Moshtari Hilal insegna come si fa ad amare la Bruttezza, in Sé e negli Altri

Moshtari Hilal

Chi decide cosa è bello cosa è brutto? Moshtari Hilal, autrice di “Bruttezza” per Fandango Libri, già da bambina e in sinergia con moltissime donne nel mondo, ha sperimentato su di sé la pressione legata alla percezione del proprio corpo, sentito come distante dalla “Bellezza imperialista” e dai canoni irrealistici che propone. Attraverso la personale esperienza dell’autrice e delle persone vicine a lei, Bruttezza introduce chi legge nel quotidiano scontro con le apparenze e l’ipocrisia negli occhi di chi riconosce il brutto solo perché lo discrimina dal bello.

L’opera di Moshtari Hilal è un percorso di guarigione del reale, dentro di noi siamo tutt3 bell3 e brutt3

Il linguaggio inclusivo è parte dell’opera anche nella traduzione italiana a cura di Lavinia Azzone. Bruttezza ha inizio nell’infanzia dell’autrice in Afghanistan come diretta testimone nelle esperienze delle donne a lei vicine. La lametta per la depilazione è il primo “strumento di tortura” che Hilal mostra a chi legge nei ricordi di Kabul prima dell’invasione americana. Sin dall’infanzia, all’autrice è sembrato che il raggiungimento degli standard di bellezza occidentale fosse ostacolato dalle unicità del proprio corpo dai tratti orientali.

Il disprezzo per i peli e per la forma del naso, il body shaming e la cattiveria, la chirurgia plastica, i riferimenti accademici e la pop culture si mescolano nel libro di Hilal, che riflette su come il brutto, un concetto astratto e legato ai sensi, soprattutto alla vista, abbia influito ed influisca tuttora negativamente sulla realtà di chi storicamente è stato discriminato in base all’aspetto fisico, come le persone malate di lebbra o gli appartenenti alle minoranze etniche. Ad esempio, viene citata la “Teoria dell’uomo delinquente” di Cesare Lombroso, per esporre come nel corso della storia le caratteristiche fisiche abbiano influito e ancora oggi influiscono sul pregiudizio e sulla discriminazioni della persona.

A un certo punto della narrazione, l’autrice si domanda chi decide cos’è la Bruttezza, chiedendosi anche se essa si celi esclusivamente negli occhi di chi la riconosce negli Altri e la usa per discriminare. Halil riflette sulla bellezza occidentalizzata, lecitamente definita “imperialista” e sui canoni irrealistici che hanno conferito alla top model Bella Hadid, con il viso modificato dalla chirurgia estetica, i lineamenti più “vicini alla perfezione” in tutto il pianeta. Quanto influisce l’idea di questa bellezza nella vita di ogni individuo, nelle sue scelte politiche e nei suoi comportamenti?

Se Anna Delvey grazie all’apparenza è riuscita ad ingannare facilmente alcune tra le persone più ricche ed influenti al mondo, quanto può condizionare la qualità della vita un’apparenza non gradita alla vista?

L’odio per le diversità e la Bruttezza negli occhi di chi la riconosce

La bellezza occidentalizzata è l’irrealistico risultato di una tradizione millenaria imperialista e discriminatoria, caratterizzata dal rifiuto per la diversità e dall’emarginazione di chi veniva reputato sgradevole ai sensi. Anche oggi l’aspetto fisico rappresenta un lato indubbiamente significativo nella quotidianità dell’individuo e Hilal trova supporto alla sua tesi negli studi antropologi e sociologici, criticando velatamente alcuni teorici evoluzionistici ed evidenziando come alcune teorie siano caratterizzate dal razzismo e dalla discriminazione. In questo contesto la Bruttezza non è  un concetto reale, ma una condizione socio-economica che contribuisce a creare ingiustizie e disuguaglianze sul piano sociale.



La Bruttezza è quindi negli occhi di chi la riconosce, di chi considera qualcosa non conforme e non socialmente accettabile. Il trauma della Bruttezza, insinuato sin dall’infanzia nella mente dell’autrice, torna a galla ad ogni commento d’odio ricevuto sui social, ma il processo di guarigione interiore innescato dalla consapevolezza del Sè e dell’accettazione delle proprie unicità può confluire in una riconciliazione con tale concetto. Citando l’attivista Mia Mingus, Hilal chiede a chi legge: “In te il brutto dov’è? Che cosa ti vuole insegnare?“.

Accettare la Bruttezza come parte del Sé per contribuire all’accettazione degli Altri

Il complesso rapporto dell’autrice col proprio corpo trova una nuova serenità nel corso delle sue esperienze di vita. Come condivide con chi legge, al termine della messa in discussione in merito alle cause della Bruttezza, Hilal si è anche chiesta se fosse lecito sentirsi bella, come se voler provare la sensazione del sentirsi attraente fosse una deplorevole negazione della consapevolezza acquisita grazie alle esperienze di vita. Alla fine, la riconciliazione con la Bruttezza arriva partendo da un’importante interiorizzazione: le persone sono sia belle sia brutte, i concetti non si escludono, ma convergono e descrivono le unicità che caratterizzano ogni individuo.

Bruttezza è un inno alla diversità, un saggio accademico caratterizzato da una scrittura intima e vera, che permette di esplorare il mondo interiore dell’autrice, portando con sé innumerevoli spunti di riflessione sul paradosso post-contemporaneo, che rinnega il brutto e allo stesso tempo lo cerca per distinguersi da esso, per rinnegarlo e demonizzarlo.

Definire l’opera di Hilal un saggio narrativo sarebbe riduttivo per una produzione che si distingue per la sensibilità, l’onestà, oltre che per l’accuratezza storica e scientifica. Bruttezza è una lettura che contribuisce ad illuminare la strada verso la creazione di una società nuova, orientata all’accettazione del Sè e degli Altri, dove l’odio non trova spazio perché amare la Bruttezza è possibile; solo accettandola nell’individualità la collettività si libererà dal pensiero discriminatorio alla base di ciò che viene socialmente considerato brutto.

 

 

Aurora Colantonio

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