Anche Darren Aronofsky appartiene alla schiera dei registi americani in concorso alla Mostra di Venezia e sbarcati al Lido con un film dettato dalla rabbia per quello che sta accadendo nel mondo. Il suo Mother! è una rielaborazione del film di Polanski dal titolo Rosemary’s Baby, datato 1968.
Il regista statunitense ha preso l’idea di fondo, ovvero quella di un artista in cerca di fortuna, che per il successo vende l’anima al diavolo, regalando alle forze del male il figlio nel grembo di sua moglie. Partendo da questi elementi narrativi, Aranofsky si è divertito a rimescolarli e modificarli per ottenere un’allegoria sul degrado inarrestabile dell’umanità, che oggi rischia di trascinare nel baratro l’intero pianeta.
Al termine della proiezione riservata agli addetti ai lavori, Mother! ha ricevuto pochi applausi e molti fischi. Eventualità già messa in conto dallo stesso regista e sceneggiatore. “Leggo i giornali, sono attento alla critica, ma l’intrattenimento ha vari aspetti. C’è sempre un livello di gusto che cambia da individuo a individuo. Questo film è un cocktail molto forte. E’ come andare sulle montagne russe, e può non piacere a tutti”. Inoltre “è stata un’esperienza strana. Per realizzare la storia di molti miei film ho impiegato tanti anni. Per questo solo cinque giorni. Ed è venuto fuori vedendo cosa succede su questo pianeta e dal fatto di non riuscire a far niente. Avevo molta rabbia è ho scritto di getto”.
Assieme al compositore Jóhann Jóhannsson ha dedicato grande attenzione al sonoro, che nella pellicola riveste un ruolo fondamentale. “Il lavoro con Johann è durato mesi. La musica indica al pubblico come e cosa sentire, gli da la certezza dei sentimenti. E io non volevo farlo sentire sicuro, come accade al personaggio di Jennifer. Volevo dirottare il pubblico sul punto di vista della madre, e infondere quel senso di invasione del privato che è quello che le succede”.
L’allegoria filmica di Aronofsky, per complessità simbolica, difficoltà interpretativa e ambizione del messaggio etico, somiglia ad una delle opere visionarie del pittore olandese Hieronymus Bosch. A cominciare dalla messa in discussione dell’idea di casa come luogo sicuro. “Ci rivediamo nella nostra casa, con lei avviene un processo di identificazione. Ed io ho fatto un po’ come Bonuel, che ricostruisce una struttura sociale all’interno di una stanza, dove ha luogo la sua disintegrazione”.
Dalla storia emerge un legame forte tra donna e natura, che sembrano accomunate da un trattamento irrispettoso. “Sono abbastanza ambientalista e sono nel board di una delle associazioni americane più importanti”, ha confermato Aronofsky. “Sono un attivista e lavoro per cambiare le cose. Qualche tempo fa ho incontrato una tribù dell’artico, in particolare la sorella del capo, che avevo già incontrato 20 anni fa al Sundance Festival. E lei mi ha detto che il trattamento riservato alle donne ha molte similitudini con il trattamento riservato all’ambiente”.
La madre, nel film, si chiama Veronica ed è interpretata da Jennifer Lawrence, che ancora una volta ha dimostrato il suo grande talento. “Ho tirato fuori un lato di me stessa che non conoscevo. Abbiamo fatto tre mesi di prove rigorose e Darren mi ha aiutato. E’ l’interpretazione più difficile della mia carriera. Ho cercato le verità del personaggio. E quando ho sentito di dover trovare qualcosa di diverso ho cercato nuove soluzioni. Ho cominciato a toccare la scala e a girare a piedi nudi per aumentare il contatto con la casa”.
La giovane Lawrence è stata affiancata da un’attrice consumata come Michelle Pfeiffer. Anche lei bravissima nei panni di una donna ambigua e poco rassicurante. “Vedo il mio personaggio come una guglia sulla cattedrale, che guarda e spia. Un essere invadente ma che dimostra di essere l’angelo custode di Jennifer. E’ il suo specchio e le fa capire che ci sono dei problemi da affrontare. Sta cercando di aiutarla”.
