Che le ore di sonno perso non si recuperano, ormai è abbastanza chiaro. Eppure di questa, che è una delle più preziose risorse per l’organismo, non sappiamo ancora che solamente una minuscola parte. E il più delle volte, si tratta di credenze, sentiti dire, abitudini ingannevoli: in breve, tutti quei miti sul sonno a cui ci si affida comunemente.
Certi sembrano banalità – forse proprio perché ci ricordano quelle abitudini a cui ci affidiamo – eppure a farli emergere è un’indagine della Langone University di New York, tramite il confronto fra i risultati più diffusi sul web, con la letteratura scientifica: miti sul sonno, che qui cerchiamo di sfatare grazie al parere di esperti e ricercatori.
La nostra storia dei miti sul sonno, potrebbe iniziare dalla vera di Randy Gardner: erano gli anni Sessanta quando – al tempo nient’altro che un anonimo diciassettenne, ma di lì in avanti celebre detentore di record – si lanciò una sfida: rimanere senza dormire per 264 ore, ben undici giorni filati. Il suo voleva essere un esperimento sugli effetti della privazione di sonno: così, il secondo giorno i suoi occhi smisero di mettere a fuoco gli oggetti; dal terzo in avanti, il suo umore (nemmeno a dirlo) diventò estremamente suscettibile e irritabile, oltre ad avere grosse difficoltà nel concentrarsi. Dopo più di una settimana in balìa degli attacchi di paranoia, allucinazioni, perdite di memoria a breve termine, Randy sopravvisse, e senza risentire di particolari danni psicofisici (per “riprendersi”, gli fu sufficiente un sonnellino di quattordici ore, al termine degli interminabili celebri undici giorni).
Per altri comunque, potrebbe non essere così semplice: sappiamo oggi che il sonno influisce non solo sull’umore, ma anche sulle oscillazioni di peso, sulla capacità del cervello di rigenerarsi, sulla pressione e il ritmo cardiaco, oltre a centinaia di altre funzioni. Uno dei tanti miti sul sonno a cui ancora ci ostiniamo a credere, riguarda ad esempio quante ore siano effettivamente necessarie: generalmente si dice siano otto, ma qualcuno resisterebbero anche con quattro, altri invece non riescono a carburare senza le loro dodici ore per notte. Ecco, questo è uno di quei punti su cui potremmo iniziare a far chiarezza.
(Se però la domanda fondamentale che vi state ponendo prima di tutto è: perché dormiamo? – e no, non è la noia, come vedremo nell’elenco dei miti sul sonno – potreste iniziare con questo video):
1. Partiamo appunto dalle ore: non otto, né quattro, e nemmeno dodici.
La verità è che ognuno ha differenti esigenze – secondo età, sesso e stile di vita – ma in generale è sconsigliabile (come dimostrano i dati epidemiologici sul lungo termine) scendere al di sotto delle cinque ore. Conoscete di sicuro qualcuno che fa del dormire tre, quattro ore a notte un vanto: ecco, quella persona probabilmente sta mentendo (seppur esiste un numero ristrettissimo di individui che – effettivamente – non risente delle privazioni), e sfrutta altri momenti per riposarsi (nei weekend ad esempio, oppure concedendosi dei sonnellini che intervallano la giornata).
“Questo, di recente, è un serio problema secondo chi studia il sonno: dormire poco infatti, viene sempre più associato come qualcosa da ‘macho‘. […] In realtà, è di riuscire a soddisfare ciascuno il proprio bisogno, che dovremmo andare fieri.”
(David Rapoport, del NYU Sleep Center, autore dell’indagine)
Non bisogna nemmeno credere agli anziani, i nottambuli per eccellenza: anche loro hanno i loro stratagemmi (in particolare la pennichella dopo pranzo).
