La Giornata Mondiale del rifugiato
Diciannove anni fa si è celebrata per la prima volta la Giornata Mondiale del rifugiato, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per commemorare la Convenzione di Ginevra del 1951. Tale convenzione definisce chi è rifugiato, i suoi diritti e le responsabilità delle parti che hanno firmato il trattato.
Ma sul concetto di rifugiato c’è ancora un po’ di confusione: la terminologia dei moti migratori rimane ancora poco chiara e spesso molti termini vengono usati come sinonimi.
Se è vero che tutti i rifugiati sono migranti, non è altrettanto vero il contrario: per evitare fraintendimenti è bene conoscere le varie definizioni.
Nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro. Tutti possono fare la differenza (UNHCR)
Definizioni: i termini generici
Migrante è un termine generico di cui, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, non esiste una definizione universalmente riconosciuta. Un migrante è colui che si sposta da un paese all’altro, o da una regione all’altra (questo lo si tende a dimenticare), al fine di migliorare le condizioni di vita proprie e della sua famiglia.
I migranti possono essere regolari, quando posseggono un documento di soggiorno riconosciuto dall’autorità statale o, in caso contrario, irregolari (ad esempio entrando evitando la frontiera ufficiale o rimanendo sul territorio anche dopo la scadenza del visto).
Il clandestino, altra parola spesso abusata, è un migrante irregolare, sprovvisto di permesso.
In Italia è considerato clandestino quell’individuo che, ricevuto ordine di espulsione, rimane nei confini dello Stato. Dal 2009 la clandestinità costituisce reato: secondo la legge Bossi-Fini del 2002 solo chi è già in possesso di un contratto di lavoro può entrare regolarmente nel Paese. Dal 2014 si discute e si attende una sua depenalizzazione.
Profugo è un altro termine generico, che può indicare chi è fuggito dal suo paese a causa di guerre, persecuzioni o catastrofi naturali. Il profugo spesso è interno, ovvero emigra all’interno dei confini del suo paese, cambiando regione. A differenza del rifugiato, non è in condizioni di chiedere protezione internazionale.
Rifugiati e richiedenti asilo
Rifugiato è un termine che ha un significato giuridico ben preciso e, pertanto, non può essere intercambiato con quello di migrante. Come già detto la sua definizione è contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951. Rifugiato è colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”.
I rifugiati, dunque, arrivano in un paese terzo per chiedere aiuto e protezione.
Richiedenti asilo: sono coloro che, lasciato il proprio paese, inoltrano una richiesta di asilo ad un altro e sono in attesa della decisione delle autorità competenti. A fare questa richiesta è chiunque fugga da guerre, persecuzioni, torture o che sia entrato in Italia in modo irregolare e senza documenti
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge” art.10 comma 3 della Costituzione Italiana
Alcuni numeri
Fatta luce sulle differenti definizioni, andiamo a vedere qualche numero relativo agli ultimi report.
Secondo UNHCR a fine 2018 sono state 70,8 milioni le persone costrette a fuggire dal proprio paese. Di queste, 25,9 milioni sono rifugiati e più della metà non ha neanche 18 anni. Nel 2019 c’è stato un drastico aumento a 79,5 milioni (35 composto da minorenni) che, come ricorda El País, costituisce l’1% della popolazione mondiale.
Secondo uno studio, nel pieno della crisi dei rifugiati del 2016, la percezione sui flussi migratori da parte del 36% della popolazione italiana era del tutto errata. Si credeva che fossero 20 milioni gli stranieri approdati su suolo italiano. Nel 2016, in realtà, 16 milioni erano i rifugiati in tutto il mondo, di cui 2 milioni circa in Europa. Questi dati vanno chiaramente a ridimensionare “l’invasione” percepita.
Negli ultimi anni l’Italia ha accolto circa 131 mila rifugiati (dato UNHCR 2016) che, su una popolazione di 60 milioni di abitanti, significa 2 rifugiati ogni mille residenti.
I moti migratori italiani
La questione dei rifugiati apre un più ampio discorso sui moti migratori e proprio l’Italia, che tanto teme l’invasione, ha alle sue spalle un passato di emigrazione non indifferente.
Quella italiana dell’800, infatti, è la più grande migrazione dell’era moderna. Furono circa 30 milioni gli italiani che, tra il 1861 e il 1985, cercarono fortuna all’estero partendo da ogni regione. Le mete principali, come sappiamo, erano gli Stati Uniti e l’America Latina.
Qui le condizioni che trovarono gli italiani non erano delle migliori: ammassati nelle stive delle navi durante i viaggi, molti di loro perdevano la vita. Una volta arrivati a destinazione si ritrovavano vittime di sfruttamento e razzismo, scegliendo a volte –checché se ne dica della retorica degli italiani brava gente- la via dell’illegalità.
