La moda è un fenomeno spesso relegato a vanità, superficialità, e leggerezza. Tuttavia, si tratta di un fenomeno sociale omnicomprensivo, che, se scrutato e analizzato con occhio attento, può senz’altro aiutare a comprendere le società e i suoi paradigmi culturali.
In quanto fenomeno sociale, la moda, influenza ed è a sua volta influenzata dalle dinamiche sociali. Pertanto, è possibile analizzare come essa, a partire dalla moda bambina, agisca nella vita della donna: il modo in cui questa viene socialmente percepita da sé stessa e dagli altri; e come la moda sia sintomo dei valori culturali dominanti.
Negli ultimi anni si è potuta osservare una progressiva evoluzione di tendenza per quanto riguarda la moda bambina, che, oggi, vede le vetrine dei negozi adorne di indumenti dai tagli sensuali, del tutto lontani dalle reali esigenze delle bambine. Tale tendenza, oltre a fare da specchio a una società ancora intrinsecamente sessista, si traduce in gravi conseguenze, come la sessualizzazione precoce delle bambine, le problematiche legate alla percezione del proprio corpo e i disturbi alimentari.
La moda come espressione culturale e storica
La moda è un linguaggio visivo che riflette norme culturali, identità e valori sociali. Secondo Patrizia Calefato, autrice del libro Fashion as Cultural Translation, la moda opera come un sistema di segni che comunica significati attraverso archetipi, stereotipi e modelli culturali. Essa incarna narrazioni che spaziano dal locale al globale, influenzando percezioni di identità di genere, estetica e appartenenza sociale. La moda, quindi, non è solo una forma d’arte estetica, ma un medium che rispecchia e trasforma le dinamiche socio-culturali.
Possiamo considerare la moda, dunque, come un fenomeno legato ai valori dominanti di quel momento storico particolare, ma anche al frutto dell’insieme delle convinzioni che si sono create, sviluppate, perpetrate e rafforzate nel tempo. Come due binari che corrono sempre insieme, si addizionano dando vita a un prodotto culturale descrivente la società attuale.
La sessualizzazione della donna nella moda è un fenomeno che riflette e a sua volta amplifica stereotipi culturali, sociali e di genere. Questo processo ha radici profonde e si lega alla storica rappresentazione delle donne come oggetti di desiderio, riducendone la complessità e l’identità a standard estetici, sessuali e di ruolo.
Uno dei motivi per cui “gli stereotipi di genere sono più prescrittivi di altri stereotipi sociali”, scrive la sociologa Chiara Volpato, ridiede nel fatto che “vengono appresi molto presto nel corso dell’infanzia“ come ad esempio attraverso l’abbigliamento; E una volta formatisi “gli stereotipi sono particolarmente resistenti al cambiamento, anche perché si perpetuano attraverso l’autostereotipizzazione”.
Per questo motivo si rende sostanziale riflettere e intervenire su tutte quelle disposizioni che concorrono ad alimentare tali costruzioni culturali erronee e discriminatorie già dai primi momenti dell’infanzia, dando maggiore attenzione alle tendenze della moda bambina.
La prova storica della moda come mezzo di rafforzamento degli stereotipi di genere
L’abbigliamento influisce notevolmente sull’acquisizione degli stereotipi di genere, infatti, storicamente, la moda ha sempre rappresentato un veicolo per rafforzare ruoli di genere distinti.
Nell’Ottocento, le bambine indossavano abiti che limitavano il movimento, come i corsetti o le gonne rigide, anticipando il ruolo decorativo che avrebbero ricoperto da adulte. Al contrario, i bambini maschi vestivano pantaloni e indumenti pratici, simbolo del loro ruolo attivo e pubblico.
Con l’avvento della società industriale, la divisione di genere nella moda si è ulteriormente consolidata. Gli abiti femminili continuavano a enfatizzare la fragilità e la bellezza, mentre per i maschi si privilegiavano comfort e funzionalità. Questa dicotomia si rifletteva anche nei giocattoli, nei ruoli familiari e persino nella scuola, rafforzando gli stereotipi che associavano le donne alla sfera domestica e gli uomini al lavoro e al progresso.
Nel Novecento, la diffusione della moda prêt-à-porter ha contribuito a mantenere questa divisione. Nonostante alcune conquiste femministe, come l’introduzione dei pantaloni per le donne negli anni ‘60, gli abiti femminili rimanevano fortemente legati alla decoratività, mentre quelli maschili erano disegnati per il comfort e la mobilità.
Oggi, la moda bambina riflette una persistenza di questi schemi, con la progressiva introduzione di elementi sensuali che, sebbene mascherati da “stile”, ribadiscono una visione patriarcale e oggettivante della femminilità.
Moda bambino: doppio standard di genere, diverse possibilità
Mentre la moda maschile per bambini continua a privilegiare la praticità e il comfort, quella femminile tende a sottolineare caratteristiche che evocano l’estetica adulta. Questo aspetto introduce le bambine a una sessualizzazione precoce, un fenomeno che si presta a effetti profondi, sia sociali che individuali.
