Anche grazie al coraggio di Greta Thunberg, i movimenti ambientalisti sembrerebbero oggi imprescindibili interlocutori del dibattito politico.
Ma quanto di quel che portano avanti viene preso seriamente dai governi? E in cosa difettano nella loro efficacia?
Ce ne parla Emiliano Garonzi, coordinatore gruppo pro-intersezionale di attivismo animalista, collaboratore per Vegan Justice League ed ex referente locale di Fridays for Future.
Emiliano, tu hai fatto, e fai ancora parte, di più movimenti ambientalisti: cosa puoi dirci al riguardo?
Ci sono aspetti che li accomunano e altri che li distinguono. La maggior parte dei movimenti ambientalisti, per esempio, avanza le stesse richieste generali, ma a mio parere senza davvero interrogarsi sul come. Se le richieste che rivolgiamo al governo ci rappresentano in quanto movimento, queste devono avere delle messe in pratica immediate, e non prendere la forma di promessa a lungo termine.
Oggi l’obbiettivo principale è contrastare la crisi ecologica. Un’idea inclusiva, divulgabile, di facile presa, concepita in parte per raggiungere un numero di persone sufficiente a innescare un cambiamento sociale proveniente dal basso, concetto noto anche come “massa critica”. Ma un’opposizione generale alla crisi ecologica rischia di ridursi a un nulla di fatto: è tanto inclusiva da andare bene al pubblico quanto a chi ci governa.
Le vaghe idee di un mondo migliore non costano quasi nulla, né a chi le propone né a chi le accoglie: sono i progetti definiti nel tempo, nel modo e nello spazio a costare caro.
Quali differenze hai riscontrato tra i vari movimenti ambientalisti?
La principale differenza consiste nel senso identitario di ciascun movimento. Per portare alcuni esempi: Fridays for Future è tendenzialmente un gruppo di giovanissimi, sotto i 25 anni; in Extinction Rebellion troviamo persone tra i 25 e i 60 anni, tipicamente progressiste; altri gruppi ecologisti poi sono di natura squisitamente politica (in senso stretto); altri abbracciano non la sola causa ecologista, ma anche altre importanti lotte sociali. Qualsiasi sia la declinazione specifica, le modalità di rapporto, le ideologie e l’età sono componenti chiave nell’identità di un gruppo.
Sebbene la creazione di un’identità di gruppo sia un fenomeno del tutto naturale, nel medio e lungo termine trovo che questo inneschi un processo di irrigidimento identitario che rischia di rendere manipolabili gli attivisti stessi.
In che cosa consiste più precisamente questo “processo di irrigidimento”?
Nella genesi di qualsiasi movimento, i fondatori decidono le coordinate politiche, ideologiche e attuative del movimento. Quando il movimento si espande e raggiunge più persone, i presupposti iniziali nati da un rapporto diretto fra i membri stessi assurgono a ruolo di simbolo, fossilizzandosi. Così i nuovi arrivati finiscono per essere attratti dall’identità creatasi attorno al movimento, non dalle istanze politiche effettive.
Tu cosa proporresti, come soluzione?
Devo dire che una diffusione anche simbolica della lotta ecologica non è del tutto nociva; ma questo non dovrebbe avvenire attraverso movimenti organizzati con un potenziale politico enorme. In alcuni movimenti ambientalisti c’è la rotazione dei ruoli, che riesce a ridurre il processo di irrigidimento, ma nella mia esperienza questo al massimo è in grado solo di rallentare la fossilizzazione. Il processo iniziale attraverso il quale un movimento cerca dei punti fermi è essenziale, ma a mio parere occorre essere consapevoli di ciò che avviene sotterraneamente col passare del tempo. Occorre saper distinguere gli obiettivi dai simboli identitari, e abbracciare i primi, non i secondi.
Come mai le richieste dei movimenti ambientalisti vengono prese sottogamba dai politici?
Dicevo prima che le vaghe idee di un mondo migliore non costano quasi nulla, né a chi le propone né a chi le accetta. E spesso i politici non sono disposti neppure a pagare quel “quasi nulla”. La politica è un gioco di influenza. E quando ti siedi al suo tavolo senza rappresentare un gruppo di elettorato, non susciti alcun interesse. Il fatto che i politici capiscano o meno quanto dice la scienza sull’emergenza climatica alla fine è irrilevante: i movimenti ambientalisti chiedono loro di adottare strategie da cui non traggono alcun vantaggio politico.
I movimenti ambientalisti sono di sinistra?
Dipende dalla definizione che si dà al termine “sinistra”. Secondo il filosofo Gilles Deleuze, la differenza tra destra e sinistra consiste fondamentalmente nel punto di vista. La destra parte da sé, da quel che le appartiene. E lo difende. La sinistra fa l’operazione contraria. In sintesi, se tu rappresenti la minoranza sei di sinistra, se la maggioranza di destra. Il che costringe la sinistra a una continua lotta per il cambiamento.
Pertanto, tornando alla tua domanda, non necessariamente i movimenti ambientalisti “sono di sinistra” ma certamente tentano di compiere operazioni atte al cambiamento, e in quanto tali, se accogliamo la posizione di Gilles Deleuze, operazioni di sinistra.
Claudia Maschio