La regione sudanese del Nilo Bianco sta sperimentando una grave crisi sanitaria che colpisce soprattutto i bambini: sospetti casi di morbillo e malnutrizione in Sudan hanno causato la morte di oltre 1200 rifugiati sotto i 5 anni, nel periodo dal 15 maggio al 14 settembre. OMS e UNHCR invocano il supporto della comunità internazionale.
La guerra civile in Sudan ha causato il collasso del sistema sanitario nelle regioni meridionali del paese e i civili non hanno più accesso a cure adeguate. Il 19 settembre l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) hanno comunicato che la situazione sanitaria nella regione del Nilo Bianco (sud-est del paese) è critica: sospetti casi di morbillo e malnutrizione in Sudan hanno ucciso più di 1200 bambini sotto i 5 anni di età negli ultimi quattro mesi, dal 15 maggio al 14 settembre.
Il morbillo è una malattia virale molto contagiosa che infetta primariamente le vie respiratorie e successivamente si propaga nel resto del corpo della persona infetta con rapidità. Esso rappresenta una delle principali cause di morte infantile tra quelle che possono essere evitate tramite i vaccini. Dal momento che non esistono trattamenti specifici per curare la malattia quando si presenta, la vaccinazione influisce sulla gravità dei sintomi. Sono quasi esclusivamente i bambini non vaccinati ad essere colpiti duramente o addirittura uccisi dal morbillo, spesso nei primi anni di età.
Nonostante un’iniziativa globale di contrasto al morbillo e alla rosolia (la cosiddetta Measles and Rubella Initiative – M&RI istituita nel 2001) abbia considerevolmente ridotto l’incidenza del morbillo negli ultimi vent’anni (diminuita dell’83%), il Sudan e altri paesi subsahariani sono ancora duramente colpiti da gravi focolai.
I bambini i più colpiti, UNHCR e OMS chiedono aiuto
Il rischio epidemico all’interno dei vari campi profughi del paese rimane alto: i gruppi operativi dell’UNHCR hanno registrato 500 casi di colera, oltre a sviluppi malarici e di febbre dengue. I continui scontri tra l’esercito sudanese e il gruppo paramilitare RSF (Rapid Support Forces) tuttavia impediscono ai centri medici e agli ospedali di funzionare efficacemente e di accedere a rifornimenti di materiale sicuri, rendendo di fatto i tentativi di cura più difficili e condannando a morte i civili meno protetti.
Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, e Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, hanno chiesto concreto supporto alla comunità internazionale per proteggere chi lavora nel settore sanitario e per garantire un sistema di cure efficace. Hanno inoltre invocato più attenzione e collaborazione da parte dei paesi e delle organizzazioni governative internazionali in merito alla situazione in Sudan, dal momento che le possibilità per essere incisivi nel territorio ci sono.
Nonostante medici, infermieri e lavoratori sanitari stiano facendo tutto il possibile con il personale, gli strumenti e gli spazi a loro disposizione (con il supporto dell’OMS e delle altre organizzazioni coinvolte), servono innanzitutto soldi e mezzi (medicinali e apparecchiature di urgenza) per stabilizzare la situazione ed evitare che tutto il sistema di aiuto umanitario in Sudan crolli.
Non solo il Sudan affronta una crisi sanitaria
Le fughe di rifugiati dal paese hanno fatto in modo che le infezioni virali si trasmettessero con più facilità tra le popolazioni del Sahel. In Sud Sudan si sono verificati oltre 5770 casi di morbillo sospetto e 142 morti (oltre il 70% delle vittime è rappresentato da bambini minori di 5 anni). La mancanza di immunizzazione nella popolazione è la prima causa di sviluppo di patologie gravi come questa. Nella regione etiope di Amhara, invece, tra le 18.000 persone fuggite dal conflitto si sono verificati 435 casi sospetti di colera e tra questi 8 persone sono morte. Il Ciad ha registrato 15.000 casi di malnutrizione tra i minori sudanesi immigrati. Una situazione destinata a peggiorare senza un immediato intervento cooperativo a supporto delle popolazioni locali.