Quello di Mortaza Behboudi, giornalista franco-afghano arrestato a Kabul il 7 gennaio 2023, non è che l’ennesimo atto di sfida dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan ai pochi giornalisti rimasti nel paese dopo che nell’agosto 2021 i talebani hanno ripreso il controllo di Kabul. L’annuncio dell’applicazione della Sharia nel paese lo scorso novembre è solo l’ultima delle decisioni imposte dai talebani in Afghanistan, dove la già precaria condizione in cui versavano i diritti umani si è ormai avviata verso un deterioramento tanto rapido quando drammatico.
L’assenza di libertà civili e la repressione feroce dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan nei confronti di ogni tentativo di dissenso ha finora portato all’arresto di diversi giornalisti stranieri e non, e laddove oltre il 60% dei giornalisti afghani ha lasciato il paese o abbandonato l’esercizio della professione, coloro che hanno scelto di continuare a lavorare nel paese subiscono pressioni schiaccianti per conformarsi all’ideologia fondamentalista islamica imposta dal regime talebano. L’arresto di Mortaza Behboudi, giornalista afghano che dal 2015 si trovava in asilo politico in Francia e aveva scelto di tornare in Afghanistan per testimoniare con il suo lavoro la realtà quotidiana del paese sotto i talebani, non è che l’ultimo di una lunga serie di atti di sfida dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan alla stampa libera, una guerra che come riporta il Committee to Protect Journalists ha portato all’intimidazione e all’arresto immotivato di diversi giornalisti.
Chi è Mortaza Behboudi, il giornalista franco-afghano che ha scelto di tornare in Afghanistan dopo quasi 8 anni
Nato nel 1994 a Behsud, a circa tre ore di strada da Kabul, Mortaza Behboudi ha lasciato il suo paese per la prima volta a soli due anni, quando insieme ai suoi genitori si è trasferito in Iran per scappare dal regime talebano. Ritornato in Afghanistan nel 2012, ha ottenuto la laurea in Legge e Scienze Politiche all’Università di Kabul, iniziando contemporaneamente la sua carriera di giornalista e concentrandosi in particolar modo sul tema delle migrazioni di massa e dei rifugiati. Il lavoro di giornalista di Behboudi lo ha portato a diventare un bersaglio dei talebani già nel 2014, dopo la pubblicazione di un’investigazione sul commercio dell’oppio, costringendolo a richiedere asilo in diversi paesi occidentali.
Trasferitosi in Francia dopo aver ottenuto l’asilo politico nel 2015, Mortaza Behboudi ha qui co-fondato Guiti News, una piattaforma online sulla quale giornalisti francesi e rifugiati collaborano per portare alla luce gli aspetti più complessi del recente fenomeno delle migrazioni di massa. L’idea che ha portato Mortaza Behboudi a dare vita a Guiti News è stata quella di creare una piattaforma sulla quale altri giornalisti in fuga giunti in Francia potessero pubblicare il loro lavoro in tutta sicurezza, un proposito nobile che nel 2019 ha portato il giornalista franco-afghano a essere nominato da Forbes come una delle 30 personalità sotto i 30 anni più influenti nel mondo dei media. Nel frattempo Behboudi ha continuato a lavorare anche al di fuori di Guiti News, operando come volontario dell’UNCHR nel campo profughi di Moria sull’isola di Lesbo e rimanendo l’unico giornalista lì presente durante il lockdown dovuto al Covid-19 nel 2020, rendendo note in tutto il mondo le condizioni disperate nelle quali si sono trovati costretti a vivere gli abitanti del campo in quei mesi.
La presa di Kabul da parte dei talebani nel 2021 ha portato Mortaza Behboudi a occuparsi in maniera continuativa dell’Afghanistan, attraverso reportage come Across Afghanistan under the Taliban (2022) e Young Afghan girls sold in order to survive (2022), che gli sono valsi alcuni dei più prestigiosi premi giornalistici francesi. Il desiderio di portare una testimonianza in prima persona di quanto stava accadendo nell’Afghanistan sotto il regime talebano ha portato Behboudi a fare ritorno nel paese il 5 gennaio 2023, dove è stato arrestato meno di 48 ore dopo mentre cercava di ritirare i documenti necessari per essere riconosciuto come membro della stampa.
Non si hanno molte notizie di quanto accaduto a Mortaza Behboudi dopo il suo arresto. Il giornalista è stato detenuto per undici giorni in una prigione di Kabul con l’accusa di non essere in possesso dei documenti necessari a esercitare la professioni di giornalista in Afghanistan ed è quindi stato trasferito in un altro centro di detenzione della città, dove presumibilmente si trova ancora oggi. L’accusa con la quale Behboudi è trattenuto in carcere è quella di spionaggio, per la quale potrebbe venire condannato a morte.