Il crescente aumento di abiti da donna nelle vetrine della moda bambina normalizza la sessualizzazione precoce, un fenomeno spesso ignorato o giustificato come una “scelta estetica innocua”, che invece affonda le sue radici in meccanismi culturali che perpetuano la disuguaglianza di genere.
Le conseguenze sono quelle della percezione del corpo come oggetto: attraverso un codice che suggerisce abiti che mettono in risalto gambe, vita o altre parti del corpo, creati con il mero fine della bellezza, e non della funzionalità, le bambine apprendono che il proprio valore è legato al desiderio altrui.
Per quanto un indumento possa apparire innocuo e di poca importanza, ha il potere del linguaggio, e quindi di comunicare, e con il tempo di determinare, diversi significati. Pertanto, la moda, può creare stereotipi e ruoli di genere rigidi: le bambine sono incoraggiate a investire tempo ed energie sulla loro immagine, mentre i bambini maschi vengono indirizzati verso giochi e attività che sviluppano altre competenze.
Quando l’apparenza viene enfatizzata fin dall’infanzia, le bambine sono indotte a sviluppare un’identità focalizzata sull’estetica piuttosto che sulle abilità o le passioni personali. Al contrario, i bambini maschi ricevono messaggi opposti, che li incoraggiano a esplorare la creatività e l’indipendenza.
Risulta evidente come la polarizzazione tra “decoratività” femminile e “praticità” maschile prepara bambini e bambine a ruoli tradizionali differenziati, limitando le loro possibilità di espressione e di aspirazione.
Le conseguenze psicologiche di una moda bambina sessualizzante
Il fenomeno della sessualizzazione precoce delle bambine è spesso banalizzato come una scelta di marketing o un’inclinazione estetica. Tuttavia, dal punto di vista sociologico, esso mostra profonde implicazioni sulla percezione del corpo e sulla disuguaglianza di genere.
In The Lolita Effect, Gigi Durham analizza come media e moda plasmino l’immaginario culturale per rendere accettabile la sessualizzazione delle giovani ragazze. Bambine che indossano abiti sessualizzanti imparano a vedere il proprio corpo come qualcosa da “mostrare”. Questo le rende più vulnerabili a percezioni e comportamenti problematici. La teoria dell’oggettivazione di Fredrickson e Roberts spiega che la sessualizzazione precoce porta le donne a interiorizzare la prospettiva dello spettatore, nonché la tendenza a osservarsi con occhio esaminatore: le bambine cominciano a guardarsi attraverso una lente esterna, sviluppando un rapporto distorto con il proprio corpo e riducendo la loro autostima.
Il confronto precoce con modelli di bellezza adulti, attraverso abiti che mimano quelli femminili, influenza lo sviluppo psicologico delle bambine. Sono molteplici gli studi di sociologia e psicologia secondo cui l’iper-focalizzazione sull’aspetto estetico fin dalla giovane età può portare all’Interiorizzazione di ideali di bellezza irrealistici e disturbi del comportamento alimentare.
Una ricerca condotta dall’American Psychological Association (APA) sottolinea che la sessualizzazione precoce, infatti, è un fattore di rischio significativo per l’insorgere di disturbi alimentari, depressione e ansia.
In un’intervista rilasciata alla Fondazione Veronesi la dottoressa Valeria Zanna ha comunicato che “La fascia più colpita dall’anoressia continua ad essere quella dell’adolescenza, specialmente tra i 14 e i 16 anni, ma se fino a qualche anno fa i ragazzini e le ragazzine tra gli 11 e i 13 anni erano interessati solo perifericamente, oggi riscontriamo un aumento importante in questa fascia di età, specialmente nel sesso femminile.”
Parallelamente, questo fenomeno mantiene inalterati i sistemi di potere patriarcali. La normalizzazione della sessualizzazione femminile precoce perpetua una cultura che giustifica la violenza simbolica e reale sulle donne, ignorando l’impatto psicologico di tali messaggi sulle giovani menti. Questo tema è al centro del lavoro di Pierre Bourdieu, che descrive la violenza simbolica come una forma di dominio invisibile esercitato attraverso norme e valori culturali.
Consapevolezza e responsabilità collettiva
Dal punto di vista sociologico, la moda agisce come una forza di cambiamento culturale. Non è un elemento neutro, ma un potente veicolo di valori culturali. Intervenire sulle tendenze che perpetuano la sessualizzazione precoce significa ridefinire i paradigmi sociali di genere. È un atto necessario, che richiede consapevolezza critica e responsabilità collettiva, per costruire una società in cui l’identità personale non sia subordinata a stereotipi tradizionali, ma espressione di libertà e uguali possibilità.
Rompere gli schemi è difficile, ma imparare a riconoscerli è un dovere.
Alessandra Familari