Gillo Dorfles è morto

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Gillo Dorfles è morto all’età di 107 anni. Si è spento nella sua casa a Milano, a darne il triste annuncio è stato il nipote che ha fatto sapere come, nel corso delle ultime 24 ore, le sue condizioni fisiche fossero peggiorate.

Un secolo di vita

Era nato a Trieste il 12 aprile 1910, proveniva da una famiglia borghese e a causa del particolare periodo storico in cui nacque si riteneva “un cittadino dell’impero asburgico”. Fu amico di Bobi Bazlen e Leon Fini, frequentò Svevo e Saba e conobbe la psicoanalisi. L’amore per l’arte non si era ancora manifestato del tutto, ma il suo animo lo spingeva verso la musica e la pittura, anche se le sue prime prove lui le considerava “scarabocchi”. Dentro di lui si sentiva un artista e ciò lo spronò a rendere l’arte il fine ultimo della sua vita. Si è distinto rispetto agli altri, perché ha sempre rifiutato di essere uno storico dell’arte, preferendo invece la figura del critico. Questa prospettiva non risultò gradita a Cesare Brandi che dichiarò ironicamente: “Se solo avesse capito la metà dei libri che ha letto, avremmo di fronte uno studioso di statura internazionale”. Tale giudizio era dovuto ad un libro pubblicato da Gillo Dorfles, Le oscillazioni del gusto. Tale volume metteva in risalto un mutamento di registro, oltre che di un’epoca. Difatti, Dorfles colse l’importanza dello sviluppo dei “mezzi meccanici”, quando comparirono i primi computer utili per la musica, la pittura e la grafica.




La sua è stata una vita lunga ed intensa, vissuta a Milano, Parigi, New York, Chicago o Tokio. Grandi metropoli che frequentava per visitare mostre d’arte, riunirsi con amici, ammirare le nuove architetture e presenziare a convegni e rassegne come semplice spettatore.

Il suo concetto di arte

Per lui l’opera d’arte non aveva una funzione universale nel dare un concetto di gusto. Esso non era imposto dall’alto da un gruppo ristretto e privilegiato di esperti. Anche una persona meno colta era in grado di cogliere l’arte. Soprattutto, l’arte ‘pura’ per lui non esisteva più: l’arte ‘utilitaria’ stava prendendo il sopravvento grazie alla produzione di oggetti in serie e trmite la pubblicità e il design.

E così Gillo Dorfles arrivò a ripensare il Kitsch: in un primo momento in quanto espressione del cattivo gusto e poi come parte integrante dell’arte stessa.




Fra i suoi libri, è degno di nota L’intervallo perduto, che inaugurò gli anni Ottanta e preannunciava le analisi di Bauman sulla “società liquida” e di Augé sui “non luoghi”. Secondo Dorfles, l’uomo odierno non è più consapevole del tempo da lui vissuto, crede di viverlo pienamente, ma in realtà è imprigionato in un eterno presente. Ecco perciò che si era instaurata una “perdita di credibilità”, in cui lo spettatore non riusciva più a distinguere fra tragedia vera e artefatta. Dopo alcuni anni, nella seconda metà degli anni Novanta, avrebbe perfezionato questa sua concezione distinuguendo tra “fatti” e “fattoidi”: i primi sono ciò che noi esperiamo davvero e i secondi fanno parte di un mondo fittizio e simulato in cui ha la meglio lo pseudoevento.

Oltre ad occuparsi delle trasformazioni subite dall’opera d’arte, Gillo Dorfles era anche molto attento al costume e alle mode della nostra epoca. D’altronde, era questo ad appassionarlo, a parte la pittura. Nel 1948 diede vita al Mac (movimento arte concreta), assieme ad altri artisti.In qualità di artista venne influenzato dalla “pittura intelligente” portata ai massimi livelli da Klee e Mirò.

Artista, critico d’arte e filosofo: oltre un secolo di storia umana è andata via con lui.




A volte mi ritrovo a sprofondare dentro mondi per i quali so che la cura migliore è alzare barriere e costruire muri. Non ho fatto altro in tutta la mia vita. È semplice. Se piove, io so che si deve aprire l’ombrello. Ed è forse il solo modo efficace per contrastare la paura atavica che mi prende in certi momenti. Apro l’ombrello o attendo che smetta di piovere. Credo di avere avuto sempre i nervi saldi”.

Carmen Morello

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