Ogni periodo dell’anno ha il suo tratto caratteristico, le sue particolarità e i segni che lo distinguono dagli altri momenti. Come questi giorni che stiamo vivendo.
Ricordo che da bambina non vedevo l’ora di sentir dire che era giunto il momento di fare l’albero di Natale: addobbarlo insieme o trovarlo già pronto al ritorno da scuola, era una bella emozione. Perché erano luci e colori ed era ombra. Mi piaceva sedermi per terra, sotto all’albero: anche se non ne abbiamo mai avuti di particolari dimensioni, erano pur sempre alberi sotto ai quali potersi fermare. E forse, l’entusiasmo alla vista di un albero di Natale, ora, è solo silenzioso e discreto ma c’è ancora.
Certo, non sarei comunque la persona più adatta per addobbare un abete e se qualcuno dovesse chiedermi qualche consiglio su come farlo, direi…
Ai rami del vostro albero di Natale, appiccicate dei post-it colorati che vi ricordino le cose che non avete fatto nei mesi scorsi e scrivete quando pensate di portarle a termine: qualcuno ha detto che la differenza tra un sogno ed un obiettivo è proprio la data; appendeteci i biglietti dei treni, degli aerei e dei pullman su cui avete viaggiato e che vi hanno allontanato, avvicinato, entusiasmato e commosso; appendeteci le foto che avete scattato o che qualcuno vi ha scattato, non tanto per verificare se state ingrassando ma per ricordarvi chi siete, cosa avete fatto, da dove venite, dove siete stati, state e con chi; e sì, appendeteci anche qualche tappo che avete fatto saltare dalla bottiglia urlando un augurio.
Su quei rami posate il luccichio delle lacrime di cui solo voi conoscete il peso e quello delle lacrime che mani amiche hanno asciugato; posateci la luce dei sorrisi che se non ci fossero, come fareste??; posateci l’intermittenza dei vostri umori, a volte piatta e a volte lenta e a volte spietata: senza i vostri ritmi e i vostri sbalzi, vivere non sarebbe così entusiasmante!
Qui e là, distribuite la dolcezza degli abbracci e delle strette, la tenerezza dei silenzi e degli sguardi che vi hanno attraversato l’anima senza recar danni alla carne, la bontà di coloro che ci sono sempre stati, state senza un orologio che giustificasse la fretta e senza una catena che imponesse la presenza.
Ai piedi del vostro albero di Natale, al posto delle radici da cui tutto ha inizio, incastrate il ricordo delle sere senza luna, quello delle attese, quello delle delusioni e quello della vostra stessa negligenza. “Dal letame nascono i fiori”, dice de Andrè: che da tutto questo, possano sbocciare promesse di bellezza e di piacevoli sorprese.
E lassù, lì in alto, sopra quella cima apparentemente irraggiungibile… concentrate tutta la fiducia di cui siete capaci e mettetecelo un sogno: uno di quelli a cui vi piace pensare quando ciò che avete non basta o non è quello che volete, uno di quelli che sussurrate al cuscino prima di addormentarvi, uno di quelli che vi hanno seguito ovunque, lungo ogni strada, su ogni finestra davanti alla quale vi siete fermati, fermate e in ogni vostra ora di sonno così come in ogni vostra ora di veglia. Sarà difficile posizionarlo lassù e magari ci sarà bisogno di un sostegno per poter raggiungere quell’altezza: ma almeno lo avrete sempre sul naso e non potrete dimenticarlo. E nelle sere senza luna, saprete dove guardare.
Ad albero terminato, cantate. Non si è mai troppo stonati o stonate per farlo, e nella testa c’è sempre una canzone che risuona, risuona e il tempo di finire che, ecco, ricomincia.
Buon lavoro. E ricordate di metterci il meglio di cui siete capaci.
Deborah Biasco