La storia non è reversibile, ma con i suoi corsi e ricorsi ci fornisce exempla innumerevoli della pedissequa reiterazione umana.
Il cosiddetto millenarismo, movimento presente nelle prime comunità cristiane, sosteneva la venuta imminente del Salvatore e del suo Regno a suffragio dei giusti. Utopia di una città ideale dove ogni elemento maligno, vizioso, belligerante, viene estirpato e ricondotto a un ideale illuminato di probità.
Una sorta di catarsi che si basa su principi di escatologia, ovvero sul destino ultimo dell’umanità. Senso apocalittico e profetico che corroborano una società “eletta” destinata a impersonare il cosiddetto “lotto dei giusti”, guidata da un cotale messaggero divino, capo carismatico, e la convivenza con la perenne sensazione di un’ineluttabilità della fine. Il tutto condito con un’esasperata nostalgia del Paradiso Perduto di una società originaria, pacifica dove non c’erano conflitti, ma solo serena coabitazione esule da ogni corruttibilità. Ovviamente i mezzi per instaurare questo regime puro erano estremi e portavano a distruzione di simulacri e lotte intestine.
Fermenti riformatori sono diffusi in tutto il tessuto connettivo storico, soprattutto in campo religioso nel Basso Medioevo, ove il focolaio delle eresie era ben radicato.
Jan Hus (1371-1415), riformatore boemo, seguace di Wycliffe, si staglia quale una delle figure più radicali nell’assetto teologico dell’epoca. Propulsore di una rigenerazione del cristianesimo delle origini con un’ideologia pauperistica, ove la simonia e la gerarchia clericale vengono condannate.
Giunge a negare l’affermazione del ruolo di capo della Chiesa al Papa, non riconosce Pietro quale il fondatore della Chiesa, argomentando con la dottrina di S. Agostino e lo strumento della ratio. Hus vede solo in Cristo il capostipite, la “pietra” su cui edificare la struttura. Nella sua concezione l’istituzione ecclesiale ha origine da Cesare e dal potere profano. Le cui determinazione autoritarie, quali scomunica, asserviscono il popolo per magnificare il clero e proteggere, dissimulando, la loro viziosità.
Hus, come tutti i profeti millenaristi, eretici radicali, viene bruciato al rogo.
La morale della favola è che la violenza, l’aggressività verbale, la radicalizzazione dei contenuti, la presunzione di un ordine pauperistico purificatore del male conducono all’autodistruzione di sé e di ciò che si è creato. Travolto da sé stesso. L’utopia non regge, i contenuti vincono sempre. Chi si carica di essere il detentore della Verità è il primo a mentire.