il musical di Broadway vive una vera e propria età dell’oro. Le trame si fanno via via più strutturate, le tematiche diventano più impegnate e, senza rinunciare alla spettacolarità che lo caratterizza, il musical si trasforma in molto più che una semplice forma d’intrattenimento. Con l’evoluzione del genere, vedono la luce prodotti di altissimo livello, in grado di anticipare di decenni il musical maturo. Uno su tutti, Showboat (1927) di Kern e Hammerstein, ancora oggi considerato uno dei più grandi musical di tutti i tempi.
Nei decenni a seguire, alle opere drammatiche, spesso definite musical play (tra tutti, i capolavori di Rodgers e Hammerstein: Oklahoma, The King and I e The Sound of Music), si alternano spettacoli più leggeri (Kiss Me Kate, Guys and Dolls), che per il pubblico fungono da antidoto alla Grande depressione. Dalla commedia brillante My Fair Lady di Lerner e Loewe, al celeberrimo dramma a sfondo sociale West Side Story di Bernstein, su testo di Laurents e parole di Sondheim, Broadway continua a sfornare grandi successi.
Da Broadway a Hollywood, al resto del mondo
Già a partire dagli anni Venti, il genere si diffonde nel resto degli Stati Uniti e alcuni spettacoli di Broadway cominciano ad approdare nei teatri del West End. È tuttavia l’avvento del cinema sonoro a dare il maggiore contributo all’esportazione del genere nel mondo. Il primo film sonoro, The Jazz Singer (1927) è infatti proprio un musical! E mentre il musical sbarca a Hollywood, i suoi brani più famosi iniziano a diffondersi in Europa anche attraverso la radio e i dischi.
Grazie a un’accorta politica commerciale adottata tanto dai teatri di Broadway, quanto dall’industria cinematografica, i due mondi escono indenni dalla Crisi del ’29 e vivono, proprio in quegli anni, il periodo di massimo splendore della propria storia. In questo contesto particolarmente favorevole, nasce quindi un sodalizio che dura tutt’oggi e che consente da quasi un secolo il susseguirsi tanto di trasposizioni di già rodati successi teatrali, quanto di veri e propri musical cinematografici creati ex-novo. E, pur nell’infinità di trasposizioni, remake, e opere originali, è impossibile non citare Grease (1978), tratto dall’omonimo spettacolo teatrale del 1971 e interpretato da John Travolta e dalla recentemente scomparsa Olivia Newton-John, come vero emblema della categoria.
Tratti da opere letterarie, commedie teatrali, o ispirati alla vita di personaggi di rilievo, i soggetti del musical cinematografico sono gli stessi del musical teatrale. Se però il musical teatrale è sottoposto ai limiti del realismo, come ci dimostra Damien Chazelle nel suo La la land (2016), l’unico limite imposto ai musical cinematografici è la fantasia del regista. Allo stesso tempo, molti degli interpreti e dei professionisti coinvolti nella creazione dei film sono di fatto presi in prestito dai palcoscenici di Broadway. Basti pensare all’immensa Julie Andrews, “nata” a teatro e poi protagonista di film iconici come Tutti insieme appassionatamente (The Sound of Music) e Mary Poppins.
Declino di Broadway e British invasion
Dopo lo splendore dei decenni precedenti, gli anni Sessanta marcano l’inizio di una fisiologica fase di stallo del musical di Broadway. Fase che vede, ciononostante, la produzione di ancora validissimi prodotti come Cabaret, A Chorus Line, e All That Jazz. Per non parlare delle opere di Sondheim, geniale compositore dalle complesse linee melodiche, che firma le musiche di spettacoli quali Follies, Sweeney Todd e Into the Woods. Il neonato rock’n’roll catalizza, tuttavia, l’attenzione del pubblico e il musical, lento nell’integrare una tale innovazione musicale nel proprio sostrato, accusa una perdita di popolarità. La produzione di Hair (1968), opera di contestazione vicina ai giovani per stile e tematiche, arriva infatti forse troppo tardi per risollevare le sorti del musical statunitense. E Broadway, nell’inaugurare la stagione del musical rock, finisce ugualmente per passare (temporaneamente) il testimone a Londra, ormai capitale indiscussa del musical europeo.
A Londra assistiamo infatti alla rinascita del grande musical, grazie a una nuova generazione di compositori, primo tra tutti Andrew Lloyd Webber. Capace di combinare lirica, rock ed elementi del musical tradizionale, l’autore compone musical del calibro di Jesus Christ Superstar (1971), Evita (1978), Cats (1981), e The Phantom of the Opera (1986), garantendo ai propri spettacoli produzioni di prim’ordine. Le sue opere più famose diventano inoltre film spesso in grado di replicare il successo ottenuto dal vivo. Un successo che va oltre il teatro: chi non conosce canzoni come Memory di Barbra Straisand o Don’t Cry for Me Argentina di Madonna? Con Claude-Michel Schoenberg e Alain Boubil, inoltre, prendono vita Miss Saigon (1998) e, soprattutto, il già citato Les misérables (1987).
Broadway accoglie i nuovi prodotti d’Oltreoceano e, producendoli a sua volta nei propri teatri, recupera la popolarità perduta, con gli interessi. La società globalizzata favorisce infatti l’afflusso di un pubblico quanto mai vasto.
Dagli anni Novanta a oggi
Sulla scia della cosiddetta “British invasion”, il West End continua a produrre alcuni dei più apprezzati musical di sempre, tra cui i famosissimi Rent (1996) e Wicked (2003), prontamente rilanciati a Broadway. Lo scambio tra i due principali palcoscenisci del genere diventa infatti sempre più frequente e quasi strutturale e, al contempo, iniziano a emergere prodotti provenienti da Paesi non anglosassoni. In Austria, ad esempio, va in scena Tanz der Vampire (1997), con musiche di Jim Steinman e libretto di Michael Kunze. In Francia, invece, Riccardo Cocciante crea, insieme al librettista Luc Plamondon, Notre Dame de Paris (1998), opera popolare che, per la sontuosa produzione del grande David Zard, approda in Italia nel 2002, con libretto di Pasquale Panella. Tradotto poi in diverse lingue, lo spettacolo va in scena in più di venti Paesi, collezionando più di tredici milioni di spettatori totali.
Intanto nel mondo anglosassone, ogni argomento, film, o vicenda diventa “degno” di essere messo in musica e trasformato appunto in un musical. Tanto che alcuni critici sostengono che la quasi automatica trasposizione in musical di film di successo – soprattutto se targati Disney – stia a poco a poco trasformando i musical di Broadway e West End in attrazioni turistiche, più che in forme d’arte.
Accanto a questa tendenza, tuttavia, negli ultimi anni si riscontra ancora la presenza di un filone di musical originali e jukebox musical che trattano temi spinosi di attualità e di interesse sociale senza mezzi termini, come Spring Awakening (2006), Next to Normal (2009), il controverso Dear Evan Hansen (2015), il londinese Everybody’s Talking About Jamie (2017), e Jagged Little Pill (2018).
Cristina Resmini