Nel 2021 Moussa Balde, giovane originario della Guinea, muore in un’area di isolamento nel Cpr di Torino. Ieri il gip del tribunale di Torino ha rinviato a giudizio la direttrice delegata della società che gestiva il Cpr e il medico della centro presente la notte della morte del giovane.
Intanto sembra imminente la riapertura proprio del Cpr di Torino contro cui cittadini e associazioni si stanno mobilitando.
Due rinviati a giudizio per la morte di Moussa Balde al Cpr di Torino
Moussa Balde si toglie la vita a soli 22 anni nella notte tra 22 e 23 maggio 2021 mentre si trovava in isolamento nel Cpr di Torino. Il paradosso è che Moussa Balde era stato portato nel Cpr di Torino dopo essere stato portato all’ospedale di Ventimiglia in seguito a un selvaggio pestaggio da parte di tre italiani che avevano aggredito il giovano fuori da un supermercato colpendolo con tubi di metallo. A sole 24 ore dal pestaggio, come già nel 2021 avevano denunciato numerose associazioni, il giovane era stato trasferito in questura a Imperia e quindi trasferito nel Cpr di Torino perché non disponeva di documenti che lo regolarizzassero in territorio italiano. Il giovane non aveva avuto così modo di fornire la propria versione dei fatti di un’aggressione chiaramente razzista.
Nonostante le chiare lesioni fisiche e l’instabilità psicologica del giovane, Moussa Balde era stato comunque trasferito prima nel Cpr di Torino e poi in una sezione isolata denominata “ospedaletto”, dove si era poi tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo.
L’inchiesta che ha portato oggi al rinvio a giudizio della direttrice e del medico del Cpr di Torino è stata coordinata dai pubblici ministeri Vincenzo Pacileo e Rossella Salvati che hanno denunciato la grave carenza nella sorveglianza sanitaria all’interno del Cpr e nell’area “Ospedaletto”.
Sono troppi i fatti che non tornano e le gravi lacune e negligenze avvenute nella notte del suicidio di Moussa Balde. Al centro del processo che inizierà a febbraio 2025 vi è l’accusa per la direttrice e il medico del Cpr di via Torino di omicidio colposo. Moussa presentava chiari segni di instabilità psicologica ma il responsabile sanitario aveva segnalato esclusivamente le lesioni fisiche sul corpo senza richiedere ulteriori accertamenti e tutele. Sorgono inoltre ulteriori dubbi sull’area “Osepdaletto”, teoricamente preposta all’ospitalità di persone che necessitano di specifiche cure mediche e psicologiche ma secondo l’accusa impiegata come isolamento per chi protesta contro le condizioni del Cpr, una chiara violazione dei diritti umani e una pratica non regolata da alcuna norma.
A queste gravi violazioni dei diritti del giovane guineiano, si aggiunge l’accusa per falsi relativi alla compilazione di una serie di relazioni di servizio da parte dell’ispettore capo della Polizia di Stato impegnato nella vigilanza del Cpr la notte della morte di Moussa Balde. Il poliziotto non sarà rinviato a giudizio perché ha patteggiato un anno di reclusione.
Cpr di Torino: il governo Meloni vuole riaprirlo
Non sono ancora chiare le tempistiche, ma sembra che sia prossima la riapertura del Cpr di Torino.
Quest’estate, la rete Mai più lager – No ai Cpr aveva già denunciato l’apertura del bando per la gestione del Cpr di Torino, chiuso a marzo 2023 in seguito ai danneggiamenti provocati dalle numerose proteste esplose nei mesi precedenti per denunciare le condizioni di detenzione disumane nel centro per il rimpatrio di via Brunelleschi. La speranza, all’epoca, era quella di una chiusura definitiva.
«Le risorse liberate da questa scelta siano impiegate a tutela della popolazione cittadina e a favore di una gestione delle politiche migratorie attenta ai diritti delle persone e volta a una piena integrazione»
aveva dichiarato Luca Pidello (Pd). Speranza infranta con la pubblicazione quest’estate di un bando da parte della Prefettura dal valore di 8 milioni e mezzo per la gestione del Cpr. Il centro dovrebbe avere una capienza di 70 posti dopo la riapertura inizialmente immaginata per il primo novembre 2024.
Le mobilitazioni contro la riapertura del Cpr di Torino
Nonostante la data di apertura non sia ancora definita, il bando della Prefettura ha risvegliato l’attenzione sulla possibile riapertura del Cpr di Torino. Il 28 ottobre si è tenuto a riguardo un incontro nella sala consiliare della Circoscrizione 3, dove ubicato il Cpr di Torino in via Brunelleschi. «Stiamo parlando di persone. Nessun Cpr né qui né altrove» ha esordito la presidentessa della Circoscrizione, Francesca Troise, all’apertura dell’assemblea.
All’incontro hanno partecipato anche associazioni come il gruppo Abele, realtà molto attiva sul territorio torinese, e la quasi totalità dei presenti si è dichiarata favorevole a percorsi e soluzioni alternative, investendo i soldi spesi per il Cpr in progetti di integrazione e reinserimento sociale in opposizione alla volontà e alla direzione intrapresa dal governo. Favorevole alla riapertura è invece Anna Valdalà, consigliera della Lega, che ha dichiarato che la riapertura del Cpr di Torino sarebbe una «misura necessaria, fermo restando il garantire condizioni di umanità».
Condizioni di umanità che vengono però sistematicamente violate da anni all’interno dei Centri per il rimpatrio, luoghi in cui è anche complesso dimostrare le violenze perpetuate sulla pelle delle persone detenute dato che tali centri si configurano come luoghi chiusi all’esterno, dove spesso non sono ammessi cellulari, favorendo un’impunità di soprusi e negligenze da parte degli operatori al loto interno, come dimostra la storia di Moussa Balde.
Contro la riapertura del Cpr di via Brunelleschi sono state organizzati a Torino 3 giornate di discussione e mobilitazione contro i “mille volti del razzismo”. Il primo appuntamento è il primo novembre con un corteo che partirà dal quartiere San Paolo. L’esigenza non è esclusivamente quella di opporsi alla riapertura del Cpr di via Torino, ma quella di denunciare il sistema detentivo dei Centri per il rimpatrio e analizzare il razzismo diffuso che permea la realtà italiana ad oggi, partendo dalle legittimizzazioni e dai progetti del governo che ha apertamente intrapreso una politica anti migratoria che viola sistematicamente i diritti umani.
«Estrapolare la lotta contro i CPR, da un discorso unicamente antidetentivo, ci consente di rendere esplicito il ruolo che queste prigioni hanno nel fungere anche, e non solo, da monito ai liberi e rafforzare così il ricatto del permesso di soggiorno. Lottare contro le galere amministrative, assume così, un significato nel porsi a fianco dei migranti, lavoratori e non, che chiedono documenti, casa e tutele per tuttx».
La morte di Moussa Balde non è stata una fatalità, ma l’ennesima drammatica prova di un sistema che non è accettabile in uno stato di diritto come quello italiano. Nei Cpr sono rinchiuse persone la cui unica colpa è quella di non possedere documenti che le regolarizzino sul territorio italiano. A quanti suicidi, quante violenze e denunce si dovrà ancora assistere prima di rendersi conto della complicità del governo in questo sistema di nuovi lager che sono i Centri per il Rimpatrio Italiani? è necessaria una decisa presa di posizione da parte della popolazione civile, dal mondo associazionistico e dalla politica contro quello che è un sistema carcerario che non dovrebbe avere diritto di esistere.