Milano nera: l’underground milanese di Pier Paolo Pasolini

Milano nera

Nel 1963, Pasolini scrive Milano nera: ritratto della sub cultura undergruond Teddy Boys. Una Milano anni 50, la ribellione e la musica jazz

Pasolini, lo sappiamo tutti, era un intellettuale molto attento alle realtà altre.
Se la sua poesia e saggistica risultano ostiche, basta dare uno sguardo alla sua filmografia per renderci conto di quanto importante per lui sia la sottocultura, il subalterno, il proletariato.
Pensiamo agli esordi: in Accattone e Mamma Roma, questo figlio del boom economico, il proletariato infatti, viene elevato a protagonista indiscusso buttato in pasto alla borghesia che ovviamente storcerà il naso, con cui non si può non simpatizzare (e poi diciamolo, con Anna Magnani non puoi non simpatizzare!)
Ma anche il celeberrimo Comizi d’amore non scherza: la borghesia viene interrogata così come gli strati più umili d’Italia su argomenti scottanti. Il film mostra le due classi ignoranti allo stesso modo e mostra lo sguardo acuto e inquisitore di Pasolini, in uno dei più sinceri documentari sul pensiero degli italiani.

Ma è un altro il film su cui vogliamo soffermarci. Un film che ha avuto un iter difficile, tra smarrimenti e censure e riconoscimenti mancati: Milano nera.

Cos’è Milano nera 

Milano nera è un film del 1963, diretto da Gian Rocco e Pino Serpi, e prodotto da Renzo Tresoldi. Proprio Tresoldi ha commissionato la sceneggiatura a Pasolini (e poi è stata completamente rimaneggiata) che aveva presentato la sua opere con il titolo Polenta e Sangue prima e La nebbiosa poi, richiamando in entrambi i casi uno stereotipo milanese.

Il film, o meglio la sceneggiatura pasoliniana, racconta la notte di capodanno di cinque ragazzi, cinque Teddy Boys, alle prese con il loro vagare disturbante e distruttore. Vestiti dal classico giubbotto di pelle e un cappellino con visiera, la gang girovaga per Milano con il solo intento di distruzione nei confronti di tutto quanto possa passare sotto le loro mani, senza risparmiare niente e nessuno. Ovviamente, i temi sono quelli che spesso ricorrono in Pasolini. I borghesi, le prostitute, l’omosessualità: i ragazzacci, questi Bad Boys all’italiana che parlano dialetto e “vanno con le donne”, picchiano un omosessuale e lo umiliano, prendono in giro le prostitute e poi regalano a una di loro gioielli finiti rubati da una chiesa, bruciano e distruggono, mangiano a sbafo e bevono a casa di una contessa.

La loro notte brava è accompagnata dalle note di un sax che uno di loro suona di tanto in tanto e si porta appeso al collo, e sembra tanto un rito di iniziazione alla vita adulta che stanno per affrontare, non a caso è la notte di capodanno.

Chi sono i Teddy boys

“Figli del paternalismo sciocco e della presunzione pedagogica di padri  assenti”, direbbe Pasolini, i Teddy Boys sono i ragazzacci anni cinquanta che bevono Coca-Cola e ascoltano il rock ’n’ roll (in Itallia ascoltano Celentano, e vabè perdoniamoli).
Negli anni 50/60 , la subcultura inglese si definisce soprattutto nel modo di vestire, riprendendo la moda edoardiana da cui il nome teddy, e ponendosi quasi come risposta ai Thunderbirds americani. In Italia l’espressione Teddy Boys divenne subito spregiativa, per indicare la devianza dei giovani che si opponevano alla generazione dei padri. Avevano la loro musica, il rocknroll e il twist e il jazz come impronta distintiva; avevano la loro moda, il loro modo di parlare misto dialetto non troppo marcato e avevano i loro modi di leggere la società che li circondava.

Teddy boys e politica

I Teddy Boys erano spesso associati a orde neofasciste con le quali condividevano lo stile di vita violento nei confronti degli altri ma anche di loro stessi. Pasolini indaga con primissimi piani, che purtroppo non sono rimasti nel film, l’essenza e il motore di questa ribellione che in Itallia non trovo appiglio, “la colpa non è dei Teddy Boys” scriverà in un articolo, giustificando la loro rozzezza, il loro maschilismo, la loro omofobia e violenza con l’inadeguatezza di “coloro che hanno completato appena la quarta elementare”, rivedendo in loro i figli delle borgate romane, vittime dei miti costruiti dalla società postbellica.

“Con simili padri ideali – perché è chiaro che la media dei padri è fornita dalla media dei partecipanti a quel triste congresso – i figli non possono che nutrire disprezzo per la morale vigente: disprezzo non critico, naturalmente, e quindi anarchico, improduttivo, patologico. Alla superficialità rispondono con la superficialità, alla crudeltà con la crudeltà. In effetti sono proprio i Teddy Boys i figli reali dei nostri avvocati, dei nostri professori, dei nostri luminari.”

Milano in Milano nera: palcoscenico e protagonista

Palcoscenico delle scorribande dei Teddy Boys milanesi è appunto Milano. Alcuni luoghi simboli vengono indugiati sapientemente e trovano perfettamente il loro spazio all’interno della narrazione.
In generale, il sentimento nei confronti della città è che solo qui e solo in questo momento potrebbero accadere queste cose.

Non solo i monumenti conosciuti, ma anche le strade, le luci dei palazzi, i grattacieli anonimi diventano stupendi protagonisti del racconto, della storia italiana di quegli anni. La fotografia notturna della periferia milanese arricchita dal bianco e nero certe volte ruba la scena all’umana presenza, e così i giochi di luce e ombre sulla società dei consumi tra dialoghi frivoli e apparente cultura artistica delle donne da bene.
Piazza Duomo, il Pirellone, il luna park. Tutta Milano incorniciata dalla colonna sonora di Giovanni Fusco e dal sax dei Teddy Boys.

Rimaneggiamenti o tradimenti?

I rimaneggiamenti operati dai registi purtroppo hanno smorzato l’intento di denuncia sociale di Pier Paolo Pasolini, volgarizzando i dialoghi e abbassando il ritmo con lunghissimi piani sequenza senza senso. Il film risulta a tratti cupo, freddo, lontano dal reale. Rimane un prezioso documento storico, certo, ma perde la poesia che invece è presentissima nella scrittura di Pasolini.

Milano nera fu un flop, e sotto sotto non stupisce dati i rimaneggiamenti.
Tresoldi non pagò la seconda metà del compenso e Pasolini abbandonò l’opera.
Arrivò tardi in sala senza far rifermento allo sceneggiatore, e vi rimase solo pochi giorni anche a causa della censura operante. Considerato perduto per anni, è stato ritrovato per caso in un cinema milanese negli anni 90, e ancora dopo 60 anni dalla sua creazione, oltre ogni aspettativa di allora, siamo qui a parlare di Milano nera di Pier Paolo Pasolini.

Maura Vindigni

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