Ho provato ad erigermi tanti muri alle spalle.
Volevo alienarmi da te, sentivo il tuo alito sporco sul collo, e i tuoi infiniti sguardi lungo il perimetro delle mie cosce. Ma non si trattava di sesso, io ero semplicemente una sporca pakistana, e tu un uomo bianco. Il vento soffiava ininterrotto, provocandomi lunghi spasmi respiratori e una catena interminabile di brividi lungo la mia schiena.
E’ stato quello il primo momento in cui mi sono sentita realmente stupida.
A che serve nascondermi dietro muri ideologici, fisici, di cemento, mattoni, quando le mie ferite dentro continuano a sanguinare? A che serve dividersi quando l’uomo già da secoli non fa altro che alienarsi, soffocando anima e corpo dietro a km di filo spinato?
Quando la solitudine diventa palpabile e l’intolleranza si arrampica lungo le nostre gote, come quelle calde lacrime che non abbiamo mai versato, è chiaro che stiamo camminando in punta dei piedi lungo l’orlo di un collasso.
Pupille intonacate, scrostate, sporche.
Pupille che riflettono ciò che abbiamo davanti a noi: muri e ancora muri.
Migliaia di km di cemento e filo spinato, talvolta così simili da sembrare tutti uguali. Sono quei muri che vengono eretti continuamente, alcuni a momenti crollano, altri sono in costruzione, ma tutti hanno come sfondo uno spiacevole tramonto rosato tinto di razzismo, odio religioso, dibattiti economici, dispute politiche.
Eppure, la sera, abbandoniamo le palpebre pesanti al sonno tutti sotto lo stesso cielo.
Adempiendo a pieno il loro infelice compito questi muri riescono a fare una sola grande cosa: dividere il mondo.
Sulla nostra pelle si stanno aprendo milioni di ferite tutte uguali, e il sangue scorre a fiumi accompagnato da lacrime e sudore; è così che i muri che credevamo di aver abbattuto ricompaiono lungo i nostri confini, mattone dopo mattone, odio su odio.
Ma la costruzione di muri e muraglie risale ormai dalla notte dei tempi… Di cosa mi stupisco? Da quando per proteggere un popolo si innalzavano grandi barriere di pietra, al fine di arginare gli eserciti vicini.
Il muro più lungo del mondo è chiaramente quello che corre lungo il golfo di Liao-Tung fino al Tibet, delineando un grandioso confine con la Cina. Si dice abbia un’altezza variabile dai 4,5 ai 12 metri, e recenti stime parlano di una lunghezza pari a 21196 km.
Ma esistono anche muri che raccontano, che diventano parte integrante di intere comunità, e capi saldi dell’esistenza delle persone che ci vivono accanto. E’ il caso delle Peace Lines dell’Irlanda del Nord, che già dagli anni 70 separano le comunità protestanti da quelle cattoliche.
Ma esistono davvero dei muri pacifici? La domanda resta aperta.
Continuando la mia infinita ricerca ecco che sbatto violentemente la fronte contro la barriera dell’intolleranza e dell’odio.
Da una parte brilla di luce propria la lussuriosa San Diego, dall’altra rotola nella polvere la città messicana di Tijuana. Una barriera d’acciaio alta tre metri e lunga 22 km, attrezzata di sensori, telecamere ad infrarossi, illuminazione notturna, sismografi che rivelano il movimento, e ovviamente via libera al filo spinato. Il progresso spesso permette all’uomo di innalzare muri taglienti come rasoi.
Decisamente meno tecnologica è la linea verde che separa la Repubblica di Cipro dalla Repubblica turca di Cipro. 180 km di muro che tagliano l’isola a metà.
Ma diamo il via alle danze con i muri anti migranti. Le ferite restano aperte e sanguinanti tra Grecia e Turchia, tanto che il governo di Atene ha preteso lo sperpero di denaro pubblico, per estendere un muro per 150 km, accompagnato addirittura da un fossato.
1000 anni di storia europea, mille tentativi di civilizzazione, strette di mano, ampi sorrisi tra superpotenze, per abbattere quel che restava della vile barbaria. Siamo talmente evoluti che affidiamo compiti noiosi a dei robot di nostra somiglianza, le automobili si guidano da sole, e chiacchieriamo amabilmente con l’altra parte del mondo nello stesso istante. E in tre minuti torniamo a correre nudi per la savana armati di lance e a scavare fossati attorno alle nostre case.
Sei metri di filo spinato separano anche l’Africa dall’Europa, perchè non c’è mai fine al peggio.
E andando un poco più lontano dalle nostre abitazioni non è da dimenticare il vero e proprio muro dell’odio, ultimo residuo di una guerra fredda che in queste zone sembra non essersi mai arrestata: la linea di separazione tra Corea del Nord e Corea del Sud.
Altri punti che macchiano la cartina europea di cemento sono il muro marocchino, e quello ungherese che ha dato il via alla vera e propria moda scissionale: 175 km per 4 metri di altezza, completati da una rete metallica e filo spinato.Così viene spezzata la così detta rotta balcanica, possibile via di fuga per quei popoli martirizzati dalla guerra.
Via libera alle barricate anche tra Pakistan e Afganistan; la Durand line è un muro di lunghezza pari a 2460 km, eretto per porre fine alle contese territoriali tra i due stati che risalgono almeno al periodo coloniale. Una divisione di almeno 482 km separa anche lo Zimbawe dalla Botswana, mentre 230 km di cemento li troviamo anche tra Israele e l’Egitto.
Tornando a noi. L‘Europa s’innalza in palizzate voltando le spalle ad un’unione economica e monetaria che ormai vediamo solo più sulla carta, e frenando una globalizzazione, che un tempo era sinonimo di progresso.
La domanda da porsi a questo punto è:
Moriremo sepolti in un continente vecchio e freddo, schiavi delle nostre ipocrisie e intolleranze?
Si accettano suggerimenti.
Elisa Bellino