Muore Fidel Castro e sogno Che Guevara. Riflessioni sul rivoluzionario
Riuscire a stare sulla notizia non è da me, e questo non mi renderà mai un giornalista. Va detto che di questi tempi è facile essere istantaneamente aggiornati, così come è altrettanto facile dimenticare quello che solo il giorno prima aveva assunto le fattezze di un evento epocale.
Non escludo – anzi sostengo – che questa riduzione ad una “elementarità” della memoria ha deleteri effetti su tutto il nostro essere: dai ricordi ai sentimenti tutto deve essere oltrepassato in fretta; voltare pagina, oggi, significa strappare con veemenza quella appena letta. Anche questa è violenza. Per fortuna io i libri evito di violarli.
Dimenticare presto, concentrare tutte le sensazioni sul momento per consumarle in fretta va ben oltre la liquidità di Bauman, è piuttosto un incendiare il sentire delegandolo ad una Damnatio memoriae strumentale, messa in atto per pensare il meno possibile, per non sostare con calma sul proprio vissuto. Insomma, rimuovere è meglio che pensare; la fatica resta immane ma è apparentemente breve, agli effetti collaterali ci penseremo quando arriveranno! La poesia dello scorrere della sabbia di una clessidra oggi genererebbe isteria, nonostante resti identico il tempo che scorre in essa.
La morte di Fidel Castro non mi ha stupito, vista la veneranda età, né l’ho considerata la fine di un’epoca già chiusa. In realtà ha prodotto in me un sogno.
Questo sogno è tanto vero quanto ancora lucido in me, e la cosa straordinaria dell’onirico è che tutto quello che in esso “accade” non è mai recepito come “strano”. Nel sogno l’impossibile è accolto come il sorgere del sole … l’ incredibile non è mai “straordinario”.
Nel mio sogno tornava a Cuba Ernesto Che Guevara. Non era morto assassinato in Bolivia, i suoi resti non erano in un mausoleo a Santa Clara. Era tornato e non era invecchiato di un giorno. Non provavo stupore nel vederlo scendere dalla scaletta di un aereo, era lì …. e per me era normalissimo.
Ad di là di ogni interpretazione psicologica ( ho avuto già troppo a che fare con persone alle quali si illuminavano gli occhi indagatori più per i miei strani sogni che per la mia persona e, sinceramente, avrebbero speso meglio il loro tempo se avessero cercato la chiavi di un’anima anziché quelle di un fantasioso inconscio) al mio risveglio non ho potuto fare a meno di riflettere sulla figura del rivoluzionario.
Il rivoluzionario è e resterà condannato ad una “a-temporalità”. Egli è fuori dal tempo e lo resta anche se le sue azioni si realizzano. Le rivoluzioni non possono fare a meno di incarnarsi nella storia per poi tramutarsi quasi sempre in regimi, ma l’uomo in rivolta che dice “No” di Camus ne resta inevitabilmente esiliato, una condanna che, casomai, nella memoria collettiva si tramuterà in leggenda, ma pur sempre una condanna.
Da Spartaco a Thomas Muntzer, da Cristo a Gandhi, da Luther King a Pasolini, tutti coloro che hanno detto no restano delle fratture insanabili, delle ferite sempre aperte nello scorrere del tempo.
Dei tagli netti e lasciati, nel loro inevitabile e drammatico declinare, all’irripetibilità! Certo, li ricordiamo, li citiamo, li ammiriamo, ma restano lì, casomai serigrafati su una maglietta che ci fa sembrare alternativi. Ne seguiamo le gesta e trasponiamo nelle loro vite quello che noi mai faremo e che non ci sogneremo mai di fare, perché ci costerebbe troppo.
Deleghiamo a dei totem diventati polvere un coraggio che non abbiamo, un desiderio di rivolta e cambiamento che, a dirla tutta, in fondo non vogliamo. Pian pianino, col tempo, ci viene facile istituzionalizzarli questi totem, ci costruiamo intorno chiese e culti di vario genere, una sorta di conveniente sublimazione. Far diventare gesta irripetibili e uniche quelle di pochi uomini dotati di coraggio è una gran furbata: significa consegnare all’ assoluta alterità leggenda, e quindi all’impossibilità di far diventare “esempio vivo”, le loro vite. Sono esistenze uniche, irripetibili, dunque non ci è dato seguire le loro orme. Noi siamo semplici uomini, con le nostre ambasce quotidiane: con l’affitto, la famiglia, gli impegni, mica possiamo essere come loro? Poi erano altri tempi. Eh già!
Nonostante i rivoluzionari nascano in ogni epoca e li ammiriamo (da lontano) da sempre, il presente non è mai “il tempo giusto”, il meglio è sempre passato e non può tornare.
In fondo Balzac ci mise innanzi a una scomoda, ma incontrovertibile, verità quando scrisse che nelle rivoluzioni vi sono solo due specie di uomini: coloro che le fanno e coloro che ne approfittano, ebbene quelli che ne approfittano campano sempre tranquilli.
Ecco il mio sogno, una dichiarazione nel contempo di pavidità e resistenza, il risorgere onirico di ciò che avrò sempre timore di intraprendere. Un desiderio di rivolta relegato in un profondo che mi rassicura. Un sogno che mantiene sospettosamente giovane e vivo un totem, ma che nasconde la volontà di far morire tutti i miei sogni. Resto in lotta, ho paura, so che non vincerò, ma – nel mio piccolo – anelo ad una straordinaria sconfitta. Ma vi prego, nonostante le mie insuperabili paure – forse perché non ho mai avuto la maglietta del Che -, “lasciatemi dire, a costo di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore . (Ernesto Guevara, el Che)”