Impareremo a moderarci?
È difficile, se non impossibile, stabilire in quale anno sia avvenuta la cosiddetta “rivoluzione digitale”: quel momento in cui si è passati dall’avere una vita sociale e viverla appieno al pensare di avere una vita sociale e condividerla virtualmente con altri. È avvenuto tutto velocemente e in maniera quasi impercettibile. Ci siamo ritrovati succubi di un mondo che non abbiamo scelto ma che abbiamo sognato e preteso. Tanto che ora, chattare con persone dall’altra parte del mondo, specchiarsi con la telecamera interna del cellulare o fare la spesa su internet, ci sembrano cose assolutamente normali e abitudinarie.
Eppure, prima di questa “malsana” rivoluzione, c’era una vita fatta di valori e rapporti autentici. Di stupore e trepidazione per l’attesa di una chiamata o di un appuntamento.
Sembrano trascorsi secoli e invece parliamo di qualche anno fa.
Scommetto che se avessimo saputo che quei primi “telefoni senza fili”- ingombranti ma apparentemente innocui -si sarebbero trasformati in piccoli mostri hi-tech, ci saremmo goduti di più quegli anni senza troppe pretese. Senza volere a tutti i costi qualcosa di sempre più innovativo. Di sempre più grandioso. Perché, ora, a distanza di poco più di 15 anni, a rimediare non siamo più in tempo.
Certo, la soluzione potrebbe consistere nell’essere più moderati; ma stando a quanto emerso dall’ultimo rapporto di audiweb, sembra che di moderazione non si voglia sentire parlare.
Immagina di passare giornate intere senza rete
Attorno al concetto di “moderazione digitale” sono nati studi e scuole di pensiero. Sono stati scritti libri, articoli e diretti film.
Prendiamo, per esempio, l’ultima pellicola di Federico Moccia, intitolata “Non c’è campo”.
Una gita scolastica si trasforma in un incubo quando studenti e professori realizzano che nel paese pugliese, in cui passeranno qualche giorno, non c’è campo e non possono collegarsi ad internet o inviare sms.
Un film in cui si assiste alla riconquista del tempo e dei rapporti autentici, senza i filtri di Instagram o Facebook, senza i video di youtube o la musica di Spotify.
Una tematica banale e a tratti scontata? Forse sì. Ma, alle volte, nella banalità si possono trarre i migliori insegnamenti.
Il motto è uno “downgrade your life”: “ridimensiona la tua vita: riduci e respira”. Se, infatti, è vero che un utente “forte dello smartphone arriva a controllarlo tra le 2000 e le 5000 volte al giorno”, riuscire a staccare la spina per qualche ora, è già un passo avanti per rilassare la mente e restare più concentrati e produttivi.
Analoga morale ci viene data dal nuovo libro di Aldo Cazzullo “Metti via quel cellulare”; nato dall’esigenza del giornalista di voler raccontare, insieme ai suoi due figli, quanto la rivoluzione digitale stia cambiando i ragazzi, sempre meno partecipi della vita e sempre più chini sullo smartphone. Cazzullo lo dice chiaro “ in rete tutti chiacchierano, qualcuno insulta, ma nessuno ascolta”. Mette in luce quanta poca partecipazione ci sia da parte dei ragazzi “abituati ai ritmi del web, alla frammentazione, alla velocità”. Ma il giornalista ci tiene a sottolineare una cosa “come tutte le cose, anche il cellulare ha i suoi lati positivi: la furbizia starebbe solo nell’usarlo meno e meglio”.Anche i genitori dovrebbero fare la loro parte, “facendo leggere i propri figli , raccontando loro storie, facendoli giocare, guardandoli negli occhi. Facendoli appassionare al passato, alla storia, invece di farli vivere solo nel presente del web”. Ma soprattutto dovrebbero spiegargli che stare disconnessi per un po’, non è la fine del mondo. Ma anzi, un nuovo inizio.Per scoprire se stessi e per conoscere veramente gli altri.
Un coraggioso insegnante di Prato ci ha provato; ha chiesto ai suoi alunni di stare una settimana senza internet. Dapprima scettici, i ragazzi hanno trascorso una settimana rigenerante e assolutamente positiva. Un risultato grandioso ma soprattutto una bella soddisfazione per quel professore coraggioso. E quindi, alla domanda se vivere all’improvviso scollegati sia possibile, Aldo Cazzullo risponde così: “Quest’estate siamo capitati per tre giorni in un paesino senza campo e sono stati i tre giorni più belli dell’anno perché siamo riusciti a parlare. Poi il campo è tornato e siamo diventati ancora tutti schiavi del cellulare!”.
Si stava meglio quando si stava peggio?
E quindi, si stava davvero meglio quando i cellulari erano un’utopia immaginaria?
Io non credo.
Prima non sopportavamo l’idea di sentire il nostro ragazzo o i nostri amici al telefono di casa, spiati da mamme, zii e fratelli. Desideravamo un telefono che potesse darci privacy e indipendenza. Desiderio realizzato. È arrivato finalmente il cellulare. All’inizio eravamo tutti stupiti ed eccitati da questo nuovo aggeggio. Poi è subentrata l’abitudine. Ci siamo lamentati per gli schermi troppo piccoli, il display in bianco e nero, le suonerie troppo squillanti. Sono arrivati allora nuovi modelli. Cellulari ultra sottili, a colori, con suonerie personalizzabili. Eppure non ci bastava. Volevamo un cellulare senza tasti e che fungesse da macchina fotografica. Accontentati anche in questo. Ma ad ogni richiesta realizzata subentrava una maggiore aspettativa e un livello di stupore e contentezza sempre inferiori. Fino ad oggi. Dipendenti dalla tecnologia ed eternamente insoddisfatti.
Giunti a questo punto, consapevoli che la dipendenza non porta a nulla di buono, non sarebbe più semplice moderarsi? Non sarebbe più semplice limitare il proprio tempo sulla rete e godersi maggiormente la vita in campo?
Magari sbaglio, ma credo che la soluzione non sia tornare indietro e nemmeno continuare a ripetere che “si stava meglio quando si stava peggio”. Siamo andati avanti, la tecnologia ha fatto passi da gigante e dobbiamo dargliene atto. Perché di cose positive ce ne sono state e ce ne sono ancora moltissime. La soluzione non sta nel porre fine a questa “Rivoluzione Digitale”. La soluzione sta nel riuscire a moderare tutto ciò che non riusciamo più a controllare.
Prossima meta? Un paesino in cui non ci sia campo ma dove il segnale della riconquista di sé, della propria vita e del proprio tempo viaggi alla velocità di un bel 4Gplus!
Francesca Conti