Con una media di quasi un incidente grave al giorno, ogni stagione estiva (ma anche invernale) viene ricordata come “la stagione nera della montagna” perché è pesante il bilancio degli incidenti che si verificano in quota nei quali sono coinvolti esperti frequentatori e gitanti della domenica, sia nelle località dell’arco alpino, sia sul Gran Sasso che sull’Etna. Molte tragedie si potrebbero evitare se gli escursionisti e alpinisti facessero più attenzione alle indispensabili norme di sicurezza: frequente è la sopravvalutazione delle proprie capacità ed una scarsa valutazione del percorso che si vuole intraprendere e dei relativi rischi. Puntualmente i media ci riferiscono di queste tragedie privilegiando, però, il sensazionalismo all’approfondimento. E’ per questo motivo che abbiamo deciso di affrontare l’argomento con Paolo De Luca, maestro di Sci , Accompagnatore di media Montagna e con un passato nell’organico del CNSAS del CAI al Gran Sasso per oltre dieci anni.
Come si spiegano tutti questi incidenti?
Negli ultimi anni è aumentato il numero delle persone che frequentano la montagna con conseguente aumento del rischio che si verifichino incidenti. A ciò si aggiunge che la possibilità di contare sul soccorso gratuito ha comportato l’avvicinamento all’ambiente montano di persone che si avventurano senza alcuna esperienza e molte volte spinti dall’obiettivo di superare sfide non in linea con le proprie capacità. Ed ecco allora gli escursionisti bloccati in quota dal maltempo, spesso con abbigliamento non adeguato: non è difficile, infatti, vedere persone con scarpe da ginnastica, pantaloncini corti e maglietta sui ghiacciai, contravvenendo alle basilari regole di sicurezza.
La tecnologia potrebbe essere di aiuto?
Non basta scaricare una App e portare un ricevitore Gps con l’illusione di avere la totale sicurezza. Una volta si faceva tutto lentamente e non esisteva internet; c’erano solo le guide cartacee. Oggi, grazie alla rete telematica, c’è uno scambio dati e informazioni aggiornate ma l’esperienza è fondamentale per non incorrere in infortuni che a volte possono avere conseguenze drammatiche.
Cosa intende dire quando afferma che “ i media preferiscono il sensazionalismo all’approfondimento”?
In seguito ad ogni incidente che si verifica in quota, gli organi di stampa si limitano a riferire l’accaduto invece di approfondire l’argomento. Infatti, mai nessuno parla delle costose operazioni di salvataggio che in Italia sono imputate per intero alla collettività perché gestite dal servizio sanitario nazionale (un minuto di volo di un elicottero medicalizzato arriva a costare 300 euro) oppure del servizio di elisoccorso che ogni regione affida a ditte private a costi altissimi. Per fortuna inizia a prevalere il buon senso da parte dei governanti degli enti autarchici locali. Infatti le regioni Lombardia e Piemonte hanno deciso di far pagare le costose operazioni di soccorso alpino al cittadino imprudente in emergenza come avviene da tempo in Veneto Trentino Alto Adige Val d’Aosta. Anche l’Abruzzo si è allineata alle regioni dell’arco alpino e al buon senso: un team di esperti (del quale ho fatto parte anche io) su incarico della competente commissione (Ambiente) ha redatto una bozza di Legge chiamata “REASTA” la quale , è stata approvata dal sovrano Consiglio Regionale nella seduta del giorno 13 Dicembre 2016.
In merito all’elisoccorso regionale, cosa propone?
Il tema riveste particolare importanza, soprattutto alla luce dei frequenti interventi in montagna: la mia personale opinione è quella di mutuare l’esperienza della regione Liguria e della regione Sardegna dove l’elisoccorso è affidato ai Vigili del Fuoco e non a privati con un enorme risparmio di costi e con la garanzia di un’elevata professionalità e sicurezza.
Ha un esempio?
In Abruzzo, dove vivo, l’elisoccorso 118 è un servizio che costa alla regione 26 milioni e 500 mila euro ogni cinque anni. Se invece si optasse per la soluzione prospettata, il risparmio sarebbe consistente: in Sardegna il costo è di poco più di 4 milioni di euro ogni tre anni.
In Italia, chi si occupa di soccorso alpino?
Ai sensi di una Legge di protezione civile, la numero 74 del 21.03.2001, al Club Alpino Italiano è affidato il compito di provvedere alla vigilanza e prevenzione degli infortuni nelle attività alpinistiche escursionistiche e speleologiche nonché al soccorso degli infortunati, dei pericolanti e al recupero dei caduti ad opera di tecnici di soccorso alpino e di elisoccorso inquadrati come “volontari” e quindi senza alcuna retribuzione economica. A tal proposito il C.A.I. ha fondato un proprio corpo per i soccorsi in montagna chiamato Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico.
Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico del C.A.I. percepisce finanziamenti pubblici per salvare le persone in montagna?
Si. Percepisce finanziamenti pubblici per circa 10 milioni di euro l’anno tra Stato ed enti autarchici locali quali Regioni, Province, Comuni. A questo punto, un aspetto da risolvere è quello di stabilire se l’organizzazione CNSAS, formata da volontari, è opportuno riceva finanziamenti pubblici invece di utilizzare squadre di professionisti altamente specializzati già esistenti nei Carabinieri Forestali, Polizia , Guardia di Finanza (Soccorso Alpino Guardia di Finanza), Vigili del Fuoco (Speleo Alpino Fluviale), Esercito (Alpini) a cui eventualmente destinare quelle somme aumentando l’efficacia dei soccorsi. A tal proposito è da dire che la tempestività negli interventi è maggiore da parte dei professionisti visto che i volontari devono lasciare il lavoro e non sono in continua attesa e disponibilità per le emergenze assicurando anche le necessarie funzioni di Polizia Giudiziaria nei casi in cui, dalla dinamica degli incidenti, possono essere ravvisati eventuali elementi di interesse penale.
Quale potrebbe essere un valido deterrente per limitare, se non cancellare, le imprudenze in montagna?
Da più fronti si invoca una legge in grado di arginare l’impennata di incidenti in montagna. Attualmente, non esiste una normativa con regole specifiche per la sicurezza dello sciatore-alpinista, dell’escursionista e più precisamente per gli sport di avventura. A mio avviso si potrebbe modificare la Legge 363/2003 sulle norme di sicurezza e di prevenzione infortuni per lo sci di discesa e fondo estendendola anche allo sci-alpinismo, all’escursionismo, all’alpinismo. Così come nell’attuale legge si stabiliscono precise regole sulle piste da sci, anche nel caso di escursioni e arrampicate in montagna è necessario fissare regole più stringenti. Una soluzione potrebbe essere quella di stipulare una polizza assicurativa per le attività sportive: credo ci siano formule che coprono escursioni impegnative, discese fuori dalle piste battute e probabilmente anche vie ferrate (sicuramente non arrampicate di alto livello). Nella maggior parte dei Paesi europei è prevista un’assicurazione per questo genere di attività: con circa 50 euro l’anno si è coperti in caso di infortunio.