È in questo periodo che l’emigrazione viene etichettata come qualcosa di “poco etico”, a partire da chi resta nel paese natio. Da un lato ci si sente traditi da chi parte, dall’altro c’è un senso di inadeguatezza in chi resta, per non aver partecipato al cambiamento. Questo giudizio sociale non è un fattore da sottovalutare poiché la componente psicologica gioca un ruolo importante nei moti migratori e nella vita del migrante, oggi come allora. Esso, infatti, si trova a vivere la cosiddetta doppia assenza (coniata dal sociologo algerino Abdelmalek Sayad). Lasciare il proprio paese comporta un’assenza fisica che non sarà colmata dalla presenza nel paese accogliente poiché, di accoglienza, ce n’è spesso ben poca.
Ancora oggi quella italiana è tra le prime popolazioni europee a emigrare, eppure la nostra paura dello straniero non fa i conti con la storia. Complici di questi timori, una politica allarmistica che iperbolizza una situazione per cercare consensi facili, aiutata da un’informazione intellettualmente poco onesta.
“Non sei straniero, sei solo povero”
Certo, i moti migratori che interessano l’Italia sono dettati da ragioni economiche e il migrante italiano non è un rifugiato. Così, spesso, per difendere la nostra posizione, ci si appella al fatto di essere (oggi) migranti regolari e non clandestini. Ma questa regolarità dipende dal fatto di poterci muovere liberamente all’interno del territorio europeo (le mete principali infatti sono Germania e Francia), ma anche da una posizione di privilegio figlia della cultura occidentale.
Alla luce di ciò, allora, perché un migrante economico dovrebbe avere più dignità e diritto di un rifugiato? Per citare un aforisma noto tra le pagine social “non sei straniero, sei solo povero”. Ed è qui, infatti, che si racchiudono le discriminazioni che, sì, sono su base razziale ma ancora di più di base classista.
Piaccia o no, i moti migratori sono un fatto sociale totale e non saranno le politiche dei porti chiusi e di colpevolizzazione del migrante a fermare gli esodi delle persone nel mondo. Ed è da questa consapevolezza che bisogna partire per promuovere politiche che siano davvero d’aiuto alla questione dell’immigrazione.
Un’Europa assente
Ma com’è l’attuale situazione in Europa? All’interno dell’Unione Europea il dibattito sull’immigrazione è ancora caldo e al centro di svariate polemiche. Non è, infatti, ancora presente una legislazione chiara che punti a una redistribuzione equa sul suolo europeo degli immigrati.
Il trattato di Dublino, secondo cui il primo Paese in cui il richiedente asilo accede deve farsi carico della sua protezione, scontenta e penalizza alcuni paesi come l’Italia. È proprio questo trattato a costituire la discussione principale in tema di moti migratori o, meglio, una sua riforma.
Per quanto riguarda, invece, il soccorso in mare ci sono leggi internazionali e di diritto marittimo (“Ogni capitano è tenuto a prestare assistenza a qualsiasi persona che si trovi in pericolo di perdersi in mare” Convenzione internazionale sull’assistenza e soccorso in mare del 1989) che prevedono l’obbligo di soccorso ai naufraghi. A queste leggi si aggiunge quella del cosiddetto porto sicuro.
Secondo la Convenzione di Amburgo del 1979, gli sbarchi devono essere effettuati nel porto sicuro più vicino. Quindi i naufraghi devono essere tratti in salvo in posti che garantiscano loro la sicurezza, il primo soccorso e le principali necessità (cibo, riparo e cure mediche).
Decidere se un porto sia sicuro o meno spetta al Maritime rescue coordination center.
Porti sicuri
Lo scorso anno in particolare le definizioni di porto sicuro e le responsabilità in mare hanno costituito motivo di forti discussioni e contese, soprattutto tra Italia e Malta (si ricorderà, tra tutti, il caso Sea Watch). Nelle varie accuse, si è arrivati a proporre di riconoscere quello libico come porto sicuro, proposta che Malta ha nuovamente sollevato ad aprile di quest’anno. Lo scorso anno, in Italia, era l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini a sostenere la sicurezza dei porti libici che, di fatto, sicuri non sono. A seguito dell’arresto e della scarcerazione di Carola Rakete, fu lo stesso procuratore di Agrigento Luigi Patronaggi a non definire sicuro il porto libico.
La Libia, infatti, è un Paese ormai tristemente noto per le sue carceri in cui vengono detenuti e torturati i migranti. I moti migratori dall’Africa all’Europa passano necessariamente per quei confini e le persone a non sopravvivere alle torture sono molte.
Ma l’Italia è un Paese che con la Libia ha stretto accordi e a cui manda finanziamenti economici. L’ultimo, segnalato da Amnesty International, riguarda il regalo di due motovedette alla guardia costiera libica, anche questa famosa per le sue violenze.