Dal giorno del suo arresto, la famiglia di Mortaza Behboudi ha potuto comunicare con il giornalista soltanto tramite una breve telefonata tenutasi il 26 gennaio sotto la supervisione costante delle guardie del carcere, che dopo appena un minuto vi avrebbero posto fine. Da allora non si sa più nulla di Behboudi e di cosa gli riserverà il futuro, nonostante l’appello di organizzazioni quali Afghanistan Journalists Center e di Press Emblem Campaign per il rilascio immediato e incondizionato del giornalista.
La drammatica condizione dei giornalisti in Afghanistan, tra denunce e silenzi assordanti
La storia di Mortaza Behboudi non è un’eccezione, bensì la norma dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan. La repressione messa in atto dai talebani nei confronti di ogni forma di dissenso ha avuto conseguenze drammatiche e decimato la popolazione di giornalisti presente nel paese, passata secondo le stime di Reporters Without Borders dagli 11.857 membri prima del 15 agosto 2021 ai 4.759 dell’ultima rilevazione.
Blaise Lempen, il presidente di Press Emblem Campaign, l’organismo globale per la sicurezza e i diritti dei media, si è così espresso riguardo alla penosa situazione in cui si trovano i giornalisti nell’Afghanistan dei talebani:
“In Afghanistan viene continuamente rimarcata la terribile situazione in cui versa la libertà di stampa, con i giornalisti che si trovano a dover affrontare regolarmente minacce, insulti, detenzioni e aggressioni fisiche. Gli oltre 600 media afghani attivi ora stanno smettendo di funzionare. L’anno scorso oltre cento giornalisti afgani sono stati temporaneamente detenuti dalle autorità. Le situazione è ancora più drammatica per le giornaliste donne. Richiediamo che le autorità garantiscano la libertà di stampa.”
Quello riportato da Lempen è un quadro tragico, che descrive le difficoltà quotidiane a cui vanno incontro i membri della stampa nazionale e internazionale nel paese. A confermare le sue parole sulla condizione ancora più penosa per le giornaliste donne, Reporters Without Borders riporta come quasi l’80% di loro abbia dovuto abbandonare il proprio lavoro e di coloro che ancora lo praticano la quasi totalità opera a Kabul, non avendo quasi rappresentanti né nel resto del paese né all’interno delle associazioni che tutelano i membri della stampa. Questi dati riflettono la condizione ancora più drammatica nel quale versano le donne in Afghanistan oggi, private dei diritti più elementari nonostante le iniziali dichiarazioni dei talebani volte a rassicurare i paesi occidentali.
Il futuro della stampa in Afghanistan
L’appello di Press Emblem Campaign, che segue quello lanciato da Reporters Without Borders insieme a quindici media e agenzie di produzione francesi un mese dopo l’arresto del giornalista, è che i talebani procedano con l’immediata liberazione di Mortaza Behboudi. Le autorità francesi si sono impegnate a combattere per la liberazione di Behboudi, che da anni è in possesso anche della cittadinanza francese ed è uno stimato professionista, e alcuni degli esponenti più in vista del panorama mediatico transalpino hanno lanciato la campagna #FreeMortaza con il supporto della moglie del giornalista e della sua famiglia.
Non abbiamo modo di conoscere il futuro di Mortaza Behboudi, ma la sua prolungata detenzione nonostante l’intervento delle autorità francesi e la risonanza mediatica del suo arresto potrebbe rappresentare la conferma definitiva, qualora ce ne fosse bisogno, della linea intransigente intrapresa dall’Emirato Islamico dell’Afghanistan nei confronti di quei giornalisti che coraggiosamente lavorano per testimoniare al mondo la realtà quotidiana della vita sotto il regime talebano. Sebbene secondo i dati ufficiali nessun giornalista è stato ucciso in Afghanistan dall’agosto 2021 e solo nove risultano trovarsi attualmente in carcere, la situazione reale è presumibilmente molto più drammatica, come dimostra anche il crollo del paese al 156esimo posto su 180 nella classifica stilata annualmente da Reporters Withouth Borders sulla libertà di stampa nel mondo.
È quindi più che mai necessario dare spazio agli appelli lanciati da Press Emblem Campain, Afghanistan Journalists Center e Reporters Withouth Borders non soltanto per la liberazione di Mortaza Behboudi, ma perché la comunità internazionale intraprenda azioni a tutela del lavoro dei giornalisti dissidenti e della stampa estera in Afghanistan, che in questo momento è schiacciata dalle intimidazioni costanti e feroci del regime talebano. Soltanto un supporto efficace alla stampa e la presenza di riflettori internazionali puntati sul regime dei talebani possono infatti fare luce sulle sistematiche e sempre più brutali violazioni dei diritti umani che sono ormai la norma nel paese.