Europa, da sempre terra di aristocrazie. Nonostante le rivoluzioni liberali le abbiano rovesciate in quasi tutto il continente e i titoli nobiliari non contino più nulla, il potere continua a rimanere nelle mani di pochi individui fortunati: i miliardari. Sappiamo molto di più dei super ricchi americani che dei nostri miliardari europei, eppure sono questi ultimi a influenzare di più le nostre vite e i nostri paesi. E allora chi sono questi miliardari nostrani? Come influenzano la politica e i processi democratici?
L’inchiesta
Un’inchiesta di 70 giornalisti provenienti da 40 paesi del territorio europeo, pubblicata da The European Correspondent, cerca di dare una risposta a queste domande. Per farlo ha mappato 130 dei 600 miliardari europei, prendendo in esame tutti i paesi del continente. Non deve essere stato facile, vista la poca trasparenza e i limitati dati a disposizione sulla casta dei super ricchi.
Numeri difficili da concepire
È difficile immaginare un numero enorme come un miliardo. La nostra comprensione è falsata davanti a tali grandezze e così, per darci una mano ad afferrare ciò di cui si parla, The European Correspondent pubblica insieme all’inchiesta un grafico interattivo, che raffronta i numeri posseduti dai miliardari europei con dimensioni a noi più conosciute ed accessibili.
Per esempio, per raggiungere la ricchezza di Sir James Ratcliffe, magnate dell’industria chimica e uomo più ricco del Regno Unito, una persona con uno stipendio di 1500 euro dovrebbe lavorare un milione quarantaquattromilacentoquarantaquattro anni, tanto difficile da immaginare quanto da pronunciare. Un periodo di tempo immensamente più lungo dell’esistenza stessa dell’Homo Sapiens sulla Terra. Ovviamente, da questo calcolo sono escluse le spese di ogni tipo quindi, se proprio dovete mangiare e avere un tetto sopra la testa mettete in conto qualche annetto di vita in più.
Ma se siete ambiziosi e volete puntare davvero in alto, il super ricco da spodestare è Bernard Arnault, imprenditore francese del lusso. Il suo patrimonio supera i 220 miliardi di euro e lo pone al vertice della classifica dei miliardari europei. Per raggiungerlo si dovrebbe lavorare per oltre undici milioni di anni. Per fare un confronto, l’implementazione di un piano pandemico mondiale richiederebbe “solo” 3,24 miliardi di euro e, nel caso si sentisse così generoso da finanziarlo, ad Arnault resterebbero ancora cifre inimmaginabili. Volendo, potrebbe anche mettere fine alla fame nel mondo per un anno intero (costerebbe circa 34 miliardi) e rimanere comunque in cima alla classifica dei più ricchi.
I miliardari europei non sono tutti uguali
Dall’inchiesta emergono forti disparità e differenze tra i miliardari mappati. Prima di tutto una diseguaglianza di genere, nella lista compaiono solo sei donne e nel loro caso la ricchezza è stata ereditata da padri e nonni. Situazione simile per i ricchi dell’Europa occidentale, arricchiti attraverso linea genealogica come una nobiltà 2.0. Di diversa provenienza i capitali dei miliardari europei dell’Est e dei Balcani, arricchitisi negli anni ’90 e con le privatizzazioni post sovietiche.
Enorme disparità di patrimoni anche all’interno della stessa casta, con il miliardario più ricco di Francia 30 volte più ricco di quello dei Balcani. Il caso francese differisce anche per l’origine della ricchezza: se nel resto del continente le industrie più redditizie sono quelle più grandi, in Francia i miliardari sono diventati tali grazie a marchi di lusso, che rappresentano una nicchia di mercato.
Non solo soldi, ma anche potere
Così come le aristocrazie dei secoli scorsi, i miliardari europei non sono solo vergognosamente ricchi, ma anche potenti. Non solo il potere intrinseco che il denaro porta con sé, ma anche quello che deriva dalle amicizie politiche. Un sodalizio, quello tra miliardari e politici, che giova ad entrambi.
Le campagne elettorali costano, così come i media che amplificano le opinioni più gradite e i centri di ricerca che producono studi ad hoc per ogni esigenza. Avere un amico miliardario che appoggia la nostra politica fa sempre comodo. Ne sa qualcosa Viktor Orbán, primo ministro ungherese e grande amico di Mészáros Lőrinc, proprietario del più grosso gruppo editoriale del paese, che ha contribuito alla limitazione della libertà di stampa e dei media indipendenti.
Altri super ricchi decidono di entrare in politica in prima persona. È il caso di Rishi Sunak, primo ministro inglese con un patrimonio superiore a quello del Re. E come dimenticare Berlusconi d’altronde? Senza il suo immenso potere economico, possiamo essere certi che avrebbe raggiunto lo stesso potere politico?
