Il biologico in Italia supera 5 mld € di fatturato: i consumatori si affiliano, anche se molti continuano a lamentare che: “Sì, il bio è caro però!” – Ma è davvero così, oppure non si tratta che un mito? Qualche verità sul mito del biologico.
Iniziamo dai fatti: secondo Bio Bank – osservatorio e banca dati del settore del biologico in Italia – il bio ha un fatturato che supera i 5 miliardi di euro. Di questi, quasi la metà si contano nell’export: il che significa che il connubio “organic” [tradotto in inglese] e “made in Italy” piace anche all’estero, e i fanatici americani, nordeuropei, tedeschi riempiono i loro panieri bio anche grazie alle nostre “eccellenze”.
D’altra parte, non è difficile capire perché molti consumatori – per quanto questi continuino ad aumentare di numero, e appassionarsi a un’alimentazione “il più possibile bio” – siano convinti che i costi rispetto a un carrello “convenzionale” siano nettamente superiori. Insomma, il bio costa: il bio ha un certo valore, non solo in fatturato, ma anche sullo scontrino.
Ma è davvero così? Oppure si tratta di un mito quello del biologico più caro, una voce diffusa? Quasi un pettegolezzo fra massaie, qualcosa che “si dice di…”? O addirittura “è un complotto!!!” – messo su dalle grandi industrie, che il bio non vogliono farcelo comprare…?
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Sì, il bio è effettivamente un mito.
No, non è (del tutto) così costoso. No, non sono “le grandi industrie” a creare questo mito (anche se è vero che queste continueranno – per interessi su cui non stiamo nemmeno a dilungarci – a non volere che lo preferiamo ai loro prodotti). E infine sì, il bio ha un certo valore – e non solo economico – che tuttavia non necessariamente deve pesare sullo scontrino.
Perché un prodotto biologico dovrebbe costare più di uno convenzionale?
Generalmente, si sa che il mondo dorato reparto biologico deve i suoi costi all’assenza di pesticidi, fertilizzanti chimici, OGM, antibiotici oppure altre sostanze “dannose” per l’ambiente e per la salute; al rispetto della stagionalità, del territorio che non viene sfruttato, e del lavoro di chi il bio lo produce. Va da sé, che questo metodo di agricoltura e allevamento non riuscirebbe ad avere la stessa resa produttiva del settore industriale: qualche mela esce bacata, qualche raccolto andrà distrutto da una grandinata in pieno luglio, oppure le piantine di insalata non nasceranno, o verranno mangiate dai bruchi cattivi (ecco chi si cela dietro il complotto delle grandi industrie!).
Perciò, la garanzia di un prodotto bio è il marchio – spesso proprio un bollino verde messo bene in vista – che solo le aziende che hanno superato determinati controlli, ispezioni, analisi possono sfoggiare. Chiaramente, tutto questo sistema controllatissimo e “sicuro” richiede dei costi per essere implementato.
E infine c’è la distribuzione, ‘che l’avocado bio mica arriva da solo sulla nostra tavola.
Allora è ovvio che il biologico costi più caro!
(Ma è davvero così? È davvero necessario?)
Come si è visto, un prodotto per essere riconosciuto bio, deve superare determinati standard ed essere sottoposto a continui controlli, per ottenere infine il marchio grazie al quale non ci sentiamo così male, a comprare delle zucchine a 4 euro al chilo.
È anche vero però, che esiste un reparto “biologico” di nicchia, che nei supermercati non trova posto, e a cui a volte ci si riferisce (con un’accezione non proprio positiva) come “clandestino”. Si tratta dei produttori che rinunciano all’ambito bollino, che si sottraggono ai controlli (allora sono loro i cattivoni, non le grandi industrie o i bruchi delle insalate?!), in quanto – come è evidente – quella del biologico è una certificazione a pagamento che non tutti possono/scelgono di permettersi, pur rispettando i fondamenti base del biologico (il link rimanda al Regolamento CE n. 834/2007 del Consiglio, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, consolidato nel 2013): prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali, tutela dell’ambiente e benessere degli animali allevati, rispetto della stagionalità, riciclaggio delle materie organiche per prevenire l’inquinamento ecc. Ad ogni modo, ciò non significa ovviamente che le loro zucchine siano inferiori – come qualità e affidabilità – a quelle col bollino verde del bio, appiccicato a fianco ai 7€/kg sul cartellino del prezzo.
Scegliere “bio” alimenta il mito del biologico (ma a volte serve)
L’agricoltura biologica – idealmente – riprenderebbe quella “dei nostri antenati”. Quelli che vivevano e producevano in sinergia con la terra, con l’ambiente circostante, con gli animali; gli stessi che però non ci rifornivano di quinoa e avocado, né di camion interi di pomodori bio; e ancora, quelli che i controlli non se li facevano fare nemmeno dal medico a momenti, talmente erano impegnati a coltivare la terra per assicurarsi il raccolto. Quindi quello del biologico è un mito a tutti gli effetti, qualcosa di costruito ad hoc – anche se alla fine non c’è nessun cattivo dietro – in cui oggi ci piace credere, pur consapevoli che non è più possibile? E soprattutto, allora che senso ha spenderci tutti quei soldi?
Per risolvere e dare un finale a questo mito del bio, i nostri saggi antenati suggerirebbero probabilmente di de-strutturalizzarlo, vale a dire bypassare l’intero sistema – come già molti scelgono di fare, acquistando direttamente tramite GAS, al mercato o in cascina – e affidarsi al produttore: che sia pure quello con il grembiule, le unghie ancora incrostate di terra, quello che ti avvolge l’insalata – e la lumachina che poi ti porti a casa – nel sacchetto di carta (avete mai notato come l’ortofrutta bio nei supermercati sia generalmente confezionato e soffocato nel cellophan? Serve infatti a differenziarlo e distinguerlo); e infine, che non si sognerà mai di vendere delle zucchine a 7 euro al chilo a gennaio. Semplicemente, perché non saranno nei campi. Ma state tranquilli, probabilmente le trovate ancora, guardando al supermercato.
È ovvio che questa “dell’orto del contadino” o “della fattoria” non rappresenta l’unica soluzione possibile: parliamo soprattutto dei prodotti elaborati, come la pasta, il vino, i legumi; oppure quelli più “esotici” come il caffè, la quinoa, il cacao, l’avocado; e poi c’è tutto il reparto non alimentare – cosmesi, abbigliamento, prodotti per la casa, addirittura pet-food eccetera – che occupa anch’esso una buona parte degli acquisti di chi “sceglie bio”. In questo caso diventa pressoché impossibile acquistare direttamente dal produttore. Ed è in tali occasioni che “ha senso” (e “conviene” anche in termini di prezzi, i quali non eccedono poi molto quelli del non-bio al supermercato) credere in quel mito del biologico creato tanto da noi, quanto dalla rete stessa del marchio bio, alla quale ci affidiamo, a condizione che abbia il bollino.
Mentre per quei prodotti che – “Andiamo, quante volte ti capita a settimana/al mese, di comprare X biologico?” – e molto probabilmente costano un pelino di più, è legittimo pensare che la scelta “bio” – dal momento che si rifà a dei valori condivisi fra noi e chi ci fornisce queste certezze – possa effettivamente valere la spesa e continuare a farci credere al mito.
Alice Tarditi