Morto Vincent Lambert, simbolo francese della battaglia sul fine vita.
Una bella casa, una famiglia, un lavoro come infermiere psichiatrico, una vita normale. Poi lo schianto e tutto è stato spazzato via, quel maledetto 29 settembre del 2008.
La diagnosi dei medici è di quelle che difficilmente lasciano speranze:
“Il trauma gli provoca una lesione cerebrale che lo rende tetraplegico e assolutamente dipendente”
Punto di non ritorno
Ciò che era probabile diviene certezza nel 2011 quando, dopo anni di cure, i medici dell’ospedale di Reims (dove era ricoverato dal giorno dell’incidente) escludono qualsiasi possibilità di miglioramento del quadro clinico di Lambert.
Nel 2014 la sua condizione viene dichiarata vegetativa.
Come in un film
La storia di Vincent Lambert, somiglia molto a quella raccontata nel capolavoro cinematografico “Mare Dentro”.
Il film è tratto dalla storia vera di Ramòn Sampedro che, diventato tetraplegico dopo un tuffo in mare, è protagonista a sua volta di una battaglia legale e mediatica per ottenere il diritto di morire.
Interrompere una vita che non si ritiene degna di essere vissuta, perdere l’autonomia e l’autosufficienza, dover per forza dipendere da chi ci sta intorno, è questo che ha spinto Sampedro (così come Lambert) a portare avanti la propria battaglia.
“Cosa sono due metri? Un tragitto insignificante per qualsiasi essere umano. Però per me questi due metri che servono per poter arrivare a te e per poterti almeno toccare sono un viaggio impossibile, una chimera, un sogno, per questo voglio morire“
La battaglia legale (e familiare)
Conscio della non reversibilità della propria condizione, Vincent Lambert inizia una lunga ed estenuante battaglia per ottenere l’interruzione di terapie ed alimentazione e per la rivendicazione del proprio diritto di decidere cosa fare della propria vita. Morire in pace e smettere di soffrire e di veder soffrire le persone a lui care, nulla più.
L’inizio della battaglia legale crea una forte spaccatura all’interno della famiglia Lambert: da una parte sua moglie Rachel, sua nipote e sei dei suoi fratelli, decisi a lottare perché la volontà di Vincent fosse rispettata; dall’altra i suoi genitori, trincerati in una radicata (e radicale) fede cattolica.
Anche il Vaticano è più volte intervenuto sul caso, definendo l’interruzione dell’alimentazione come una grave violazione.
Sebbene una prima sentenza si sia dimostrata favorevole alla posizione di Vincent già nel 2014, la Corte europea per i diritti dell’uomo ha deciso per la sospensione e il riesame della sentenza il giorno dopo la sua emanazione.
In questo repentino dietro-front ha giocato un ruolo fondamentale la parte avversa della famiglia.
In attesa di un diritto
Gli anni a venire saranno contraddistinti da nuove sentenze favorevoli ed altrettanti passi indietro, compresa la posizione dei medici dell’ospedale di Reims che, preso atto dei contrasti familiari, chiedono alla Procura della Repubblica francese di nominare un tutore legale del paziente poiché “non sussistono le condizioni di serenità e sicurezza necessarie per continuare la procedura di interruzione dei trattamenti”. Tra le cause indicate il disaccordo in seno alla famiglia.
La sentenza definitiva arriva così soltanto il 30 aprile 2019. Le terapie vengono interrotte il due luglio e Vincent muore nove giorni dopo a quarantadue anni, undici dei quali passati su un letto di ospedale.
Il fine vita in Italia
La battaglia per il fine vita è da anni (anche se a fasi alterne) argomento di dibattito politico anche nel nostro Paese, senza
che questo porti ad una soluzione di tipo legislativo.
Le cause di questo stallo sono da ricercarsi soprattutto nella tendenza di gran parte dei nostri governanti a cavalcare il tema in modo sterilmente ideologico e quasi esclusivamente quando l’argomento è sotto i riflettori.
Non vanno inoltre sottovalutate le frequenti ingerenze del Vaticano che, non solo per questioni geografiche, esercita in Italia un’influenza ancor maggiore che in Francia.
I casi italiani: Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e Dj Fabo
I casi più recenti al centro del dibattito sono stati quelli di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo.
Il primo costretto progressivamente a letto da una grave forma di distrofia muscolare, gli altri due vittime di incidenti stradali, come nel caso di Lambert.
Identiche le loro decisioni, porre fine a vite segnate da sofferenze senza via d’uscita.
Vite vissute a metà e battaglie portate avanti contro l’accanimento terapeutico come forma di prolungamento di una vita alla quale volevano porre fine.
Le tre vicende si sono sviluppate i realtà in modo diverso.
Mentre Piergiorgio Welby era in grado di portare avanti in prima persona la propria battaglia, nel caso di Eluana Englaro è stato suo padre Beppino a lottare per lei, che si trovava in stato vegetativo.
Tribunali, dibattiti, appelli pubblici sono stati il lungo calvario di chi stava soltanto cercando di ottenere quello che dovrebbe essere un proprio diritto.
Particolarmente toccante quanto esemplificativo un passaggio scritto da Welby, nel quale descriveva la propria condizione .
«Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. […] Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche.»
Diverso il caso di Dj Fabo che, stanco di attendere una sentenza che gli garantisse il diritto di morire in Italia, ha deciso di porre fine alla sua vita in Svizzera, grazie al suicidio assistito. Ad accompagnarlo nel suo viaggio il deputato radicale Marco Cappato, poi vittima di processi per essere stato complice di quello che non è stato altro che un gesto disperato.
Un diritto non è una concessione
Le storie di Vincent, Piergiorgio, Eluana e Fabiano sono segnate da una grande determinazione e dalla capacità di porre all’attenzione di tutti la propria volontà e la propria condizione, perché hanno avuto come protagonisti persone forti e soprattutto in possesso dei mezzi necessari a far valere i propri diritti.
Se da un lato ci sono quattro storie in grado di accendere i riflettori su un tema così complesso, dall’altro ne esistono altrettante che si svolgono e si sono svolte in silenzio, ma segnate da altrettanta sofferenza.
Il tema non è come ci comporteremmo se fossimo al posto loro o dei loro familiari, il tema è che chiunque deve poter essere libero di scegliere quando porre fine ad una vita che non è più tale dal momento in cui non la si ritiene più degna di essere vissuta.
Per questo è necessaria una risposta politica a quella che non è altro che la rivendicazione di un diritto, perché, come diceva Beppino Englaro:
“L’eutanasia è una questione che tutte le nazioni civili devono affrontare, con la quale prima o poi ogni Paese deve fare i conti”.