Ecco tutti i motivi per cui Mr. Robot non può essere considerata un capolavoro.
Tra un mese tornerà negli Stati Uniti la serie rivelazione della scorsa stagione televisiva: Mr. Robot. Dopo la vittoria del Golden Globe le aspettative del pubblico sono altissime, l’hype si sta impossessando di milioni di spettatori in tutto il mondo convinti che questa sia una delle migliori serie degli ultimi tempi.
Ma Mr. Robot merita davvero tutta questa considerazione? Si tratta davvero di un capolavoro? La risposta è semplice: no. Più verosimilmente si tratta di una serie che è riuscita ad intercettare gli interessi del pubblico con argomenti attuali, assurgendo così in men che non si dica a piccolo cult.
La prima stagione di Mr. Robot, infatti, ha tantissimi difetti che vengono solo in parte compensati da altrettanti (seppur notevoli) pregi.
Bisogna essere chiari: la serie distribuita da USA Network è un buon prodotto. Senz’altro sopra la media. I punti di forza sono un ottimo impianto registico che restituisce in maniera originale e convincente il disagio psico-emotivo del protagonista, delle notevoli prestazioni attoriali (a partire dallo stesso protagonista Elliot, interpretato da Rami Malek) e un argomento (quello dell’hacking) affrontato con lucidità e realismo.
Il vero fattore vincente sta, però, nella forte critica sociale che caratterizza la serie, una inarrestabile spinta anarchica che ricorda palesemente la lezione imparata da V per Vendetta.
Di contro, il problema principale della prima stagione di Mr. Robot è prettamente narrativo. La prima parte procede placida affidandosi interamente al carisma di personaggi ben caratterizzati: non solo Elliot, ma anche e soprattutto il personaggio dello stesso Mr. Robot (interpretato dall’ottimo Christian Slater). Le linee narrative si aprono un po’ alla rinfusa puntando sul non detto e su numerosi elementi non spiegati, che dovrebbero incuriosire lo spettatore ma che ci riescono solo in parte.
La seconda parte di stagione si basa su un clamoroso colpo di scena che ha fatto saltare tutti sulla sedia ma che risulta tutt’altro che originale e che crea dei buchi narrativi inspiegabili se non attraverso il trucco del narratore inaffidabile (quale Elliot senz’altro è). Tutto, infatti, ruota intorno alla soggettività distorta del protagonista, alla voce fuori capo che accompagna le sue paure e le sue scelte. La realtà non è mai quella che sembra e questo fa comodo agli autori, ma non basta a giustificare le numerose mancanze e i vuoti della sceneggiatura.
Inoltre la prima stagione si conclude con un episodio che ho trovato parecchio deludente, che velocizza di colpo il tempo del racconto e che confonde laddove vorrebbe stupire.
Tante imperfezioni che rendono questa serie, a mio parere, una delle più sopravvalutate dell’ultimo periodo, ma che non riescono a cancellarne gli aspetti innovativi e originali.
Mr. Robot resta un prodotto con molto potenziale ma che si approccia a questa seconda stagione come davanti a un bivio: da una parte gli autori potrebbero correggere il tiro, perfezionando le linee narrative e dando una maggiore coerenza al tutto; dall’altra c’è il rischio maggiore: quello cioè di non riuscire a portare avanti il gioco psicologico che tanto ha stupito gli spettatori, arenandosi sull’inaffidabilità dell’intreccio.
In summa, consiglio a chi si è perso questa serie di recuperarla in questo mese che ci separa dal secondo capitolo. Sperando che non si riveli, come purtroppo temo, l’ennesima occasione mancata.
articolo di Carlo D’Acquisto