I giovani d’oggi sono i protagonisti di un significativo cambiamento generazionale all’interno del quale si sono perse precipitosamente fiducia e speranza nel futuro. La lacuna nella quale rischia di accentuarsi questo problema, può essere colmata unicamente da un dibattito consapevole, che consideri uno dei punti focali dal quale sorgono i diffusi pessimismi: la minaccia del peggio
L’occupazione giovanile è solo il volto triste di un corpo ben più complesso e articolato, nel quale convergono anche ambizioni ed ideali. La cupezza delle prospettive dei giovani d’oggi, non è infondata o frutto di semplificazioni eccessive (a lungo utilizzate come banale spiegazione). “La minaccia del peggio” come insegnamento pedagogico, contribuisce attivamente alla dispersione di motivazioni.
Non è l’apatia quanto il disincanto a spingere nel ripiego della piattezza e dell’immobilità. Una disillusione che sorge primariamente dai fatti, sconfortevoli e preoccupanti: il 78.3 % è il tasso di occupazione dei 30-34enni laureati in Italia.
Molti tra questi ricoprono ruoli non all’altezza delle proprie competenze, vedono costantemente svalutata la propria preparazione universitaria, piegano sé stessi alla precarietà perché non hanno o pensano di non avere alternative.
È la fede nell’assenza di buone opportunità a convincere i giovani di un futuro inevitabilmente peggiore del presente. Questo meccanismo non è una scintilla autonoma ma deriva sostanzialmente dalla miccia di una narrazione negativa e svilente; dalle intenzioni sì positive ma compromettenti.
È la minaccia del peggio a lenire aspirazioni e fame di realizzazione
Spesso nella contemporaneità, i genitori come gli insegnanti o gli allenatori, tendono a raccontare un futuro denso di ostacoli, fallimenti e disoccupazione dilagante. Un posto profondamente scomodo e tetro dal quale doversi anticipatamente e attentamente tutelare.
Il proposito è certamente benevolo: si vuole in tal modo evitare una catena di delusioni avvilenti. Il risultato però, è con altrettanta sicurezza, devastante.
Incitare alla concretezza diviene ingiusto e paralizzante quando rimuove la speranza e spinge nella morsa della frustrazione.
Il clima di allarmismo è ghiaccio per la fiamma che arde nei più piccoli ed inesperti.
Ideali, sogni, passioni appaiono progressivamente sempre più limitati ad un ristretto gruppo di individui da cui i molti, si autoproclamano esclusi. La stragrande maggioranza dei giovani cresce nella convinzione di poter mirare unicamente ad occupare un ostico margine.
A livello lavorativo tutto ciò ha ovviamente delle conseguenze: attualmente l’unica variabile considerata di fondamentale importanza per la scelta dell’occupazione diviene il reddito o comunque il calibro sociale ad esso connesso ( nettamente distinguibile dall’utilità sociale). Sparisce il valore dell’attinenza con i personali interessi. Vi è, in aggiunta, una riduzione della propensione per il lavoro autonomo a favore di quello dipendente.
Persino a livello sociale e relazionale si hanno delle conseguenze rilevanti: i giovani mirano alla solidità ed alla stabilità, i sentimenti si riducono alla volontà di formare una famiglia. Poco riguardo si concede parallelamente all’aspirazione per la magia dell’utopico, per l’amicizia verace o l’amore autentico.
Ripensare l’educazione è quindi indispensabile
Indurre intere generazioni allo spegnimento delle passioni è scommettere sulla sterilità, perché ciò che è fertile è necessariamente vivo di sentimento.
Affinché la dinamica pedagogica della minaccia del peggio inverta il suo pericoloso circolare è indispensabile riscoprire l’importanza del desiderio e renderlo nuovamente nodale.
Stimolarne il compimento e la proliferazione.
Non lasciamo prevalere il rischio dell’arresto generale, impediamo che soffochino anime ardenti sotto il peso dello sconforto.