Ha destato scalpore il comunicato stampa con cui Harry e Meghan sembrano volersi emancipare rispetto alla corona britannica: dicono che praticamente vogliono aprire un nuovo capitolo. Al di là del chiacchiericcio attorno allo smacco nei confronti della regina e a tutte le implicazioni famigliari, ha ancora senso la monarchia nel 2020 e i principi ereditari su cui si regge?
Nel mondo e in Europa, la monarchia nel 2020 è ancora molto diffusa. Il 22% delle 193 nazioni rappresentate all’ONU sono monarchie; su 43 paesi, però, ben 16 sono parte del Commonwealth e soggetti alla corona britannica. Solo 7 sono le monarchie assolute ancora esistenti nel mondo (tutte nei dintorni del Golfo Persico, a eccezione del Vaticano e dello Swaziland, in Africa). Della lista monarchica fanno parte alcune delle nazioni considerate tra le più evolute del mondo. Sette delle dieci nazioni con la migliore qualità della vita – secondo le Nazioni Unite – sono monarchie; fanno eccezione solo la Svizzera, la Germania e la Finlandia. Le monarchie costituzionali hanno poi un PIL medio di circa 30.000 dollari e un’aspettativa di vita di 75 anni; mentre le repubbliche si fermano a soli 12.000 dollari e a un’aspettativa di 68 anni. Questo non significa che i vari aspetti siano collegati, ma quantomeno non si può affermare che la monarchia sia un freno allo sviluppo della società.
E’ ancora dunque sopportabile il privilegio dell’ereditarietà nel 2020?
Nel XXI secolo, in molti paesi, anche tra quelli più evoluti al mondo, si mantiene una casta di nobili che ha un ruolo simbolico, quando non solo ornamentale. A un’occhiata superficiale, la monarchia e tutto il protocollo reale sembrano un anacronismo rispetto alla modernità. Ma è davvero così?
Bisogna prendere atto che la funzione del re intesa in senso governativo oggi è stata assunta dal primo ministro che, nel ricoprire la sua carica, viene scelto e votato: è quello che viene definito un monarca ereditario, con vincoli parlamentari e costituzionali molto stringenti. C’è chi sostiene che comunque anche nella repubblica ci sia un’insita vocazione all’assolutismo. Una ricerca del dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Oxford sostiene che i presidenti della Repubblica siano in realtà molto più propensi a far instaurare nuovi governi senza il passaggio dalle elezioni anticipate. Pur rimanendo nel quadro della legittimità istituzionale, questo creerebbe una sorta di avversione nel corpo elettorale (“Non ci fanno votare il Governo” vi dice niente?). Nelle monarchie costituzionali, invece, è solo il 17% dei governi a formarsi mediante rimpasti e ribaltoni, mentre nel caso delle repubbliche si parla di una percentuale che oscilla tra il 37% (repubbliche parlamentari) e il 49% (repubbliche presidenziali).
La monarchia quindi garantisce maggiore stabilità politica?
Il Washington post, interrogandosi sulla questione, si risponde in modo semplice: i monarchi non sono legittimati dal popolo e questo è un deterrente molto forte. Trattiene i re e le regine dall’immischiarsi nella politica quotidiana. Se il governo cade, dunque, il re di Spagna o la regina di Inghilterra sono più propensi a indire nuove elezioni.
Il segreto della sopravvivenza della monarchia nel 2020, secondo un articolo dell’Economist, sta nella sua debolezza. Sembra un’idea assurda ma «meno potere un monarca ha, meno gente ci sarà che vuole toglierglielo». La famiglia reale dei Bernadotte in Svezia, ad esempio, si limita a apparizioni pubbliche e a beneficenza. E’ una monarchia innocua e tendenzialmente ben vista dai sudditi. Sempre l’Economist sostiene come sia molto più difficile liberarsi di un sovrano innocuo, quando non addirittura simpatico. In Danimarca stessa cosa: solo un numero limitato di persone vorrebbe liberarsi della regina Margherita, un’incallita fumatrice che esce dal palazzo reale in bicicletta anche in pieno inverno, e che suscita nei sudditi grande simpatia.
La monarchia si occupa di ciò che unisce
A ciò è opportuno aggiungere che, secondo alcuni analisti, i moderni sovrani svolgano un ruolo positivo anche senza avere grandi poteri. Con il loro soft power, la monarchia nel 2020 può ancora infatti rappresentare tangibilmente l’unità nazionale. Sarebbe la Stella Polare, in un momento di instabilità e polarizzazione politica come quella attuale. Come ha riferito un membro della corte di Elisabetta II d’Inghilterra citato dall’Economist, «la politica si occupa di ciò che divide, la monarchia di ciò che unisce». Non che questo non possa riuscire anche nelle repubbliche, come in Italia, dove il capo di stato ha funzioni di garante neutrale. Ma spesso, anche per ignoranza dei meccanismi costituzionali, Mattarella o Napolitano non sono andati esenti da critiche, per le loro presunte ingerenze fattuali nella politica (ehm, ricordate anche voi con imbarazzo quando lo scorso anno un certo Di Maio gridava all’impeachment per Mattarella?).