Se guardiamo il caso della Svizzera, dove un solo uomo è riuscito a spostare l’intera politica verso la destra, si direbbe di no. Christoph Blocher, ricco anch’egli grazie all’industria chimica, ha finanziato il partito di estrema destra SVP nonché una lunga lista di referendum contro qualsiasi cosa, inclusa l’adesione allo Spazio economico europeo negli anni ’90.
In Germania troviamo sul podio una donna: Susanne Klatten, erede dei proprietari della casa automobilistica BMW e azionista della stessa. Il suo patrimonio è di poco inferiore ai 22 miliardi e la rende la donna più ricca della Germania. Klatten finanzia un gran numero di start up innovative e di progetti dell’Unione Europea, nonché numerose attività a sostegno dell’ambiente e della biodiversità.
Filantropia e miliardari
E qui si arriva ad un punto spesso tirato in ballo quando si parla di miliardari: il loro rapporto con la filantropia. Tra le più gettonate giustificazioni all’esistenza di ricchi di tale portata, molte persone menzionano le attività benefiche che questi portano avanti, sopperendo spesso alle carenze degli apparati statali preposti. Non ci sono dati a disposizione sulla beneficenza dei miliardari europei, ma esistono su quelli americani: i 264 più generosi hanno donato meno del 5% del loro patrimonio totale. Si possono ipotizzare cifre simili per quelli nostrani.
Per quanto molti di loro finanzino iniziative fondamentali, la filantropia è comunque un modo di esercitare potere. Spesso le organizzazioni della società civile dipendono dal finanziamento dei filantropi che, quando ritirato, mette a rischio la loro stessa esistenza. Ci sarebbe però un modo estremamente semplice per i miliardari di contribuire alla fioritura dei paesi che li hanno fatti arricchire: farsi tassare.
Perché non riusciamo a tassare i miliardari europei?
I miliardari europei pagano, in proporzione, meno tasse dei cittadini comuni. Come è possibile? Patrimoni di questo tenore non sono certo in forma liquida, ma divisi tra prodotti finanziari, immobili e beni di lusso. Questo li rende difficili da individuare, da valutare e da tassare. L’inchiesta di The European Correspondent denuncia l’incapacità della politica in ambito finanziario, specialmente quella progressista.
Se la ricchezza è accumulata in azioni, facilmente trasportabile da un paese all’altro in caso di aumento della tassazione, è chiaro come il problema non sia affrontabile a livello nazionale, ma richieda un lavoro congiunto e sovranazionale. Serve, insomma, una politica fiscale europea. Secondo gli economisti, le tasse da imporre, che colpirebbero solo patrimoni di quella portata, sono la tassa sul patrimonio e quella sulle plusvalenze della vendita di azioni quotate.
Nel 1990 erano dodici i paesi ad avere una tassa sul patrimonio, oggi sono solo la Spagna, la Norvegia e la Svizzera. È stata abolita perché la progressione colpiva anche i milionari, non solo i miliardari, causando trasferimenti all’estero che, sommati, alla fine hanno ridotto il gettito fiscale totale. Se l’imposta fosse fissa per ogni paese dell’Unione Europea, si ridurrebbe il fenomeno della fuga dei capitali.
La tassazione dei super ricchi dovrebbe essere nei programmi elettorali di qualsiasi partito di sinistra, di qualsiasi gruppo europeo; secondo i sondaggi è uno dei pochi temi a mettere d’accordo la maggior parte degli elettori in ogni parte del mondo.
L’iniziativa Tax The Rich
Sembra però la società civile l’unica a muoversi: l’iniziativa Tax The Rich è una proposta partita dal basso, dai cittadini europei, per convincere la Commissione Europea a tassare i grandi patrimoni. Per farlo servono un milione di firme in almeno sette paesi dell’unione. Per il momento il numero di firme supera di poco le 155 mila a causa della poca pubblicità concessa all’iniziativa.
Tassare i miliardari è una questione di giustizia e ogni giorno che passa lo diviene sempre di più. Un 1% possiede più del 25% della ricchezza del continente, mentre il 50% più povero ne possiede solo il 5%. Serve una ridistribuzione della ricchezza e potrebbe essere l’unica soluzione alla crisi della democrazia che stanno attraversando i nostri paesi.
Le stime indicano che una tassa tra il 2 e il 5% permetterebbe di accumulare più di 250 miliardi di euro, una cifra ben maggiore dell’intero budget europeo. Con queste cifre, investite in politiche sociali a favore dei cittadini, si risolverebbero tanti problemi: aumenterebbe la fiducia degli europei nella UE, si salverebbero vite, aumenterebbe il benessere generale della popolazione, si potrebbe fare di più per combattere la crisi climatica, aumenterebbero i livelli di istruzione e di salute. E i miliardari resterebbero comunque ancora vergognosamente ricchi. Ma almeno non colpevolmente.
Sara Pierri