Bennato scrisse: Chi è normale non ha molta fantasia. Chi decide cos’è la normalità? Enigma sempre esistito. Per te quella cosa potrebbe non essere normale? Per me, invece, potrebbe. In questo modo potremmo finire tra giorni, una qualsiasi discussione sulla normalità. Chi di voi non conosce Van Gogh? Penso che tutti in un modo o nell’altro ne abbiano sentito parlare, lo spero, chi è stato più fortunato ha visto anche qualche sua mostra, chi di meno lo ha studiato sui libri più importanti di storia dell’arte. Ecco, lui è un grande esempio di non normalità. Ma chi lo dice? Lo abbiamo letto nei libri di storia, ma oggi nessuno potrebbe averne la conferma, in fondo quello che abbiamo studiato è stato tramandato e manipolato come meglio lo si credeva al tempo e noi ci siamo affidati nello studio di qualcosa scritto da altri, ma non vorrei impelagarmi oggi in discussioni che probabilmente potrebbero confonderci, ma vorrei provare a scoprire con voi cosa realmente successe il 27 luglio 1860.
Partiamo da un presupposto fondamentale, chi era Van Gogh?
Autore di quasi 900 dipinti e più di mille disegni, senza contare i numerosi schizzi non portati a termine e tanti appunti destinati probabilmente all’imitazione di disegni artistici di provenienza giapponese. Tanto geniale quanto incompreso in vita, van Gogh influenzò profondamente l’arte del XX secolo. Dopo aver trascorso molti anni soffrendo di frequenti disturbi mentali, morì all’età di 37 anni per una ferita da arma da fuoco, molto probabilmente auto-inflitta. In quell’epoca i suoi lavori non erano molto conosciuti né tantomeno apprezzati. Questo è ciò che si legge sui vari siti, sui vari libri. Purtroppo ci rimane un gran mistero che avvolge l’arco temporale dal 27 al 29 luglio.
Una domanda sorge spontanea: la frase “probabilmente auto-inflitta”, cosa vuol dire realmente? Diciamo che la parola “probabilmente” potrebbe un po’ renderci perplessi. Purtroppo si sa ben poco, sappiamo che la mattina del 27 Van Gogh esce dal suo alloggio, ad Auvers-sur-Oise (nell’albergo dei coniugi Ravoux) e rientra la sera, visibilmente sofferente; per questo motivo gli albergatori chiamano il dottor Gachet, che non può fare altro che constatare la presenza di una grave ferita da arma da fuoco “al fianco” del pittore, ma alla domanda che il dottore rivolge all’artista sul come si sia procurato quella ferita, Vincent risponde dicendosi di essersi sparato un colpo di pistola; giustamente ci troviamo di fronte una persona particolare, in bilico tra realtà e fantasia, una vita abbastanza contorta, ma non per questo si poteva definire pazzo. La pallottola, per qualche motivo oscuro, però non venne estratta ed il medico si limitò semplicemente ad avvisare il fratello, Theo. Vincent morì con il fratello accanto la mattina del 29, in maniera tranquilla e rilassata; al suo funerale erano presenti solo sei persone.
Altra domanda che mi pongo: ci troviamo nel 1860, nella maggior parte dei casi le persone morivano e a volte non si sapeva neanche il perché, ma di fronte ad una ferita da arma da fuoco, perché non si indagò sul serio? Certo non sono una criminologa, ma oggi tutti sappiamo che per suicidarsi probabilmente non ci si spara ad un fianco augurandosi una lunga agonia, ma probabilmente in mezzo ai campi Van Gogh avrebbe potuto far prima sparandosi con un colpo netto alla testa. Di fronte ad un’altra domanda sul perché l’avesse fatto, tutti avrebbero risposto “perché non era normale, era pazzo”, ma in fondo oggi sappiamo che Van Gogh non lo era affatto e qualche probabilità, oggi, per considerarlo un tentato omicidio ci sarebbe stata. Qualunque cosa sia successa, un mistero che rimarrà irrisolto, ma Van Gogh rimarrà l’artista fuori dalle righe numero uno.