Nel movimento zapatista messicano, le persone LGBTQ+ hanno trovato un ambiente favorevole, nonostante le discriminazioni all’interno del Paese siano ancora presenti. La trasformazione che ha attraversato il movimento negli ultimi anni potrebbe farlo diventare uno dei gruppi politici più inclusivi e diversificati di tutta l’America Latina.
Panoramica dei diritti LGBTQ+ nel Paese
Attualmente, le persone LGBTQ+ in Messico sono protette da uno status legale anti-discriminatorio: l’omosessualità è stata depenalizzata già nel 1871, dal 2003 una legge federale ha reso illegale qualsiasi discriminazione basata sull’orientamento sessuale e nel 2022 il Paese è approdato alla conquista del matrimonio egualitario tra coppie dello stesso sesso.
I primi Gay Pride in Messico risalgono alla fine degli anni ’70 e le persone transgender hanno diritto al cambio del proprio nome sui documenti ufficiali e l’accesso a cure gender-affirming. In alcuni Stati è anche possibile l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.
Come dimostrano i report ufficiali, il Messico performa abbastanza bene anche per quanto riguarda la tolleranza dell’opinione pubblica nei confronti delle persone queer, nonostante siano ancora frequenti l’utilizzo di slur omofobi ed episodi di violenza anti-LGBTQ+, spesso rimasti impuniti per colpa dell’alto tasso di corruzione nel Paese.
Secondo alcuni studiosi, le discriminazioni sarebbero state introdotte proprio dalla colonizzazione: infatti, all’interno di comunità indigene come quella zapoteca l’accettazione della diversità sessuale è presente da secoli e ciò lo dimostra l’esistenza di un terzo genere, quello delle muxe; si tratta di persone biologicamente uomini che assumono i ruoli sociali e l’aspetto di donne, potendo godere di un ampio grado di rispetto all’interno della società e degli ambienti religiosi.
La situazione nel Paese sta migliorando anche grazie all’influenza, materiale e intellettuale, del movimento rivoluzionario legato alla figura di Zapata, che ancora oggi ispira le sinistre di tutto il mondo con le sue battaglie all’insegna del riconoscimento della diversità.
Storia del movimento zapatista
Lo zapatismo, il movimento armato di ispirazione socialista per la liberazione dei contadini e degli indigeni della regione del Chiapas, affonda le sue radici proprio nel periodo della rivoluzione messicana dei primi del Novecento guidata da Emiliano Zapata, da cui il movimento prende appunto il nome. Le origini del movimento zapatista vanno poi ricondotte alla fondazione, nel 1969 all’interno della città di Monterrey, delle FLN (Fuerzas de Liberación Nacional), la cui scintilla rivoluzionaria arrivò fino alla regione autonomista del Chiapas, nell’estremo sud del Paese, con la creazione ufficiale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), nel 1983.
Pur rifiutandosi di aderire apertamente a uno schieramento politico, è chiaro che lo zapatismo è molto vicino ai principi marxisti e anti-colonialisti in quanto ha sempre lottato contro lo sfruttamento delle comunità autonome e l’autodeterminazione dei popoli indigeni, identificando nella lotta armata la principale modalità per raggiungere i propri scopi.
Il movimento giunge sotto i riflettori nel 1994, quando l’EZLN guidato dal Subcomandante Marcos prese controllo di alcune città del Chiapas, dichiarando guerra allo Stato messicano e opponendosi all’entrata in vigore del NAFTA (con il quale i terreni degli indigeni, i cosiddetti “ejidos”, sarebbero stati frazionati, venduti e privatizzati), alla globalizzazione e all’assenza di eguaglianza per tutti i cittadini del Paese.
Tra alti e bassi, dopo 30 anni il fuoco del movimento zapatista è ancora vivo nel Chiapas: grazie alla formazione dei caracoles, i rivoluzionari zapatisti sono riusciti a raggiungere l’autogoverno, creando sistemi educativi e sanitari gratuiti e permettendo agli indios di poter beneficiare delle risorse e del lavoro della loro terra.