2. E no, il tuo cervello e il tuo fisico non si adatteranno, qualunque sia la rigida disciplina che cercherai loro di imporre (anche se ti sembrerà il contrario):
Infatti, alcune ricerche sono state condotte sull’effettiva performance di persone private del sonno, rispetto alle loro percezioni. Sono stati utilizzati parametri verificabili, come le simulazioni di guida, e ne è emerso che le loro prestazioni non solo erano ridotte, ma che l’effetto peggiorava man mano che la situazione di privazione si perpetuava per più giorni; queste persone finivano per addormentarsi ripetutamente, anche solo per 3-4 secondi, senza nemmeno accorgersene.
3. Nemmeno si adatteranno se cercherai di invertire il giorno con la notte:
il sonno non è casuale, anzi è piuttosto “cronometrato” e programmato dalla nostra biologia. Ciò significa che pur restando in piedi tutta la notte – sentendoci comunque via via più stanchi – ci sarà un momento al mattino, in cui riceveremo una “seconda vita” (come in Super Mario) e ci sentiremo di nuovo attivi. Questo non vuole dire che abbiamo sconfitto gli ancestrali ritmi circadiani, sottomettendoli al nostro volere: tutto il contrario, stiamo semplicemente obbedendo a ciò che da migliaia di anni ci insegna la nostra biologia, ossia che alla luce del giorno il fisico e la mente devono riattivarsi.
Metodi per dormire vs. metodi per non dormire
4. Guardare un film in tv prima di andare a dormire (anche se noioso) non concilia il sonno: alla pari di computer e cellulari, la luce blu emanata dallo schermo ha un effetto definito zeitgeber (che dà il tempo), e in particolare comanda al nostro corpo e al nostro cervello che è il momento di essere svegli e attivi.
5. Un bicchierino e la pillola va giù…
Assumere alcol (senza esagerare, non più di uno o due drink) può effettivamente sedarci e spedirci a dormire, e talvolta viene impiegato – alla stregua di un sonnifero – da quelle persone che hanno difficoltà nell’addormentarsi. Tuttavia, c’è una controindicazione: l’alcol interferisce infatti con il ciclo “naturale” del sonno – più precisamente con il manifestarsi della fase REM – sopprimendola momentaneamente, e posticipandola a quando l’effetto del bicchierino si sarà del tutto assorbito. È quindi sconsigliato (ma soprattutto non esattamente salutare…) considerare l’alcol come “pillola per dormire”. Non ultimo, sono proprio gli alcolisti a essere spesso affetti da insonnia.
6. Rimanere nel letto a occhi chiusi è una buona alternativa a una dormita:
Niente affatto! Quel che è chiaro da ormai una cinquantina d’anni per gli studiosi, è che il sonno non è un’attività “passiva”, in cui si “spegne” il cervello, per poi riaccendere l’interruttore il mattino seguente. Al contrario, si tratta di un sistema complesso, che potremmo paragonare a quello della digestione: si articola infatti in più fasi ordinate e ben definite, ciascuna insostituibile, con una propria durata e caratteristiche (sarebbe un po’ come ingoiare una pizza e ritrovarsela – ancora integra – direttamente nell’intestino crasso, bypassando stomaco e tutti i passaggi intermedi).
7. Collegato al punto sopra: costringersi a letto sforzandosi di prendere sonno generalmente non ha alcun effetto, se non quello di tenerci ancora più svegli. Fin qui facile: l’abbiamo provato un po’ tutti, quando i nostri genitori ci mandavano a letto contro la nostra volontà. C’è un motivo preciso comunque, che risiede nello stress provocato dalla situazione: accelera il ritmo cardiaco, aumenta la pressione, proprio come quando siamo sottoposti a sforzo fisico. Quel che potrebbe essere utile di conseguenza, è “agire” affinché avvenga esattamente l’opposto: se ci rilassiamo (il che non significa passare da “devodormiredevodormire” a “devorilassarmidevorilassarmi”, bensì fare qualcosa che solitamente ci distende, come disegnare magari, oppure farsi un massaggio…) il battito cardiaco e la pressione scenderanno gradualmente, portandoci così a perdere (finalmente) conoscenza. E se nemmeno questo metodo funziona, sarebbe meglio lasciar perdere il letto e dedicarsi ad altro, così da non associarlo a una situazione di stress.
