L’ex presidente boliviano Evo Morales ha ricevuto l’asilo politico da parte del Messico dopo gli scossoni politici delle ultime settimane. Lunedì sera è stata diffusa infatti una fotografia di Morales con una bandiera messicana, mentre si trovava a bordo di un mezzo dell’aeronautica.
Non si sa se questo sia l’epilogo di una crisi che va avanti ormai da settimane. Anzi, sembrerebbe proprio di no: Morales prima di raggiungere il Messico aveva promesso che sarebbe tornato in Bolivia con più forza, criticando aspramente il presunto golpe ordito dai suoi avversari politici Mesa e Camacho, supportati dalla polizia.
La tentazione, poi, quando si parla di Sud America è sempre quella di incentrare la discussione sul ruolo degli USA nella storia di queste democrazie a volte claudicanti. La realtà è però complessa anche solo a guardarla dall’interno. La situazione nel paese è estremamente caotica, visto che tutte le cariche istituzionalmente più rilevanti si sono dimesse in solidarietà con Morales. La fase che si apre ora è sicuramente di transizione e Jeanine Anez Chavez, seconda vicepresidente del Senato appartenente all’opposizione, dovrebbe essere nominata a guidare il governo in questo complicato momento.
Ma partiamo dall’inizio
Juan Evo Morales Ayma ha 60 anni ed è stato presidente della Bolivia per tre mandati consecutivi, dal 22 gennaio 2006 fino alle dimissioni del 10 novembre 2019. E’ soprannominato anche “el Indio”, perché è stato il primo presidente indigeno a guidare la Bolivia in oltre 500 anni dalla conquista spagnola. Socialista, già leader del movimento sindacale, Morales è una figura comunque ambigua nella storia boliviana. Apprezzato soprattutto per la sua appartenenza a una minoranza etnica (quella degli aymara) e rispettato per le riforme economiche che ha portato avanti negli anni, è stato però molto criticato per le derive autoritarie del suo mandato.
La nuova Costituzione
Evo Morales nel 2009 ha introdotto anche una nuova Costituzione, che avrebbe impedito l’assunzione del mandato presidenziale per più di due mandati consecutivi. Già in molti avevano storto il naso quando Morales si era candidato al terzo mandato presidenziale, sottolineando come il primo (quello del 2006) dovesse non essere considerato, perché antecedente alla promulgazione della Costituzione. Una sorta di mandato zero, di grillina memoria. Passi, dunque, il secondo mandato che sulla carta sarebbe il terzo.
Il referendum
Nel 2016, poi, Morales ha indetto un referendum molto personale, chiedendo al popolo boliviano se avesse potuto ricandidarsi, ancora una volta, in barba alla costituzione da lui stesso introdotta. Dopo una clamorosa sconfitta, però, il presidente non si è dato per vinto e ha fatto ricorso alla Corte Suprema della Bolivia contro il suo stesso referendum (contro la sua stessa Costituzione). In una sorta di “meno per meno uguale più”, la Corte gli ha dato ragione e ha smontato referendum e Costituzione del 2009.
Le elezioni del 20 ottobre 2019
Beatamente, quindi, Morales ha potuto ricandidarsi per le elezioni del 20 ottobre, contro lo sfidante Carlos Mesa. Ci si attendeva un ballottaggio (dato dal fatto che nessuno dei due candidati potesse superare il 50%), ma così non è andata. Sembrava plausibile che lo scarto dei voti non potesse andare oltre il 10% (questo avrebbe comportato comunque il ballottaggio, secondo la legge elettorale boliviana), ma Morales ha vinto con il 10,56% di voti in più, rispetto a Mesa. Il clima si è fatto sempre più teso. L’agenzia che si occupava della diffusione dei risultati elettorali, infatti, dopo il testa a testa iniziale negli exit poll si è taciuta e ha diffuso solamente le percentuali finali, scatenando dubbi e poi vere e proprie proteste.
Un colpo di Stato?
Il presidente, seppure contestato, ha reclamato la vittoria lo scorso 24 ottobre e ha denunciato lo sciopero generale lanciato dai comitati dell’opposizione e della società civile come tentativo di colpo di Stato. L’opposizione gli ha offerto un ultimatum e Luis Fernando Camacho, uno dei suoi principali detrattori, ha invitato l’esercito a “stare con il popolo”. Intanto è subentrata anche l’Organizzazione degli Stati Americani, che parla di vera e propria “frode elettorale”. I giornali internazionali, comunque, sono molto cauti nel parlare di “golpe” perché effettivamente si tratterebbe di moti partiti dal basso e dalla popolazione insoddisfatta per la deriva autoritaria della presidenza Morales.
Le dimissioni obbligate
L’8 e il 9 novembre, diverse unità di polizia si sono ammutinate. Il presidente Morales ha chiesto un dialogo con i partiti rappresentati in Parlamento, ma l’invito non ha ricevuto risposta né da Mesa né da altri. Fuori dai palazzi del potere, la violenza ha iniziato a prendere il sopravvento, con addirittura incendi ai municipi e sequestri di familiari dei politici vicini a Morales. Il 10 novembre l’OSA ha raccomandato nuove elezioni, che il presidente boliviano ha accettato. Si è dimesso domenica poco prima delle 17 , assecondando la richiesta del comandante della polizia e dal capo dell’esercito della Bolivia. Quest’ultimo aveva annunciato che l’esercito era pronto a intervenire. I militari, dunque, si sono apertamente schierati contro Morales. Nel dimettersi l’ormai ex presidente ha parlato di “colpo di stato”, da parte di “forze oscure che hanno distrutto la democrazia”.
La fuga in Messico
Morales si è dato quindi alla fuga verso il Messico che, nel frattempo, gli aveva offerto l’asilo politico. La sua casa è stata presa di mira dai contestatori. In un video, girato con un cellulare e diventato poi virale, si vedono numerose persone, con i bambini per mano, visitare la casa del leader socialista e deturparla con graffiti e altre forme di vandalismo. La parabola del leader, quindi, sembra avere iniziato in modo inesorabile la sua fase discendente. Dopo essere stato osannato per anni e aver comunque portato la Bolivia a un buon livello di sviluppo progressivo, Morales lascia l’incarico, contestato dal popolo e abbandonato anche dall’esercito, con una lunghissima carriera politica di luci ed ombre. Di cui, però, Morales stesso non sembra rassegnato ad accettare la fine.
Elisa Ghidini