Mosul, la capitale irachena dell’Isis. La battaglia attorno alla città ferocemente continua il suo corso, devastando e depredando, in tutta la sua cruenta essenza.
Nel sordo rumore vuoto che solo la guerra e la violenza che la caratterizza sa lasciare, si eleva tuttavia la consapevolezza che tutto da un momento all’altro potrebbe finire.
E mettere finalmente la parola fine su questa terribile fase di straziante guerriglia che si consuma a due passi da noi, nella nostra apatia, sempre critici, che sta mietendo vite, violentando innocenza, generando odio.
L’esercito iracheno entra a Mosul, e loro, gli ignari civili, divengono scudi. Uno scudo umano di
quella educazione alla violenza dispensata da un panorama avido di sentimenti, designato da un testamento di dolore e rancore, che la storia e i suoi errori hanno cinicamente scritto.
Tiziano Terzani, nei suoi appassionati reportage, che sono un racconto di vita capace di superare tempo e spazio, aveva descritto in fondo cosa fosse la jihad. Non un’entità fisica costituita da una banda di integralisti. Piuttosto l’astrazione di quel senso di revanche che la barbara furia dell’interventismo occidentale ha lasciato.
«Quando uno dei nostri salta su una mina o viene dilaniato da una bomba, prendiamo i pezzi che restano, i brandelli di carne, le ossa rotte, mettiamo tutto nella stoffa di un turbante e seppelliamo quel fagotto lì, nella terra. Noi sappiamo morire, ma gli americani? Gli inglesi? Sanno morire così?». Dal fondo della stanza un uomo barbuto apre un giornale in Urdu e legge una breve notizia in cui si dice che anche l’Italia si è offerta di mandare navi e soldati: «…E voi italiani allora? Siete pronti a morire così? Perché anche voi venite qui a uccidere la nostra gente, a distruggere le nostre moschee? Che direste se noi venissimo a distruggere le vostre chiese, se venissimo a radere al suolo il vostro Vaticano?».
TIZIANO TERZANI, eportage di Tiziano Terzani dal Pakistan del 2001, fonte: http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_13/tiziano-terzani-pakistan-nelle-scuole-dove-s-insegna-fanatismo-6b532b62-9aec-11e4-bf95-3f0a8339dd35.shtml
Il confine che separa la legittimità di un intervento in difesa dei valori democratici dall’ingerenza ingiustificata è sottile. Esattamente come la violazione di quel confine, facile.
Il 16 ottobre scorso, il primo ministro dell’Iraq, Haydar al-‘Abadi, annunciava l’inizio delle azioni militari su Mosul. Abadi, quel giorno, tenne anche un breve discorso in televisione.
“È venuta l’ora della vittoria, l’operazione per liberare Mosul è iniziata. Oggi dichiaro l’avvio di una serie di eroiche iniziative per sconfiggere l’ISIS. Con l’aiuto di Dio, ci ritroveremo a Mosul per celebrarne la liberazione e il salvataggio dall’ISIS, così che si possa tornare a vivere insieme, con tutte le religioni unite per sconfiggere lo Stato Islamico e ricostruire Mosul”.
E Mosul non è e non è mai stata una città qualunque. Bensì l’ultimo grande e strategico fortino dell’ISIS in Iraq.
Ma al di là della riconquista, al di là di un dio che si continua a invocare in accostamento alla più rude tra le forme di violenza, è la presenza così vicina di Turchia e Russia a destare più di una preoccupazione.
Al domani di una condizione ai limiti dell’umanità, dalle ceneri, sarà necessario ricostruire. E farlo laddove è stato versato sangue anche per via dell’ingerenza straniera, non sarà facile. Perché è la violenza straniera il generatore sociale di odio più pericoloso che possa esistere. La furia scatenante il terrore per le bandiere nere della jihad.
Il lato oscura di una xenofobia che non capiamo, incapaci di guardare oltre il nostro naso, dove si vuole insegnare la democrazia con la violenza. E tuttavia quell’istinto primitivo di sedare in richiamo a un’indefinita legittima difesa, attraverso l’intervento militare, è invocato con tanta facilità da non lasciare spazio alla riflessione su ciò che è davvero giusto fare.
La vittoria nella battaglia per un’umanità solidale non è frutto di un fulmilineo approdo ad armi posizionate, bensì della calma che solo l’analisi e la riflessione che antecede l’atto possono dare.
E Mosul potrebbe, in questi termini, rivelarsi un’altra amara sconfitta che smentirà ulteriormente le ragioni dell’intervento democratico. Ove l’ingerenza non crea le basi per un futuro meno problematico, non è la risoluzione a un problema.
Perseverare nell’errore che la storia ci ha più volte raccontato, l’ultimo rifugio dei codardi, dei pigri, degli incapaci che perdono di vista l’essenziale umano diritto alla vita.
Quel rifiuto di conoscere l’origine di ciò che ci sta di fronte, ma soprattutto di comprenderlo è la vera sconfitta che sopraggiunge al di là di ogni città riconquistata, con attrezzature che sarebbero in grado di distruggere in qualsiasi istante, per una superiorità militare certificata, l’ISIS.
Ma ove è l’odio la base di un problema, non sarà la cieca violenza a estirparlo.
“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.”
SUN TZU, L’arte della guerra
Di Ilaria Piromalli