Montserrat Gudiol i Corominas descrive, tramite i suoi dipinti, un momento preciso: quello in cui qualcosa o qualcuno sbuca fuori dai giardini o dalle paludi delle nostre menti.
Affiorare, emergere, venire a galla, dal profondo dell’inconscio su su fin fuori gli occhi: quando ricordiamo all’improvviso qualcosa che avevamo dimenticato; quando tramite un’associazione di idee riconosciamo una situazione o rammentiamo qualcosa di detto o qualche persona conosciuta; un momento fissato nella memoria che non sempre è così evidente.
I dipinti di Gudiol (09/06/1933 – 25/12/2015, Barcellona) evocano questo: l’emersione. Ed “emersione” è il termine più appropriato poiché le grosse tele dipinte sembrano sempre mari quieti, lagune colorate e intense. Non si tratta però di paesaggi, oppure sì ma non certo ambientali: dalla distesa di tinta unita affiorano volti e mani, sagome appena accennate che contornano il confine del corpo senza racchiuderlo.
Le pareti della mente sono così: lunghe distese di colore dal sentore liquido che fanno da cornice a figure della nostra vita, che siano solo comparse o attori principali all’interno della nostra opera teatrale. Gudiol colpisce per la scelta di non dare né sfumature né profondità ai suoi soggetti se non per certi dettagli ed è così che si percepisce il movimento di emersione, come se questa figura non solo stia venendo fuori, ma si muova da sola verso lo spettatore a una tale velocità che la sua mano può già toccare l’altra. Un attimo prima del contatto, un movimento pacato diretto, per questo i volti e le mani sono sempre le uniche parti del corpo perfettamente descritte.
Cresciuta in un ambiente artistico, con un padre esperto di arte figurativa e una casa in cui arte e musica condivano
la quotidianità, Gudiol è sempre stata affascinata dal rapporto madre e figlio, molto indagato in una quantità di suoi quadri. Il che porta a certe sculture di Henry Moore nelle quali, in una composizione astratta e piena di vuoto -sì, esatto, piena di vuoto-, anche lui esplorava a fondo il concetto di famiglia e di maternità, di rapporto tra una madre e suo figlio. E allo stesso modo i bambini nei quadri di Gudiol sono sempre infagottati, non si vede quasi mai il viso e le madri, come le restanti figure, sbucano improvvisamente dallo sfondo per abbracciare e coccolare il proprio bambino.
L’espressività dei volti, pallidi per accentuare l’irrealtà degna di un fantasma, basta da sé per raccontare una storia, cancellando in un solo tratto la necessità di altri dettagli, che mancano totalmente e al loro posto rimane solo un fondale, spesso di un colore primario e pieno di luce e raramente in compagnia di altri colori.
Per ragioni poco comprensibili questo stile ipnotizza e cattura, impedendo la distrazione.
Ci sono volte in cui la mente ha bisogno di dettagli per focalizzare qualcosa e altre invece in cui ha bisogno di lentezza, silenzio e pacatezza.
Così come c’è bisogno di silenzio quando necessitiamo concentrarci per ricordare qualcosa; un attimo di silenzio per ricapitolare, mettere ordine, focalizzare, evocare, fare spazio, ricostruire e persino decidere e cambiare. Un attimo di silenzio e immensità in cui guardare sé e gli altri della propria vita.
Montserrat Gudiol è questa e altre finestre, per ogni momento di ogni pensiero.
Gea Di Bella