La morte, la figlia illegittima dell’epoca vittoriana

L’epoca vittoriana affascina da sempre, ma cerchiamo di capire perché c’è questo alone di mistero e paura intorno a questo periodo storico.

Il pubblico vittoriano era attratto da tutto ciò che riguardasse il  misterioso e aiutasse a spostare il “velo” della realtà oggettiva; sentiva inoltre la presenza costante della morte, che prima o poi avrebbe accolto tutti senza  alcuna distinzione. Molte sono le leggende sui fantasmi in epoca vittoriana, così come le storie legate alla cronaca nera riguardo a stragi  domestiche e omicidi, pane quotidiano per la stampa del tempo.

Lo tendenza allo spiritismo, ad esempio, approda in Inghilterra nella metà del XIX  secolo e riscuote sin da subito grande successo. Solo nell’epoca vittoriana nasce però la volontà di fondare delle  vere e proprie associazioni d’indagine spiritica come la Ghost Society di Cambridge fondata  nel 1851 o la British National Association of Spiritualists del 1878. Le sedute spiritiche erano oggetto di intrattenimento  nelle serate dell’aristocrazia inglese. La funzione principale di queste apparizioni era quella di alimentare e soddisfare il forte  bisogno d’immortalità che caratterizzava la mentalità dell’epoca.

I vittoriani erano anche molto attratti dal vampirismo, credenza nata in Europa intorno al  1600 e tornata molto in voga con l’avvento del romanzo gotico. Le origini erano legate alla diffusione di epidemie come la peste o malattie come la tubercolosi. Il sociologo e saggista italiano Massimo  Introvigne, nel suo libro La stirpe di Dracula, ha tracciato un percorso sulle origini di questa strana leggenda. Nel libro è presente una storia vera: il caso di Mercy L. Brown.

Mercy Brown era una diciannovenne del New England morta  il 18 Gennaio 1892 probabilmente a causa di tubercolosi. Nel momento della riesumazione,  avvenuta poco più tardi, venne ritrovata con il corpo intatto, conservando ancora sangue negli  organi. La scoperta fu scioccante e si ipotizzò che la ragazza fosse appunto una vampira,  mentre in realtà l’ipotesi più plausibile è che il rigido inverno avesse contribuito a rallentare  il deterioramento del cadavere. Il fascino del vampirismo è legato anche all’aspetto erotico. Spesso la repressione della sessualità nella vita reale portava a  incrementare strane fantasie: nacquero così le donne-vampiro, bevitrici di sangue e affamate  predatrici nella sfera sessuale.

Taphefobia e gusto per la morte in epoca vittoriana

Un’altra caratteristica peculiare di questo periodo era il rapporto con la morte. La regina Vittoria nel 1861 perse l’amatissimo marito Alberto di Sassonia, iniziando da quel  momento ad assumere atteggiamenti luttuosi e a vestirsi sempre di nero: così facendo aveva  inconsapevolmente lanciato una moda, trasformando il suo regno nel paese dall’abito nero.  

Nel dipinto The Vale of Rest (1859) di John Everett Millais possiamo riscontrare a pieno  questo gusto per la morte e una concezione “deviata” della sfera sessuale. La scena raffigura  due giovani suore: una sta scavando una fossa nel bel mezzo di unepoca vittoriana cimitero, mentre l’altra,  seduta di fianco con gli occhi fissi e ammiccanti, guarda verso lo spettatore. Osservando il  dipinto respiriamo segni di caducità e morte in ogni angolo ma possiamo anche notare  un’immagine distorta del cristianesimo.  




La suora non rappresenta qui la classica figura religiosa, è dipinta nell’atto di scavare la  terra proprio come una vera lavoratrice, con le maniche dell’abito arrotolate come una  contadina. Ma la sessualità scaturita dal dipinto non si ferma a questi elementi, seguendo la  vicenda biografica del pittore infatti, scopriamo che questo aveva sposato Effie Gray,  precedente coniuge di John Ruskin. Secondo la storia, i due pur essendo stati sposati per  cinque anni non avevano consumato il matrimonio. Millais decise così di ritrarre la donna  come una suora, intrappolata nella sua castità ma desiderosa di uscirne. 

La mania per le usanze funebri, i cimiteri ed in generale il gusto per la morte si collega alla taphefobia (dal greco taphos, sepolcro), ovvero la paura di essere sepolti vivi a causa di una  imprecisa constatazione di morte. Questa fobia era molto diffusa e non sembra essere del tutto  infondata. Si legge nel libro La tentazione dell’occulto. Scienza ed esoterismo nell’età vittoriana di Germana Pareti:

Dalle clausole inserite nei testamenti che obbligavano a recidere la gola dei defunti alla  richiesta di un consulto collegiale di almeno tre medici chiamati ad accertare i segni di  decomposizione, nulla veniva risparmiato se si volevano tacitare le angosce generate dal  «timore della fine».