Michelle Pfeiffer non è nuova a parti in storie cupe e inquietanti. Sul perché, lei stessa non riesce a darsi una vera spiegazione. ”Sono attratta dai registi che hanno un lato oscuro. Ma in realtà è difficile rispondere. Cerco comunque di fare buoni film. Sono attratta da quello che non vedo nella gente. Da cosa c’è sotto”.
Nel cast stellare chiamato a raccolta da Aronofsky, c’è anche Javier Bardem, che ha vestito i panni del personaggio più enigmatico: il Poeta in piena crisi da foglio bianco e desideroso di tornare al successo, che alla fine si scopre essere l’artefice di quegli eventi inspiegabili e malefici che si abbattono sulla madre di suo figlio. “Essendo un narcisista la parte mi calza a pennello, per questo Darren mi ha chiamato”, ha scherzato l’attore spagnolo. Che ha infine elogiato il lavoro di Aronofsky:“E’ una storia che va da un estremo all’altro con tanti temi come la scrittura, la casa, la natura. E proprio i vari strati sono la ricchezza della storia”.
Mother!: il film
Per amore Veronica (Jennifer Lawrence) si trasferisce nella casa di campagna del suo Poeta (Javier Bardem), immersa nella natura e lontana della città, dove si prende cura del suo uomo in preda alla crisi da foglio bianco. Un amore sviscerato, quello di Veronica, che la spinge a ricostruire pezzo dopo pezzo l’abitazione distrutta da un incendio.
La loro vita di coppia viene interrotta dall’arrivo di uno sconosciuto (Ed Harris), che il Poeta ospita inspiegabilmente in casa. Veronica è spiacevolmente sorpresa, nonché infastidita dall’invadenza dello straniero. Ma questo è solo l’inizio. Perché allo sconosciuto si aggrega prima la moglie (Michelle Pfeiffer), donna ancor più invadente e ambigua del marito. E poi i loro figli maschi, che come Caino e Abele ingaggiano una lotta mortale, per motivi di eredità, sotto gli occhi della padrona di casa.
La sacralità del concetto che Veronica ha della casa, vine calpestata a ritmo serrato, da un bizzarro senso dell’ospitalità del Poeta, a cui si sommano eventi sinistri di cui solo lei è testimone: pavimenti che sanguinano e visioni inspiegabili.
Andati via gli indesiderati, Veronica e il Poeta fanno finalmente l’amore. All’indomani lei sente d’essere rimasta incinta e il Poeta riprende magicamente a scrivere. Dopo nove mesi il Poeta ha ritrovato il successo perduto. Mentre lei, bella come un fiore, si appresta a diventare mamma. Prossima al parto, Veronica prepara una cenetta, che invece si trasformerà in una serata infernale. L’invasione inarrestabile e di proporzioni bibliche da parte dei fan del Poeta si trasforma in un sabba delle bestialità di cui è capace il genere umano. L’allegoria cercata da Aronofsky adesso appare fin troppo chiara. La casa è il mondo, il pianeta Terra.
E gli invasori procedono alla sua distruzione sistematica, degenerando via via in sparatorie, esecuzioni sommarie e soprusi di ogni genere. E mentre l’immagine del Poeta viene idolatrata come quella del vitello d’oro ai piedi del Sinai, nella casa si materializzano dal nulla poliziotti in tenuta antisommossa che manganellano manifestanti, soldati attaccati da un nemico invisibile, creando uno scenario da girone dantesco pieno di esplosioni, morti e violenza.
In questa apocalisse tra le mura domestiche Veronica riesce a dare alla luce il suo bambino, che il poeta le ruba dal grembo per darlo in pasto ai suoi idolatri come offerta sacrificale. Veronica, in preda alla rabbia, da fuoco alla casa. Il poeta la raccoglie in fin di vita per le ustioni e le strappa dal petto “l’amore” di lei nei suoi confronti, cristallizzato nel gioiello andato in frantumi all’inizio della storia. E’ di nuovo giorno, e nel letto del Poeta c’è un’altra donna. Un altro amore da sfruttare per la sua meschinità, che è quella di tutto il genere umano.
Michele Lamonaca