Mohammad Reza Zahedi: chi era e perché è stato ucciso in Siria da Israele

Un analisi sull'attacco israeliano all'ambasciata iraniana a Damasco che potrebbe innalzare il livello dello scontro nella regione

Mohammad Reza Zahedi

Mohammad Reza Zahedi

Lunedi primo aprile, a Damasco, in Siria, un attacco dell’aviazione israeliana ha colpito il consolato iraniano uccidendo undici persone, tra cui sette Guardiani della Rivoluzione Iraniani, tra essi spiccano Mohammad Reza Zahedi e il suo vice, il Brigadiere Mohamad Hadi Haji Rahimi.

Chi era Mohammad Reza Zahedi

Senza dubbio l’attacco israeliano è stato organizzato proprio per colpire Mohammad Reza Zahedi, il suo omicidio è infatti il più “eccellente” sin dal 2020 quando un drone statunitense uccise il Maggior Generale Qassem Soleimani in Iraq. All’uccisione dell’allora responsabile delle operazioni estere del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica in Iran, seguirono sollevazioni di massa a Teheran, per protestare contro l’interventismo armato statunitense nella regione.

Classe 1960, Mohammad Reza Zahedi, così come Soleimani, entrò nel Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica a seguito della Rivoluzione Iraniana (1978-79) che trasformò il paese da monarchia a repubblica islamica sciita, con la deposizione dell’ultimo Shah di Persia Mohammad Reza Pahlavi.

Il suo ingesso nell’esercito coincise con l’entrata del paese in guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein. La guerra, che durò otto anni, fu un tentativo di Saddam di ergersi a leader dei paesi arabi nello scacchiere internazionale, combattendo il neonato regime sciita mal visto sia dai paesi occidentali sia dai leader sunniti delle principali potenze arabe della regione, primi fra tutti i sauditi.

A soli 19 anni Zahedi entrò nell’esercito ed ebbe subito occasione di emergere, infatti, dall’83 all’86 fu al comando di un battaglione dell’esercito iraniano impegnato a combattere il nemico iracheno, ottenendo notevoli risultati sul campo.

Sempre nella dinamica di questo conflitto fu promosso comandante della quattordicesima divisione Imam Hossein, ruolo che ricopri sino al 1991, dopo la fine del conflitto.

Nel 1998 venne incaricato dal neonominato leader della Forza Quds, Maggior Generale Qassem Soleimani, comandante della divisone libanese della brigata, ruolo che mantenne sino al 2002 e responsabile della fornitura di armi e intelligence ai quadri di Hezbollah, la formazione paramilitare e partito politico libanese nata nel 1982 durante l’invasione israeliana del Libano. Da subito Hezbollah, oggi guidata da Hasan Nasr Allah, fu incoraggiata e sostenuta da Teheran e la sua nascita si inserì nell’equilibrio di forze che reggevano il conflitto tra l’Organizzazione per la Palestina Libera (OLP) e Israele.

Da questo momento in poi, la carriera militare di Zahedi fu coronata da diverse promozioni nel Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, che compresero una breve esperienza da comandante dell’aereonautica per poi divenire comandante delle forze di terra dal 2005 al 2008. A seguito fu nominato leader delle Thar-Allah, frangia responsabile della sicurezza nella capitale Teheran.

Sempre nel 2008 fu nuovamente nominato da Soleimani a riprendere il comando delle Forze al-Quds in Siria e Libano, che mantenne sino alla sua morte, ed ebbe un ruolo cruciale nella guerra in Siria iniziata nel 2011 a seguito dello scoppio delle primavere arabe. Al fianco del dittatore siriano Bashar al-Assad e con il supporto dell’aviazione russa l’Iran riuscì ad uscire vittoriosa in questo conflitto che ha visto scontrarsi le principali potenze mondiale in una guerra per procura che viene ancora erroneamente definita guerra civile siriana, uno dei conflitti più disastrosi della nostra epoca.  

Mohammad Reza Zahedi obbiettivo del Mossad

L’omicidio di Mohammad Reza Zahedi è quindi da tempo uno degli obbiettivi strategici del Mossad (intelligence israeliana) e non sorprende che sia avvenuto in Siria. Il paese in guerra da quattordici anni è diventato teatro di scontri tra i principali attori regionali a causa dello scarso controllo che il debole regime di Assad riesce ad esercitare sul territorio. ISIS aveva nominato la capitale del suo autoproclamato stato islamico proprio a Raqqa nel 2013.

