Mucha: l’arte come verità e bellezza

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Mucha, l’artista che ha fatto della sua vita il manifesto dei valori fondamentali di verità e bellezza.

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Mi dispiace per chi non potrà andare alla mostra di Alphonse Mucha al Vittoriano di Roma. Mi dispiace perché essendo stata anch’io una spettatrice tardiva, non ho potuto descrivere prima l’emozione che un evento del genere ha suscitato in me e che sono sicura susciterebbe in tutti gli appassionati d’arte e design.

Per fortuna però, ciò che l’artista Ceco ha lasciato come eredità non è solo un insieme di opere in esposizione all’Altare della Patria, bensì una rivoluzione intera per l’arte figurativa, un nuovo mondo di design e pittura insieme, di tecnica, di comunicazione di massa.

Al tempo in cui Mucha si trasferiva dalla Moravia (odierna Repubblica Ceca) prima a Vienna e poi a Parigi, stava cambiando il modo di guardare l’arte:  l’opera iniziava ad essere manifesto di espressione interiore, di comunicazione di massa, di strumento decorativo main stream.

Il lavoro dell’artista non era più quello di ritrarre esponenti della borghesia più benestante o le figlie dei ricchi collezionisti d’arte, ma iniziava a confondersi con quello del pubblicitario, passando tra le mani delle stamperie.

Alphonse Mucha iniziò ad essere famoso tra i salotti parigini quando realizzò il manifesto teatrale per l’opera “Gismonda” interpretata da Sarah Bernhardt per il “Theatre de la Reinassance”.

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Gismonda è il biglietto da visita del talento di Mucha: l’attrice è rappresentata con un ramo di palma in mano, in una posa statuaria e una corona di fiori sul capo. Già compaiono tutti gli elementi dell’Art Nouveau. Ci sono i dettagli floreali e le linee serpeggianti dal tratto deciso, le forme stilizzate riempite da un colore piatto, decorativo, non più strumento di profondità. Il movimento delle figure è reso dall’ intersecarsi vorticoso delle linee circolari che descrivono prima la figura di Sarah e che poi andranno a caratterizzare ogni singola raffigurazione del corpo femminile da parte dell’artista ceco.

Mi sono chiesta cosa abbia ispirato un’arte così inedita e mi è parso di leggere nel tratto di Mucha una chiara influenza orientale nella linea decisa e nella sinuosità delle forme, in combinazione con la ripetizione del motivo decorativo e della ricchezza bizantina dei dettagli preziosi. Le opere di Mucha, soprattutto quelle di oreficeria, ma anche quelle realizzate come manifesti pubblicitari per importanti aziende come la Nestlè e la Möet Chandon, sono ricchissime di pietre preziose e di tinte luminose che risaltano le tonalità pastello degli incarnati e dei fiori, quasi sempre protagonisti assoluti di ogni stampa.

Il Mucha in mostra al Vittoriano è descritto in sei sezioni tematiche. Si ripercorre il lato bohemien – parigino che interagiva con Gauguin e ne condivideva lo stesso studio, si affronta la sezione spirituale massonica che sceglie tonalità più scure e colloca inquietanti figure mistiche alle spalle di ogni soggetto, si apprezza lo spirito patriottico del cuore ceco dell’artista. L’epopea Slava, un ciclo di 20 tele di imponenti dimensioni che avevano lo scopo di descrivere i momenti più importanti del popolo slavo, è il progetto più ambizioso e più toccante dell’intera produzione di Mucha e la mostra ne ha riportato alcuni momenti salienti.

Mucha ha cambiato il modo di concepire la decorazione: l’arte diviene accessibile a tutti tramite le stampe, le carte da parati, la ripetizione in serie degli stessi motivi floreali.

E al contempo, l’arte è denuncia e manifesto pubblicitario, è racconto di una Patria in cerca di riscatto e descrizione di un popolo allo stremo delle forze.

Mucha affresca residenze nobiliari, realizza vetrate per la cattedrale di San Vito di Praga ed espone al Klementinum della stessa città. Arriva a New York, descrive i primi venti anni del nuovo secolo e lo fa con una voce inedita, spettacolare e mai troppo alta da disturbare le orecchie ben pensanti della borghesia.

 

 

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