Il rapper emiliano Murubutu canta la disabilità restituendo una voce e una storia a chi è considerato “diverso” per il proprio handicap.
Murubutu canta la disabilità – “Ma sono uguale davvero?” si chiede Marco, ragazzo sordomuto, sentendosi isolato dagli altri. Con i suoi dubbi, la solitudine e i sogni, Marco è uno dei protagonisti dei pezzi di Murubutu. Come vedremo, il rapper, coniugando le tecniche del genere con uno storytelling straordinario, riesce a restituire ai “diversi” una voce troppo spesso negata.
Il professor Alessio Mariani, lo sciamano Murubutu
Docente di Storia e Filosofia al Liceo Matilde di Canossa di Reggio Emilia, Alessio Mariani sembra avere poco in comune con lo stereotipo del rapper. Niente catene, niente slang, niente esaltazione autoreferenziale: i suoi testi dialogano coi romanzi realistici russi e francesi, con eventi storici, con problemi filosofici. Come affermava nel 2016 in un’intervista su Repubblica, Mariani è convinto che la musica possa curare ferite individuali e sociali. Per questo ha scelto di seguire la sua vocazione di insegnante anche attraverso il rap. La sua intenzione è nitida:
“vorrei poter contribuire, nel mio piccolo, alla emancipazione culturale dei giovani”.
Per questo artista la musica è uno strumento di indagine e di trasformazione del mondo. Il nome d’arte che Mariani ha scelto, Murubutu, è conforme a questa intenzione. Esso rimanda al marabutto, figura che nell’Africa sub-sahariana ha il potere – con l’aiuto di certi talismani – di risanare l’equilibrio individuale e sociale perduto.
“Rap-conti” come talismani
I talismani di Murubutu sono fatti di parole e musica: sono “rap-conti” che intrecciano letteratura, sapere scientifico e saggezza popolare. Essi hanno il potere magico di “disvelare” la realtà, di permettere uno sguardo inedito su ciò che ci circonda. Come? Principalmente con il loro essere storie di vita. Attraverso uno storytelling sorprendente, questi rap-conti ci costringono a decentrarci, a lasciare la sicurezza della nostra pelle per sperimentare le vite degli altri. La vita di Gino, denunciato da un compagno di scuola perché staffetta partigiana e assassinato dai nazisti. O quella di Matteo, talentuoso pianista orfano che per seguire il proprio sogno di giorno frequenta il conservatorio e di notte vive da senzatetto. O, ancora, quella di Laura e Dino, che vissero un amore più forte del secondo conflitto mondiale e dei campi di concentramento.
Murubutu canta la disabilità
Per la maggior parte, i pezzi di Murubutu parlano di vite ai margini. Ai margini della Storia o della società, ma anche ai margini del nostro sguardo: vite che passano inosservate perché non proviamo a scoprirle. Come la vita di Giulia, giovane ballerina professionista cieca, o quella di Marco, ragazzo sordomuto che nel mare ha tutto il suo mondo. Nel raccontare i giudizi e i pietismi che i ragazzi affrontano, Murubutu denuncia l’abitudine mentale di ridurre l’identità del disabile al suo handicap. Come fa dire a Marco:
“tutto quello che non puoi te lo ha tolto lo stigma”.
Ma il rapper non si limita a denunciare questa tendenza. Murubutu canta la disabilità dei protagonisti come un modo alternativo di sperimentare il mondo: è questo che rende tanto potenti e significativi i pezzi. Giulia nella danza si lascia guidare dal vento e dal tatto e questo fa di lei una ballerina unica. Marco osserva e comprende l’ambiente marino come nessun altro, perché sott’acqua la sua condizione lo avvantaggia. Ben lungi dall’essere soltanto persone a cui manca qualcosa, Giulia e Marco sono ragazzi che sognano, che amano, che s’interrogano e si mettono alla prova. La narrazione di Murubutu spezza l’etichetta che li imprigiona e ce li restituisce in tutta la ricchezza della loro esperienza.
Antropologi su Marte
Nel 1994 il neurologo britannico Oliver Sacks pubblicava un libro dal titolo curioso: Un antropologo su Marte. In esso erano raccolti sette casi di studio che mostravano come la straordinaria plasticità del cervello lo renda capace degli adattamenti più impressionanti. Secondo Sacks,
deficit, disturbi e malattie possono avere un ruolo di paradosso, portando alla luce risorse, sviluppi, evoluzioni e forme di vita latenti che, in loro assenza, potrebbero non essere mai osservati e nemmeno immaginati. Questo è il paradosso della malattia, il suo potenziale creativo. Pur distruggendo particolari vie, certi modi di fare le cose, la malattia può forzare il sistema nervoso ad aprire nuove strade e ad escogitare nuovi modi, inducendolo a crescere e ad evolvere in maniera inaspettata.
Da lettore di Sacks, Murubutu fa propria questa prospettiva e canta la disabilità sfidando l’ascoltatore ad adottare uno sguardo diverso, critico verso le etichette. E con versi semplici, quasi ovvi, come “non è vero, sai, che i ciechi sognano il buio” compie un’operazione fondamentale. Ci ricorda, cioè, quanto sia importante riflettere sullo sguardo che posiamo sugli altri. E sui racconti che di questo sguardo sono il frutto.
Valeria Meazza