Israele conduce regolarmente attacchi su suolo siriano, che si sono però intensificati dal 7 ottobre. Prima di questo, il 29 marzo un altro attacco condotto contro un deposito di armi di Hezbollah ad Aleppo ha ucciso almeno 42 persone tra militari siriani e paramilitari del gruppo armato libanese. Questa dinamica va avanti da circa un decennio e gli obbiettivi israeliani sono principalmente le strutture militari legate all’Iran nel paese, la cadenza e quasi mensile, anche se ognuna di queste incursioni è una violazione della sovranità territoriale siriana.

La differenza sostanziale dell’attacco del primo aprile è l’aver colpito una sede diplomatica, non era mai successo in precedenza.

La forza al-Quds

La Forza Quds o Brigata di Gerusalemme è il reparto delle forze speciali del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica che si occupa di tutte le operazioni militari e di intelligence all’estero, per conto di Teheran e responsabile dell’espansione iraniana nel levante arabo, area in cui è de facto potenza egemone.

Il termine Quds in persiano fa riferimento sia alla città santa, Gerusalemme, che alla Palestina. Questa élite militare persiana è facilmente confondibile con l’omonima formazione paramilitare palestinese, le Brigate al-Quds, che sono il secondo gruppo armato per importanza in Palestina, dopo Hamas, impegnato nella resistenza alla colonizzazione israeliana, che non riconoscono la legittimità dello stato di Israele e per questo rifiutano ogni compromesso politico a vantaggio della via militare.

Le possibili reazioni a questo attacco

L’Iran a seguito di questo attacco ha immediatamente promesso vendetta. Sarà difficile prevedere come decideranno di muoversi i Pasdaran (militari del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) ma i precedenti storici indicano come l’Iran prediliga una vendetta non immediata e sicuramente non diretta contro leader delle IDF. La risposta militare deve rispondere ad una serie di necessità, salvare l’immagine del paese nei confronti della opinione pubblica interna e quella degli alletti ai quali non si può apparire deboli, il tutto infliggendo il maggior danno possibile al nemico, a livello strategico o di immagine, ma senza alterare i delicatissimi equilibri che reggono la stabilità regionale.

È infatti realistico a questo punto del conflitto in Palestina pensare che un allargarsi del conflitto all’intera regione non convenga a nessuno dei maggiori attori che vi sono impegnati: Israele, Hamas, Iran, Libano e gli Stati Uniti che continuano la loro incessante fornitura di armi all’alleato israeliano.

In gioco ci sono strutture di potere che, come possiamo intuire indirettamente anche dall’evoluzione della carriera militare dello stesso Mohammad Reza Zahedi, sono state costruite nei decenni, esiti di innumerevoli battaglie che sono costate uomini e risorse. Il rischio è che con un conflitto che nessuno sarebbe più in grado di contenere e di cui nessuno può prevedere l’esito andrebbe ad intaccare profondamente questi equilibri.

Ciò a cui stiamo assistendo da mesi in Palestina è a tutti gli effetti una guerra di logoramento che ha varcato i confini della striscia di Gaza ma difficilmente può trasformarsi in un aperto conflitto tra grandi potenze.

L’Iran in questo senso può contare su una miriade di alleati regionali fedeli a Teheran, tra cui milizie sciiti irachene, Hezbollah, i separatisti Huthi in Yemen che da anni controllano la capitale Sana’a che in concerto hanno il potere di alzare notevolmente la pressione su Israele e i suoi alleati in questo conflitto, Stati Uniti in testa, che hanno già notevolmente incrementato il livello di guardia nelle loro basi militari e nelle sedi diplomatiche di questi paesi.

La decisione del presidente Israeliano Benjamin Netanyahu di puntare sulla guerra totale contro Hamas, unica arma in suo possesso per posticipare la sua fine politica, sta creando non poche tensioni con la Casa Bianca, l’attacco del primo aprile ha certamente infastidito Joe Biden che non sembra fosse stato informato in precedenza.

Fabio Schembri

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