Sono gli anni 60. La tensione della guerra fredda divide l’Europa e il globo con la sua cortina di ferro.
URSS e USA, superpotenze dell’epoca, sono in maniera più o meno diretta, coinvolte in numerosi conflitti. Dalla loro contrapposizione nascono alleanze che spingono quasi l’intero mondo a prendere una posizione: o con la NATO o con il Patto di Varsavia.
Quasi; perché nel 1961 nasce il movimento dei paesi non allineati
Non tutti i Paesi scelsero infatti di aderire ad uno dei due blocchi: 25 nazioni di Africa, Asia e America Latina rifiutarono qualsiasi ordine coloniale predominante per rimanere indipendenti.
Furono per primi, il presidente jugoslavo Josip Broz Tito, il suo omologo indonesiano Sukarno, il premier indiano Nehru e il leader della Repubblica Araba Unita Gamal Abd el-Nasser a compiere questa piccola quanto straordinaria rivoluzione per le relazioni internazionali dell’epoca. Diedero infatti vita, con il primo vertice del movimento dei paesi non allineati, al terzo mondo. Un’alternativa concreta all’opposizione dicotomica.
Fu la conferenza di Bandung, in Indonesia, nel 1955 a tratteggiare i contorni del NAM. Membri principali furono la Jugoslavia, l’India e l’Egitto.
Dall’1 al 6 settembre 1961 i contenuti dall’orlo assunsero consistenza con il primo vertice di Belgrado. Un successo storico: ben 25 paesi, compresi Cuba, Etiopia, Arabia Saudita, Libano e Cipro, avviarono ufficialmente i lavori di un movimento alternativo, dichiaratamente contrario a colonialismo, imperialismo e neocolonialismo. Il 1964 è l’anno del vertice successivo che al Cairo riunì 46 nazioni, molte tra le quali Africane, fresche d’indipendenza. Qui il conflitto arabo-israeliano fu tra i principali argomenti di discussione.
Ad oggi gli Stati a considerarsi non allineati con, o contro, le principali potenze mondiali sono 120 a cui si aggiungono 17 Stati osservatori. Tale formazione racchiude al suo interno oltre due terzi di tutti gli Stati del mondo.
Una squadra potenzialmente invincibile
Alla guida attualmente vi è, in qualità di segretario generale, İlham Əliyev, presidente dell’Azerbaigian. Il suo incarico terminerà quest’anno: la presidenza ha una durata di tre anni.
25-26 ottobre 2019 è la data dell’ultimo summit, il quale ha dovuto contare il suono di diverse assenze: Argentina, Jugoslavia (sospesa nel 1992 in seguito all’effettiva dissoluzione del paese), Cipro e Malta ( queste ultime uscirono entrambe dal Movimento con l’adesione all’Unione Europea)
Cosa resta oggi del movimento dei paesi non allineati?
Permane senza alcun dubbio, l’interiorizzato valore di resistenza del movimento. Espressione della volontà esplicita di contrastare nettamente i tentativi d’egemonia economica e politica degli Stati Uniti. Perdura il suo ruolo da promotore della coesistenza pacifica su grande scala, attraverso l’appoggio alle sovranità e alle integrità territoriali. Sopravvive insomma l’obiettivo iniziale, ma esso deve ora adattarsi a contesti e sfide assai differenti.
L’incontro a Belgrado del 2021, in piena era Covid, nonostante la sottovalutazione riservatagli dalla scena internazionale, è estremamente significativo per ipotizzare il futuro del movimento.
A sessant’anni dalla prima volta, i Paesi non allineati si sono, in questa occasione, riuniti per due giorni nel luogo dove vennero cuciti i primi lembi.
Rilanciare l’esigenza del multilateralismo è stato il tema portante, per numero e tipologia rispecchiato dai partecipanti all’evento. Tra i presenti: il ministro degli Esteri russo Lavrov, il cui paese ha lo status di osservatore, il ministro degli Esteri turco, il figlio dell’ex fondatore Nasser e i 500 delegati dei Paesi membri, dei Paesi osservatori e delle organizzazioni internazionali.
“L’ Azerbaigian non risparmierà sforzi per rafforzare il ruolo del Movimento di fronte alle sfide globali nelle relazioni internazionali e per difendere la giustizia e il diritto internazionale”
così in apertura Aliyev ha accolto i membri.
Ne è fuoriuscita l’immagine di un movimento spostatosi alla medesima velocità del processo di decolonizzazione, che nel percorso ha trovato il sostegno di altre ideologie come panafricanismo, afroasiatismo e panarabismo. Al contempo è possibile leggere in tale fotografia quanto indispensabile sia un adeguamento a nuove prove, come la lotta alla crisi climatica e pandemica.
