Tutto il mondo è paese, siamo d’accordo, ma Milano è una gran Milano. Le note della più popolare canzone milanese scandivano l’orgoglio meneghino che nel calcio, negli ultimi anni, è andato mano a mano sotterrandosi. Milan e Inter non sono state in grado di dare una spolverata alle bacheche e rimettere a nuovo il prestigio, tra raffazzonati proprietari indonesiani e una dirigenza gloriosa che però aveva ormai da tempo chiuso i rubinetti, sia quelli da cui sgorgava denaro ma anche quelli, cosa ancor più grave, da cui sgorgava passione e trasparenza. E così la soluzione è arrivata da lontano. La scalata al mondo dei cinesi non ha fatto eccezione nemmeno nel football, e in Piazza Duomo è sbarcato prima un dragone nerazzurro, duecento milioni cash o giù di lì per rilevare l’Inter, e poi uno rossonero, che al termine di una trattativa più complicata del previsto e degna del miglior romanziere, ha preso sotto braccio il Milan, raccogliendolo da terra come un gattino impaurito e completamente spoglio del suo alone di gloria al quale il calcio internazionale era abituato.
Fassone e Mirabelli sono partiti col turbo, hanno scelto la strategia del “tutto subito”, l’ingordigia supportata da denaro fresco arrivato nelle casse milaniste e un debito grossolano sì con le banche ma soprattutto con i tifosi. Musacchio e Rodriguez i primi due colpi ampiamente in canna da tempo, Conti, Kessiè e Biglia i tre colpi più importanti per rinfrescare il terreno brullo e secco della fascia destra calpestata in precedenza da Abate e De Sciglio, Bonucci quello totalmente inaspettato per la sveltezza della trattativa e per aver tolto almeno una minima sicurezza alla inarrestabile Juventus. Bene anche “l’operaio” Borini, e il turco Calhanoglu al quale dovrà essere concesso tempo per riprendere il ritmo dopo aver interrotto la carriera per quattro mesi a causa di una squalifica. Il Milan ha fatto la voce grossa, ha guadagnato di nuovo il rispetto della gente che ha donato scettro e corona ai due dirigenti rossoneri, ma si sa che il calcio è uno sport di pancia e ben presto, se le cose non dovessero funzionare, in molti cambierebbero idea. Il quarto posto è l’obbiettivo minimo, ma, sempre sulla carta, azzardiamo che il Milan possa giocarsela anche per il terzo posto.
Mentre da una parte non si badava a spese, dall’altra, la sponda Inter, si latitava. “Compreremo quando conta” aveva detto l’ex giocatore e tifoso Nicola Berti, e i colpi di Suning sono stati piazzati solo di recente. Vecino e Borja Valero ridisegnano il centrocampo portando un tocco di qualità, Skriniar dalla Sampdoria si piazza al centro della difesa, Dalbert, altro ex Nizza, squadra rivelazione in Francia lo scorso anno, si sistema a sinistra, e le bizze di Perisic paiono essersi attenuate. Ma l’acquisto migliore della nuova Inter è certamente Spalletti, un pragmatico condottiero, esperto e abituato a lottare per il vertice, nonché con la peculiarità di tirare fuori sempre il meglio dalle proprie squadre. La sua pacata risolutezza e la capacità scafata di motivare gli undici a disposizione, vanno a colmare un importante vuoto di stimoli e motivazioni che aveva contrassegnato la disastrosa annata nerazzurra dello scorso torneo.
Strategie diverse, innesti differenti, stessa voglia di tornare protagoniste. Ora parlerà il campo. Se sarà tornata una “Milano da bere” lo sapremo molto presto.