Lo ammetto, intitolare l’articolo come se lo studio in questione fosse centrato sulla morte del Sole è una furbata, ma sono in buona compagnia perché anche l’Università di Manchester, da cui lo studio proviene, ne ha dato notizia nella maniera che più avrebbe incuriosito il pubblico “che succederà quando il nostro Sole morirà?“, in realtà lo studio pubblicato su Nature Astronomy nel titolo parla di mistero e di funzione rivelandone la vera natura, si tratta di un nuovo modello teorico che va a risolvere il mistero di una discrepanza tra i vecchi modelli e quanto osservato scrutando l’universo.
Va bene finora sono stato abbastanza criptico, vediamo di chiarire (senza assolutamente entrare nello specifico dei complessi modelli teorici): soggetto della ricerca sono le nebulose planetarie.
Le nebulose planetarie sono tra gli oggetti più colorati e spettacolari del cielo, il nome vi rivela che sono nubi, l’aggettivo planetarie invece è sbagliato, frutto di un equivoco, quando furono scoperte si pensò che erano le nubi di formazione di un sistema planetario, invece sono un effetto delle ultime fasi di vita di stelle piccole e medie (da poco meno della massa del nostro Sole a otto masse solari). Si tratta di una fase che in termini astronomici dura un attimo, appena diecimila anni, segna il passaggio dalla fase di gigante rossa a quella di nana bianca, la stella espelle il suo guscio esterno che viene illuminato dal nocciolo riscaldato. Anche se non siete appassionati di astronomia non vi sarà difficile intuire che se la gigante è rossa e la nana è bianca vuol dire che la piccola stella che viene dopo ha una temperatura più alta.
Il mistero era: i nostri modelli teorici ci dicevano che stelle di massa inferiore a due masse solari avrebbero dato origine a nebulose troppo deboli per essere viste (considerare che le nebulose sono così luminose che noi vediamo nebulose in altre galassie), i dati osservativi invece ci dicevano che non era così, anche piccole stelle danno origine a nebulose planetarie visibili. Se vi state chiedendo come gli scienziati sanno da che tipo di stella è nata una nebulosa planetaria dipende dal tipo di galassia in cui è contenuta, più o meno vecchia.
Soluzione del mistero era ovviamente che laddove i dati osservativi ci dicono qualcosa di diverso dai modelli vuol dire che quest’ultimi non sono accurati, il problema era trovarne dei nuovi che funzionassero, ora il professor Albert Zijlstra, astrofisico presso l’osservatorio di Jodrell Bank e gli altri firmatari dello studio l’hanno trovato, il loro modello prevede che già stelle di 1,1 masse solari diano origine a nebulose planetarie visibili (quelle maggiori di tre masse solari danno origine a nebulose un po’ più luminose).
Cosa giustifica nel nuovo modello questa maggiore luminosità fornita dal nocciolo delle stelle di minor massa? Si riscaldano tre volte più velocemente che nei precedenti, dando la possibilità anche a stelle di piccola massa di illuminare una nebulosa, in maniera non brillantissima come fanno le più grandi, ma ancora visibile. La nostra stella è al limite ma dovrebbe rientrarci, dunque la morte del Sole sarà brevemente celebrata, per una decina di migliaia di anni, da uno di questi colorati ed affascinanti fenomeni celesti.
Roberto Todini