Le prigioni libiche: una testimonianza per capire
“Tutte le donne che erano con noi, una volta alloggiate all’interno di quel capannone sono state sistematicamente e ripetutamente violentate dai due libici e tre nigeriani che gestivano la struttura. Da quella struttura non si poteva uscire. Eravamo chiusi a chiave. I due libici e un nigeriano erano armati di fucili mitragliatori, mentre gli altri due nigeriani avevano due bastoni”
Alla luce di simili testimonianze come si può pensare di rifiutare il soccorso a tutti i rifugiati del mondo? Si può negare l’aiuto a chi, per avere una possibilità di sopravvivenza, rischia di passare anche per carceri e soprusi? La salvaguardia e l’aiuto per i richiedenti asilo e i rifugiati è un dovere legislativo e morale che non può più essere messo in discussione da politiche di comodo.
I rifugiati siriani
Ma il Mediterraneo e l’Italia non rappresentano l’unico territorio di discussione. Dalla Siria in guerra, infatti, moti migratori verso l’Europa sono all’ordine del giorno. Eppure questi rifugiati sono dimenticati tra i confini di Grecia e Turchia. I loro diritti calpestati da un’Europa complice del governo di Erdogan, che riceve denaro in cambio del blocco dei flussi e che può permettersi di minacciare l’apertura delle frontiere. Già nel 2016 l’Onu aveva previsto che i siriani sarebbero stati tra i maggiori migranti a necessitare di un programma di reinserimento.
L’isola di Lesbo (soprattutto il campo profughi di Moria) è ormai una prigione a cielo aperto: la capienza massima dei punti di accoglienza è stata largamente superata, alcuni bambini hanno tentanto di togliersi la vita; mancano i servizi igienici essenziali, e con la pandemia la situazione è precipitata.
Eterni invisibili
Quella del Covid-19, infatti, è stata un’ulteriore disgrazia per tutti gli ultimi del mondo, che ora sono stati lasciati ancora di più a loro stessi. Non solo quanti, nel flusso dei moti migratori, cercano la salvezza altrove; ma anche di chi rimane in patria.
Gli occhi degli stati più ricchi, così come gli aiuti economici, si sono voltati tutti all’interno dei propri confini, impegnati a scongiurare la crisi economica; le notizie dei media hanno proceduto di pari passo, raccontando solo la nostra realtà immediata.
E chi era invisibile ora lo è ancora di più. Ma i moti migratori non si fermano e mentre riprende l’attenzione su di loro, ricominciano le polemiche e le strumentalizzazioni politiche.
Quand’è che si comincerà a parlare dei rifugiati come di esseri umani e non di oggetti da ricollocare?
Il DACA e la sconfitta di Trump
Intanto in America, patria del sogno e simbolo per eccellenza dell’immigrazione, il presidente Trump perde un’altra battaglia. È recente la notizia che la Corte Suprema ha bocciato la sua decisione di voler abolire il DACA, che avrebbe in quel modo danneggiato i Dreamers, i figli degli immigrati giunti senza documenti. Il programma DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals) voluto da Obama permette di rinviare l’espulsione di circa 649.000 giovani adulti, principalmente ispanici, così da poter avere il tempo di ottenere un permesso di lavoro.
Trump potrebbe provare a chiudere nuovamente il programma ma speriamo che l’impegno nella campagna elettorale glielo impedisca.
Nuovi migranti
Un ultimo appunto riguarda la “nuova” categoria dei migranti ambientali, non ancora riconosciuti da tutti i paesi del mondo: il loro costante aumento ha indotto gli stati a interrogarsi su un loro riconoscimento giuridico. Ecco allora che nascono i termini di rifugiati ambientali o climatici.
Si tratta di persone costrette a emigrare dal loro paese d’origine a causa dei cambiamenti climatici in atto (desertificazioni, incendi, devastazioni degli ecosistemi, innalzamento dei mari e tutte le conseguenze ad essi legate) e si stima che il numero sia destinato ad aumentare.
La questione ambientale, va sottolineato, prosegue di pari passo con quella dei moti migratori ed entrambe continuano ad essere ricacciate all’angolo e non affrontate seriamente.
Per quanto ancora sarà possibile voltarsi dall’altra parte? La consapevolezza è la prima arma contro la manipolazione dei fatti, l’antidoto a politiche populiste che scansano i reali problemi. Dobbiamo essere cittadini consapevoli e informati per percepire la realtà com’è e non come ci viene raccontata; per chiedere maggiore giustizia e rivendicare i diritti universali.
“chi cerca rifugio lo fa perché non ne ha più uno proprio”
(L. Gaffuri in Ama il prossimo tuo come te stesso, Dossier statistico immigrazione 2018)
Marianna Nusca