8. Va da sé, che neppure la noia è un sicuro sedativo (anzi, può essere parecchio frustrante, scongiurando quindi ulteriormente il sonno). Si è notato infatti –tramite esperimenti in cui le persone venivano sottoposte a situazioni noiose – che solamente quelli che erano anche privati del sonno, erano portati ad addormentarsi.
9. Bisognerebbe evitare di fare sport, nelle ore precedenti il momento di mettersi a letto. Né vero né falso: se tecnicamente è sconsigliato intraprendere azioni, passatempi in grado di renderci più attivi, prima di andare a dormire, coloro che si allenano la sera (e in questo modo magari si rilassano, senza patire al mattino) certamente non dovrebbero smettere di farlo. D’altra parte, se si soffre di disturbi del sonno, sarebbe una di quelle abitudini (come il consumo di caffeina) da andare a correggere.
(Per finire, non poteva mancare fra i miti sul sonno quello del contare le pecore: non funziona, e anzi ci porta a concentrarci su un immaginario fisso, mentre come si è visto, l’unica soluzione è quella di lasciarsi andare liberi al rilassamento).
Sogni e incubi possono dirci qualcosa sul nostro modo di dormire?
10. Riuscire a ricordare precisamente un sogno, è garanzia di un buon sonno?
I fattori che influiscono sulla capacità di ricordare o meno i sogni sono molteplici: in generale, svegliandoci durante la fase REM avremo più possibilità, ma si può vivere benissimo anche senza alcuna memoria dei propri sogni. È vero però – come sottolinea la ricercatrice Rebecca Robbins – che svegliarsi in preda agli incubi, può anche solo significare che stiamo dormendo in una stanza troppo calda (un tipo di ambiente noto per il poter provocare frammentazioni del sonno).
11. Mangiare fritto (o speziato, o formaggio, o quel che vi pare) a cena, provoca incubi:
Non esiste alcun cibo noto per mettere a rischio le nostre notti tranquilli. È chiaro però, che se qualcuno soffre veramente di disturbi dell’intestino (colon irritabile, intolleranze al lattosio o al glutine, allergie ecc.) e sa (o è semplicemente convinto) che quel determinato cibo infastidisce la sua digestione durante il giorno, è probabile che il pensiero lo perseguiterà per tutta la notte.
12. Colonna sonora dei miti sul sonno:
Quando qualcuno russa – soprattutto se ad alto volume – le prime vittime sono coloro che dormono accanto; ma in realtà, a ben vedere, il russare segnala un blocco nelle vie respiratorie: la forma più lieve si manifesta come una leggera vibrazione, che si traduce in suono (o rumore, a seconda dei punti di vista). Se ci si limitasse a questa soave sinfonia, non sarebbe effettivamente un gran problema; il più delle volte però, nell’orchestra troviamo anche scatti, grugniti, pause – tutti sintomi di un disturbo piuttosto frequente, vale a dire le apnee notturne. Chi è quindi, la “vera vittima” ? Poiché somiglia quasi a un soffocamento, è il corpo stesso che ci ordina di svegliarci, consentendo al flusso d’ossigeno di riprendere. Una volta tornati a dormire però, l’ostruzione si ricrea, e può persino accadere ripetutamente ogni 30-60 secondi.
13. Quante sveglie hai impostato per alzarti presto al mattino?
Idealmente, dovrebbe essere quella biologica, “naturale”, dettata da corretti cicli sonno-veglia. Ora, questa cosa al giorno d’oggi sembra pressoché infattibile – causa levatacce per non fare tardi a scuola o in ufficio – perciò se proprio ci serve una sveglia, sarebbe meglio limitarsi a soltanto una, mirata: continuare a posticipare l’allarme infatti, non fa che ridurre o comunque compromettere il tempo per riposarsi (anziché allungarlo).
