Movimento delle mogli tradizionaliste: benvenuti negli anni ’50

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Movimento delle mogli tradizionaliste. Sembra l’etichetta démodé di una pubblicità appartenente allo scorso secolo o il gruppo di seguaci di Serena Waterford, estrapolato dall’immaginaria Repubblica di Gilead in The Handmaid’s Tale. Invece di finzione non si tratta. Si tratta di donne vere che vivono nel 2020. E il loro è un movimento che, a considerare dal nome che porta, sembra proprio rappresentare il polo opposto del femminismo. E’ il rifiuto del progressismo e di uno stile di vita moderno, l’estrema nostalgia dei valori conservatori.

Paladina del movimento delle mogli tradizionaliste, Alena Kate Pettitt, donna britannica che, dopo un passato nel settore marketing dell’industria cosmetica, ha presto deciso di abbandonare la carriera per dedicarsi completamente al ruolo di moglie e casalinga. Illuminata da questa svolta, ha pubblicato ben due libri in difesa delle buone maniere e del bon ton casalingo. Nell’ultimo anno ha portato avanti la cultura della “traditional housewife”,  condividendo online i suoi precetti per diventare una perfetta custode del focolare.

Movimento delle mogli tradizionaliste: il profilo della perfetta regina di un gineceo conservatore

Per presentarsi, nel suo sito web, si descrive così:

Quando non sto facendo il bucato, bevendo thè, dando lezioni ai miei figli, o cucinando qualcosa di delizioso, allora potete trovarmi immersa a scrivere riguardo allo stile di vita tradizionalista, a curare l’orto o a stalkerare la famiglia reale.

La rappresentazione di un quadretto sereno che riporta ad un’antica visione della donna custode del focolare, tanto comune nell’immaginario collettivo anni ’50 quanto stridente e superficiale nella realtà di oggi.

Intendiamoci però, prima di affrettare sentenze, nessuno deve commettere l’errore di giudicare le aspirazioni e le aspettative personali altrui. Se vogliamo lottare per permettere che una donna possa ambire alla posizione di manager di un’azienda internazionale, con la possibilità di guadagnare tanto quanto un uomo nella medesima posizione, allora dobbiamo lottare anche per lasciare che una donna possa decidere autonomamente di fare la casalinga. E in entrambi i casi, dobbiamo conferire loro la stessa dignità.

Sottomettiamoci ai mariti e viziamoli come se fossimo nel 1959

Sono asserzioni come questa ad annientare quella dignità. In un’intervista, è stata la stessa capofila delle Trad Wife a dire che per lei il significato della parola sottomissione si basa sui principi della Bibbia.Mio marito è il capitano della nave. Non possono essercene due.”

Qui non è in discussione il semplice desiderio di una donna di fare la casalinga, bensì il desiderio di ritornare ad uno stile di vita tradizionale e conservatore. Un desiderio pericoloso e svilente nei confronti dell’estenuante cammino di emancipazione che le donne hanno dovuto – e tuttora devono – affrontare. Un sentiero tortuoso ostacolato dall’irriverente presenza di stereotipi sociali ed aspettative di genere.



“Siamo donne che scelgono di mettere al primo posto la casa e la famiglia. E non la carriera come tutto il mondo vorrebbe.” – afferma la Pettitt

Secondo questa affermazione è dunque fondamentale il concetto di scelta. Oggi, poter scegliere di fare la casalinga significa avere alle spalle un sistema di supporto economico e vivere in un contesto non indigente.
Fino a qualche decennio fa, le dinamiche che rilegavano la donna al gineceo non erano esattamente una questione di scelta. E questo è ciò che Alena Pettitt e tutto il movimento delle mogli tradizionaliste sembrano ignorare.

Ritorno ai valori tradizionali. Ma quali valori, esattamente?

Il ritorno alle dinamiche familiari tradizionali tanto auspicato dalle trad wives, incentrato unicamente sul matrimonio e sulla buona custodia della casa e della famiglia, non è altro che un nostalgico richiamo del patriarcato. Ed è davvero avvilente che siano le donne stesse a richiamarlo. Il movimento delle donne tradizionaliste pecca di immatura inconsapevolezza nel resuscitare l’immagine felice delle donne casalinghe prese dai manifesti anni ’50. Tutto in nome di un ritorno ai valori conservatori tradizionali.

Ma quali sono questi tanto auspicati valori? La reclusione – volontaria o meno – in una casa che è solo nostro compito rendere accogliente?  La centralità di una figura maschile nella propria vita? L’inevitabile dipendenza economico-sociale dal proprio marito?
Non c’è niente di valoroso in un sistema radicato da secoli che ha permesso alla nostra società di relegare la figura femminile alle mura di casa, senza darle alcuna possibilità di scelta. Una scelta che invece le trad wives hanno potuto fare, decidendo di occuparsi unicamente della propria famiglia.

Sostenere i valori familiari tradizionali contro lo stile di vita moderno non vi rende persone migliori

Per quanto il movimento delle mogli tradizionaliste si mostri come l’alternativa felice allo stile di vita moderno, sentire che la propria felicità appartenga alla casa e che il ruolo del proprio marito sia quello predominante, non è altro che il risultato intrinseco della retorica patriarcale. Una retorica che ha propinato alla donna un unico valore, quello che nasce in funzione della sua vita familiare. Prima moglie, madre, casalinga e di conseguenza donna. Una narrazione distruttiva e anacronistica, che non può essere addolcita dall’estetica vintage e fiabesca della casalinga esemplare.

Secondo il movimento delle mogli tradizionaliste è giusto mettere il proprio marito prima di ogni altra cosa e lasciare che sia lui a guadagnare la pagnotta

Questi sono altri due dei precetti che racchiudono lo spirito conservatore del movimento, diffusi come pozioni magiche per un matrimonio felice e di lunga durata, unica fonte di gioia nella vita di una donna. Non c’è nulla di felice in questo. Né per la donna, né per l’uomo.

Mai come oggi ne abbiamo la dimostrazione. In un periodo storico notoriamente complesso dal punto di vista lavorativo, non di rado è la donna a portare maggior sostegno economico alla propria famiglia. Ed è anche per questo che si è battuto il femminismo: assecondare la possibilità di donare un equo contributo, a prescindere dal genere di appartenenza. Ed è questa la via del progresso, guardata con tanto sdegno dalle mogli tradizionaliste. Se loro vogliono continuare a volgere lo sguardo incosciente alla condizione femminile passata, possono farlo.

Ma voi tra gineceo e libertà, cosa preferite? Il 1959 è terminato da un pezzo e non ci vogliamo ritornare.

Carola Varano

 

 

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