Morta Diana Russell, la sociologa che coniò il termine “femminicidio”

Attivista, sociologa e criminologa, è morta Diana Russell, coniò il concetto femminicidio.

Fonte foto: Facebook @DianaEHRussell
Fonte foto: Facebook @DianaEHRussell

Diana E H Russell ha dedicato la sua vita alla battaglia per la difesa sulle donne, la sociologa, criminologa e studiosa è morta all’età di 81 anni lo scorso 28 luglio. La notizia della sua scomparsa è stata resa nota dal San Francisco Chronicle, la Russell è morta a causa di un’insufficienza respiratoria.




Diana Russell ha dedicato tutta la sua vita alla riparazione dei crimini perpetrati contro le donne, si deve a lei l’introduzione del termine femminicidio.

Una vita spesa per le Donne

Diana Russell è nata il 6 novembre 1938 a Città del Capo in Sudafrica in una famiglia di sei figli. Dopo essersi laureata all’Università di Città del Capo si è specializzata in sociologia alla London School of Economics di Londra. 

Nel 1961 ottenne il primo in carico come ricercatrice presso la Harvard Univesity, il primo incarico di una carriera folgorante, interamente spesa a servizio delle donne. Si deve a lei il primo programma televisivo in Sudafrica dove le donne vittime di abusi raccontano le loro  esperienze.

Parlò per prima del Femminicidio

Si deve a Diana Russell la coniazione del termine femminicidio, era il 1976 e la sociologa fu la prima a trovare una definizione per “L’uccisione di femmine da parte dei maschi in quanto femmine.”  La studiosa non si limitò alla definizione dell’atto ma si impegnò affinché fosse riconosciuta la valenza politica della parola, nata per puntare i riflettori sulla “misoginia alla base dei crimini contro le donne.”

Il termine femminicido è stato poi alla base della campagna per la  costruzione del Tribunale internazionale sui crimini contro le donne. Nel 1992 arrivò da parte della Russell un’ulteriore precisazione sul concetto di femminicidio, evidenziandone la rilevanza sociale:

Il concetto di femminicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine.”

L’importanza di chiamare le cose con il loro nome

Non tutte le uccisioni di donne rientrano nella categoria dei femminicidi, rientrano in questa categoria tutte quelle forme di violenza che vengono sistematicamente  esercitati sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale,  l’obiettivo come sottolineato in Devoto – Oli 2009 è quello di “perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.”

Negli ultimi mesi si è molto dibattuto sull’importanza di chiamare le cose con il proprio nome, in modo particolare quando si riportano notizie di cronaca che rientrano nella sfera della violenza contro le donne. Il femminicidio è infatti la punta di un iceberg ben più ampio, che si colloca n un rapporto di continuità – continuum della violenza – con una miridiade di altre forme.

La violenza di genere

Si passa dallo stalkin alle molestie, dal revenge porn allo stupro, dal dominio alla disuguaglianza tra sessi. La violenza contro le donne si declina in molteplici forme che fanno capo a due motivazioni di base: eccesso di potere femminile e all’insufficiente potere femminile. Quella che può sembrare una contraddizione altro non è che la faccia della stessa medaglia.

Da una parte i sociologi, interpretano la violenza maschile nei confronti delle donne una necessità che l’uomo ha d’indirizzare i comportamenti femminili. Non dimentichiamo infatti che, nel nostro ordinamento, fino al 1956 era in vigore lo jus corrigendiil potere del pater familias, non ancora del tutto estirpato in diverse realtà

Dall’altra la violenza di genera viene letta come una risposta  all’emancipazione della donna e la ritrovata e rivendicata libertà femminile. In questo caso i sociologi vi leggono una sorta di paura nei confronti di una donna che non rientra più nelle dinamiche d’inferiorità imposte dal patriarcato.

La morte di Diana E. H. Russell non può non diventare un momento di riflessione e studio, perché la lotta contro la violenza di genere non è solo un’idea, il femminicidio non è un’opinione e il patriarcato non è un’invenzione delle donne.

Emanuela Ceccarelli

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