Miyazaki racconta la guerra e ci regala ne Il ragazzo e l’airone un altro po’ di sé

Miyazaki racconta la guerra

La complessità di un mondo in tumulto vista dagli occhi di un giovane ragazzo. Miyazaki racconta la guerra fra gli uomini e non solo, racconta i conflitti interiori e la sopraggiunta luce. C’è sempre spazio per accogliere l’amore che si rinnova e rifiorisce sotto altre forme.

Hayao Miyazaki racconta la guerra, la rinascita e la libertà attraverso il suo ultimo film, uscito nelle sale italiane il primo giorno dell’anno. Un messaggio che traccia un celebrativo fil rouge del suo amore per la narrazione e per le storie di coraggio e fiducia.

Coraggio e fiducia, gli stessi elementi che possiamo sovente rintracciare nelle sue guerriere, nelle sue giovani avventuriere, nei suoi saggi maghi: il conflitto imperversa dentro l’uomo e fra gli uomini, il mondo conserva un’innocenza da proteggere e il corso naturale della vita acquisisce un simbolismo sacro.
Ma non è la retorica a guidare le storie di Hayao Miyazaki, piuttosto, la forza motrice risiede proprio nell’amore per la vita.

È il 5 gennaio 2021, Miyazaki annuncia in un’intervista la prossima ripresa delle attività dello studio Ghibli che vedrà la messa in opera di un nuovo lungometraggio sul quale l’autore ha già iniziato a lavorare da tre anni. Il lungometraggio in questione viene annunciato col titolo di How do you live? (titolo giapponese: 君たちはどう生きるか, Kimi-tachi wa dō ikiru ka) e raggiungerà infine le sale italiane adattato in Il ragazzo e l’airone.

Il lungometraggio, distribuito in Italia da Lucky Red e discusso sin dai primi giorni, ripercorre tutta una serie di tappe significative della carriera dell’autore, delle sue opere, con riferimenti simbolici più o meno sottintesi capaci di sollecitare la memoria del pubblico attraverso una serie di rimandi emblematici dei suoi messaggi e del suo stile, il tutto calato in una soffusa atmosfera onirica.

Lasciando da parte in questa analisi la moltitudine di sfaccettature intrinseche nei messaggi dell’autore, c’è qualcosa che è possibile osservare sin dall’inizio della storia: Miyazaki racconta la guerra.
L’autore torna il ragazzo che fu e condivide pillole della sua esperienza attraverso gli occhi del protagonista, Mahito.

In effetti, il giovane Hayao Miyazaki visse a Bunkyō, un quartiere di Tōkyō, proprio durante la Guerra del Pacifico, conflitto che fu parte integrante della Seconda Guerra mondiale.
A Tōkyō, il padre era impiegato come ingegnere nel settore aerospaziale mentre la madre provò il morso della malattia, che la costrinse a ritirarsi negli ospedali a lungo e in più occasioni.

Sappiamo quindi che l’infanzia di Miyazaki si snoda attraverso un periodo complesso, che lo segnò e gli trasmise tuttavia l’amore per il buono che c’è, dalla passione per i velivoli al forte impatto della figura materna, aspetti rintracciabili per tutta la sua opera.

Attraverso il suo ultimo lungometraggio Miyazaki racconta la guerra che imperversa dal cielo e, proprio in quel contesto già così sofferente, il fuoco colpisce un ospedale cittadino, mietendo vittime e portando via irreparabilmente gli affetti più cari a famiglie innocenti. Mahito, come Miyazaki, è ferito dalla guerra, così come ne è ferita Tōkyō, squarciata da tumulti e dolore. Succede però il miracolo della vita: a un dolore succede un nuovo arrivo, al senso di inappartenenza e di inadeguatezza succede la meraviglia di trovare un posto nel mondo, la propria strada.

Nell’opera di Miyazaki, la guerra si frappone fra gli equilibri del Mondo col metallo e col fuoco. Eppure, il suo messaggio ultimo ci dice che c’è sempre qualcosa che sta per arrivare, che l’amore muta e cambia volto ma rimane amore, che tornare dove si è amato è possibile, a patto che si sia pronti a dare nuova fiducia al futuro.

Così, attraverso mondi fluttuanti e creature straordinarie, il messaggio che ci è destinato si rivela in tutta la sua semplicità: se l’uomo può distruggere, esso è altrettanto capace di accogliere, costruire e volare.

Stefania Barbera

Exit mobile version