La monarchia crea unione e patriottismo?
La monarchia nel 2020 è vista da alcuni come un costosissimo anacronismo: azzera qualsiasi principio meritocratico in nome della patinata carica ereditaria. Ma i difensori della monarchia non sono pochi. Il docente di Relazioni Internazionali John Reese sostiene che nei suoi 67 anni di regno, la regina d’Inghilterra, ad esempio, con il suo soft power sia stata in grado “di unire un popolo nel tempo e attraverso le generazioni”, per indicare la “retta via” ai politici di turno o ispirare la popolazione nei momenti più difficili. Dal lato più frivolo, invece, ad esempio, il matrimonio di Harry e Meghan Markle ha conquistato un pubblico di 2 miliardi di persone, in giro per il mondo, creando senso di appartenenza, attaccamento e affetto verso la corona. Nel Regno Unito, infatti, solo il 17% dei sudditi vorrebbe la repubblica, secondo un sondaggio Ipsos.
Di cosa campano le famiglie reali?
Ma oltre al lato politico, parliamo di quello economico: ogni famiglia reale è a sé, ça va sans dire, ma prendiamo il caso dei Windsor. Alla regina Elisabetta arrivano gli assegni più cospicui dal Sovereign Grant, una somma che il governo versa ai reali per le loro spese in materia di sicurezza, per gli stipendi del personale, per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle residenze e per i viaggi diplomatici. Si tratta di un contributo dal Parlamento, elargito tramite un report redatto nel mese di giugno. Contiene in dettaglio le informazioni sulle finanze reali: nel 2018 il Sovereign Grant si aggirava intorno ai £43 milioni. Costa circa 70 centesimi di euro a ogni contribuente inglese. La Regina infatti destina a Carlo e Camilla una parte di questo Grant. Sembra che William e Harry ricevano a testa circa 8 milioni di euro.
Una buona parte dei soldi derivano dalle sue proprietà reali, grazie al turismo, ai biglietti dei musei e dei vari castelli legati ai Windsor. Senza dimenticare tutto il merchandising.
E tutti gli altri famigliari?
Sempre riferendosi alla famiglia reale inglese, la principessa Eugenia, figlia di Andrew e Sarah Ferguson, ha scelto una carriera diversa e lontana dalla famiglia reale: lavora infatti per la galleria d’arte Hauser & Wirth e non prende mai parte a impegni ufficiali al posto della Regina. Anche la sorella Beatrice è indipendente economicamente e lavora per una compagnia tecnologica inglese chiamata Afiniti. Possono permettersi di lavorare perché non sono responsabili nello svolgimento di doveri pubblici, a differenza dei cugini. Ciò dipende dalla posizione nella linea di successione al trono.
Anche in Italia ci sono i monarchici
Tra i sostenitori della monarchia nel 2020, in Italia, c’è l‘ex ministro Domenico Fisichella, docente universitario di Scienza della Politica. Fisichella sostiene che l’appartenere per nozze o per genetica a una casa reale sottragga la più carica alta dello Stato ai giochi di do ut des, parte di ogni questione di successione.
Se il problema viene risolto in modo automatico, ereditario, ma pacifico e accettato da tutti, emergerebbe nel lungo periodo una maggiore “continuità, con costanza nel perseguimento degli interessi nazionali, mentre la politica democratica repubblicana è condannata dalla sua stessa intrinseca struttura alla proiezione e all’esaurimento nei tempi brevi, nell’immediatezza, improvvisazione (…) e contingenza di interessi, aspettative e domande particolari”.
Domenico Fisichella, docente universitario di Scienze della Politica
In definitiva: se è ormai assodato che sarà la famiglia Bianchi ad avere il trono, la più alta carica dello Stato non sarà oggetto di gretti giochi di potere e di scambio tra i partiti. Riuscirà quindi a essere ulteriormente imparziale.
Posizioni che, nella nostra storia repubblicana, sono state sostenute anche da Enrico de Nicola e Luigi Einaudi. Il primo e secondo presidente della nostra repubblica, infatti, nel 1946 votarono appunto per la monarchia. Chissà se il loro ruolo, la storia e l’esperienza li abbiano poi trasformati in repubblicani.
Elisa Ghidini