14. Tranquilli: con un po’ d’esercizio, si può passare dall’essere un tipo “notturno” a un mattiniero (o viceversa):
Altra caratteristica davvero difficile a predirsi: ciò che si sa, è che è in parte influenzata da fattori genetici – perciò in teoria immutabile, come il colore degli occhi – ma sappiamo anche che si può giocare d’astuzia, con un tentativo di inganno. La luce blu degli schermi – in quanto zeitgeber – è uno di questi trucchetti che si possono adottare per influire sul sonno, e di fatto viene utilizzata a volte come terapia nei casi più gravi di disturbi del sonno, poiché in grado di illudere l’organismo che si è fatto giorno, perciò ora di attivarsi. È anche vero però che chi pasticcia troppo con gli ancestrali ritmi dell’uomo, prima o poi ne risente: è il caso degli infermieri, dei vigili del fuoco, di chi lavora sulle navi… in generale, di chi svolge costantemente turni di notte; queste categorie infatti, mostrano un’incidenza maggiore di malattie cardiache, disfunzioni metaboliche e tutta una serie di “scombinamenti” biologici.
15. Il loro ruolo è di eroi nei miti sul sonno: i weekend
Sembrano designati per recuperare il sonno arretrato, perciò bisognerebbe approfittarne per dormire fino a tardi… Sarebbe bello in effetti, avere a disposizione delle “riserve” di sonno da ricaricare nel fine settimana, e “fare scorta” in vista dei giorni successivi. Purtroppo non è così che ci siamo evoluti, e anzi dormire parecchie ore più di quanto siamo abituati scombussola i ritmi circadiani, un po’ come quando si risente del jet lag; gli effetti si riscontrano soprattutto in serata, al momento di rimettersi a dormire (e a quel punto il nostro fisico sarà indeciso sul da farsi).
Infine un bonus, certezza unica contro i miti sul sonno:
Nel mondo, è la più abusata droga – nonché economica, e pure legale – panacea per le società: spazio al caffè! In una certa misura, abbiamo tutti imparato a hackerare il sonno grazie a questa sostanza, infiltrata nelle nostre esistenze (e sonni) anche sotto forma di tè e cioccolato, bevande energetiche, e pure celata sotto alcune etichette di “decaffeinati”. Ogni anno, se ne consumano quantità a otto zeri (100.000.000 kg, più di 2000 tir peso massimo), ma in natura i suoi effetti sono ambigui: un po’ come nel caso del sale, è la dose a fare la differenza: tossica – per certi insetti – quando elevata, causa comunque dipendenza se consumata gradualmente. Si tratta infatti dello stratagemma di alcune piante, per assicurarsi che gli insetti impollinatori tornino a posarsi su di loro. Negli esseri umani, agisce come stimolante del sistema nervoso centrale, e in direzione opposta, come inibitore dell’adenosina: il meccanismo – a grandi linee – vede le molecole di caffeina respingere quelle di adenosina, contrastando così il rilascio delle sostanze che inducono il sonno. In più, alcuni neurorecettori adibiti all’adenosina, sono collegati ad altri di dopamina, la quale favorisce sensazioni di piacere: se a installarsi è l’adenosina, non ci sarà spazio per la dopamina; al contrario, la generosa caffeina lascerà un po’ di posto, permettendole di contribuire agli effetti sul nostro organismo: niente sonno unito a euforia.
Perché alcuni allora, possono bere caffè la sera come fosse camomilla, e dormire comunque sonni tranquilli? Se la caffeina usurpa costantemente i recettori dell’adenosina, il cervello ne sviluppa degli altri per ospitarla, così da riuscire a rispedirci a letto (oppure a bere ancora più caffè). D’altra parte, se improvvisamente smettessimo di consumarne a litri, ci ritroveremmo con un surplus di neurorecettori: il che spesso è collegato a un peggioramento dell’umore, irrequietezza e stati d’ansia (proprio come in vera e propria crisi d’astinenza). Comunque, gli effetti non sono del tutto irreversibili, e dopo un po’ di (dura) astinenza, il cervello tornerà al suo stato originario, e i nostri ritmi circadiani nella norma.
Alice Tarditi