Rivoluzione e diversità sessuale: il caso di Amelio Robles Ávila
La storia di Amelio Robles Ávila è ancora oggi di grande esempio per tutto il movimento zapatista: nato biologicamente donna, all’età di 22 anni decise di compiere la transizione e unirsi al gruppo di rivoluzionari di Zapata, dove raggiunse grande notorietà per le sue doti militari.
Nonostante le avversità dell’epoca, Robles Ávila venne accettato dalla sua cerchia sociale e dai suoi stessi commilitoni, i quali non ostacolarono né il suo desiderio di vestirsi con abiti maschili né la sua decisione di sposare una donna e addirittura erano soliti esaltare la sua bravura sul campo di battaglia.
La vicenda di Amelio Robles Ávila va comunque contestualizzata al periodo storico in cui egli è vissuto, caratterizzato da una cultura fortemente machista e da standard di mascolinità ben definiti a cui Robles Ávila si è tuttavia conformato. Infatti, secondo la storica Gabriela Cano:
Il paradosso è che la riuscita transizione di genere di Robles Ávila ha sovvertito e rafforzato allo stesso tempo l’eterosessualità normativa e la mascolinità stereotipata che lui stesso ha ricreato.
Amelio Robles Ávila fu la prima persona (e soldato) transgender riconosciuta dal governo e trovò nel movimento zapatista proprio la libertà che stava cercando, nonostante la tolleranza per la diversità sessuale non era sempre la norma all’interno del zapatismo.
In ogni caso, ciò dimostra la compatibilità tra i valori del socialismo e quelli legati dell’inclusività della comunità LGBTQ+, due battaglie che non vanno portate avanti separatamente ma trattate come se fossero un’unica lotta per la libertà.
Zapatismo queer
Negli ultimi anni, il movimento zapatista ha esteso la sua lotta al riconoscimento dei diritti civili e sociali di altri gruppi minoritari: i giovani, le donne, le persone più disagiate e soprattutto la comunità LGBTQ+. Già nel 1999, l’Esercito Zapatista partecipava attivamente al Gay Pride e le stesse parole del Subcomandante Marcos dimostrano la peculiare sensibilità del movimento:
Di cosa devono vergognarsi lesbiche, omosessuali, transessuali e bisessuali? Si vergognino coloro che rubano e uccidono impunemente: il governo! Si vergognino coloro che perseguitano i diversi!
Al fine di perseguire una battaglia inclusiva ed equa, il movimento zapatista ha introdotto il concetto di “otroa compañeroas” per indicare la fluidità di genere, includendo così all’interno della propria lotta anche le persone non-binary. Infatti, l’aggiunta della desinenza “oa” designa un’identità che è fuori dal binomio occidentale sesso-genere, molto simile all’uso della schwa (ə) nella lingua italiana.
Nell’immaginario zapatista è molto presente e apprezzata la figura quasi mistica della Magdalena, una donna transgender che appare ai soldati rivoluzionari quando questi sono in pericolo di vita: nel mito zapatista, il membro dell’EZLN Elías Contreras viene intercettato dalla polizia durante una missione ma viene salvato proprio dalla Magdalena, alla quale promette l’apertura di un ospedale dove poter ricevere il corpo che ha sempre desiderato.
Inoltre, sono numerose le testimonianze di donne lesbiche che hanno combattuto tra le prime file dell’EZLN: l’opera “La historia de la Vía Láctea” delle Comandanti Yolanda e Susana è un chiaro esempio di erotismo lesbico all’interno degli ambienti rivoluzionari dove femminismo e celebrazione della propria sessualità si incontrano.
Oggi si può quindi parlare di neozapatismo: il movimento nato per proteggere i diritti dei contadini e delle comunità indigene si è dunque trasformato in qualcosa di molto più vasto, portatore non solo di istanze economiche ma anche sociali e ambientali, cristallizzate nel programma “La Otra Campaña” dedicato ad altre categorie in condizioni di inferiorità.
Attualmente, il movimento zapatista lotta contro il narcotraffico e la conversione dei terreni indigeni in progetti industriali, attivando politiche di welfare in tutta la regione e creando un ambiente inclusivo e sicuro per tutti.