Sull’emergenza sanitaria
In merito a quest’ultima, ancora Aliyev, si è detto contrario al nazionalismo dei vaccini, accompagnato dalla voce del presidente serbo Vucic. Ques’ultimo ha sostenuto quanto la pandemia abbia dimostrato che nessun Paese è un’ “isola sperduta”. In riferimento alla campagna vaccinale (evolutasi in maniera estremamente lenta e con poche scorte in Africa) per Nana Akufo Addo, presidente del Ghana, molte nazioni sono ancora troppo dipendenti dalle grandi potenze.
Per Abdulla Shahid, ex presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Movimento è “la chiave di volta del sistema multilaterale mondiale”, nonostante il mutamento del contesto in cui esso si muove.
Il movimento dei paesi non allineati possiede ancora rilevanza politica?
Sono state realizzate 17 conferenze nella storia dell’organizzazione. Ognuna ha prodotto l’approvazione di dichiarazioni indispensabili al mantenimento della pace, allo sviluppo economico delle nazioni e alla difesa del multilateralismo. Ma come scriveva nel 2016 Harsh Pant Vice Presidente all’Observer Research Foundation di New Delhi e docente di relazioni internazionali, il «Movimento dei Non Allineati, un tempo potente blocco di Nazioni indipendenti, sta morendo e nessuno manda fiori».
È da allora che il peso del Movimento appare superficialmente effimero, neanche minimamente paragonabile a quello assunto durante la guerra fredda.
Eppure paradossalmente, l’analisi approfondita permette di considerare lo scenario “guerra in Ucraina” e la correlata ripolarizzazione del mondo in due campi come un’occasione unica nel suo genere.
I non allineati devono trovare un ruolo terzo per evitare di finire annegati.
Tale necessità sembra essere stata da loro compresa e acquisita. E il resto del mondo, a differenza di quanto accaduto con la situazione pandemica, si trova costretto a guardare, capire ed ascoltare.
L’uganda, ad esempio, in merito alla guerra della Russia in Ucraina, si è astenuta sulla risoluzione di Marzo 2022 dell’assemblea generale delle Nazioni Unite. Il rappresentante permanente del paese presso le Nazioni Unite ha giustificato:
«In qualità di Presidente entrante del Movimento dei Paesi Non Allineati , la neutralità è chiave. L’Uganda continuerà a svolgere un ruolo costruttivo nel mantenimento della pace e della sicurezza sia a livello regionale che globale»
La stessa risoluzione, poi approvata, ha inoltre deluso molti osservatori europei dell’Africa per il loro voto. Dei 35 Paesi che hanno votato per l’astensione nella risoluzione dell’UNGA, 28 sono membri del Movimento dei Paesi Non Allineati.
È il primo atto di rinascita dei Non Allineati
Ritagliarsi uno spazio apposito esterno al conflitto che possa far accomodare tutti coloro che optano per l’astensionismo.
Nello stesso voto di marzo anche l’India è tra i paesi che non hanno votato e le affermazioni del Ministro degli Esteri indiano, Jaishankar, non conoscono ambiguità:
«L’Europa deve uscire dalla mentalità secondo cui i problemi dell’Europa sono i problemi del mondo, ma i problemi del mondo non sono i problemi dell’Europa»
Le carenze strutturali e organizzative insite al movimento permangono e rallentano la sua evoluzione: non c’è costituzione formale, né segretariato, consenso univoco, manca un blocco elettorale nella Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Eppure il loro rifiuto odierno di condannare fermamente e convintamente, al pari di qualunque paese satellite agli Stati Uniti, l’attacco Russo, è innegabilmente espressione di un significativo ritorno.
Lo scrive Kifukwe, analista politico dell’European Council on Foreign Relations, in contrasto con quanto si affermava 6 anni fa: «Il Movimento dei Non Allineati è uno dei più grandi forum internazionali del mondo».
Circa il 60% della popolazione mondiale è rappresentata da esso: si tratta di 4,7 miliardi di persone. Se a queste si vogliono addizionare le popolazioni dei 17 Paesi osservatori (incluse Cina, Brasile, e Ucraina) il risultato indica un potenziale altamente eloquente, siamo a circa l’82%: 6,39 miliardi di persone.
Lo sviluppo di una forte autocoscienza e la consolidazione di un’ossatura ancora troppo fragile, potrebbero rendere il NAM un esemplare forse unico, di multilateralismo efficace.