Divertirsi con il macabro

I vittoriani erano incantati dal mondo circense e dagli spettacoli in  generale. Non erano pochi i casi di freak show, attrazioni dove venivano mostrati soggetti  o animali con deformità fisiche. Talvolta, questi individui venivano esposti, proprio come  animali in uno zoo, in gabbie o dietro alle vetrine per essere dati in pasto al grande pubblico  che poteva così deriderli.

Sempre alla ricerca di emozioni forti e fuori dal comune, la folla  amava recarsi presso istituti psichiatrici come il celebre ospedale Bethlem Royal Hospital. In  quel posto infernale, i pazienti erano trattati come bestie, rinchiusi in celle piccole dove  perdevano ogni contatto con la realtà. L’ospedale per guadagnare sempre più denaro, aveva  dato la possibilità alle persone di pagare per poter vedere i pazienti proprio come si fa allo  zoo. Si legge in Research Themes for Tourism (2011) di Peter RobinsonSine Heitmann e Peter U. C. Dieke:

Le visite al St. Mary Bethlehem Hospital […] erano comuni, così come le visite ai malati di mente clinica. Questa forma di voyeurismo oscuro era popolare tra la ricca classe borghese vittoriana, attingendo alla mentalità delle persone. Attingeva alla psiche delle persone e rafforzava le antiche credenze associate a punizione, retribuzione e morte.

Horror victorianum

Anche la moda era particolarmente stravagante: affascinati dal regno animale e dalla  storia naturale in genere, le donne amavano abbellirsi con bigiotteria macabra per i  nostri tempi. I gioielli potevano essere delle spille con degli insetti o orecchini con uccellini imbalsamati (spesso il colibrì). Persino portare ciocche di capelli appartenute ai  cari defunti era considerato qualcosa di normale, sempre coerente con quel sentimento di non  fuggire dalla morte ma di considerarla parte integrante dell’esperienza vitale. Il filosofo David  Stove a questo proposito ha coniato il termine “horror victorianum”.

Nell’Ottocento grazie all’invenzione del dagherrotipo si diffusero anche le prime foto  post mortem, raffiguranti il viso o il busto del defunto. Era persino comune posizionare il cadavere come se questo fosse ancora in vita. Tale usanza  intendeva imprimere su carta il ricordo della persona prematuramente scomparsa. Il defunto  veniva posizionato su un divano, seduto sulle sedie e con gli occhi aperti o persino in piedi,  servendosi di appositi sostegni. I bambini, invece, venivano mostrati come dormienti o  fotografati nelle braccia della madre. Per dare l’apparenza che fossero ancora in vita, spesso  si ricorreva al trucco rosato sulle guance oppure venivano dipinte le palpebre in modo da far  credere che gli occhi fossero aperti.

Le cause sociali

Anche se oggi considereremmo i vittoriani un branco di perversi ossessionati dalla morte, vanno fatte alcune considerazioni importanti. L’epoca vittoriana è caratterizzata da gravi problemi sociali che portavano spesso le persone ad abusare di droghe e alcol. I rimedi medici erano sperimentali e causavano molti più danni di quello che si pensasse. I medicinali spesso erano a base d’oppio o di altre sostanze stupefacenti come cocaina o cannabis. L’effetto anestetico e antidolorifico  di queste droghe sembrava curare almeno temporaneamente i dolori portati dalle malattie, in  realtà creava soltanto dipendenza. Vi erano tonici per qualsiasi evenienza,  come calvizie, carenza di seno, sterilità e così via. Le strade erano gremite di venditori  ambulanti che offrivano i servizi più disparati. 

In un contesto storico così difficile, la morte siede accanto ad ogni membro della società. Come si scappa? La si esorcizza. Inoltre, la morte e le sue brutture sono state anche un potentissimo mezzo culturale per la critica sociale. Si mette a nudo la realtà, facendo comparire profondi dissidi e contrasti troppo spesso celati  dietro a sentimenti di perbenismo e ottimismo sociale. Come potremmo immaginare i romanzi di Dickens senza un’epoca vittoriana così spaventosa?

Ogni epoca sente quindi il bisogno di creare opere grottesche volte a smuovere gli animi  e a creare squilibri. Questo mondo grottesco e spaventoso sembra quasi un mondo parallelo, ma al contempo indispensabile all’essere umano.  I due mondi si tengono stretti e non  potremmo immaginare diversamente in quanto la deformità è l’altra faccia dell’armonia, la  bruttezza della bellezza e non vi può essere luce senza ombra.

Giulia Sofia Fabiani

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