La migrazione climatica come crisi globale: le persone in movimento tra guerre e clima

Migranti abbandonati nel deserto - Unione Europea. Migrazione climatica

Un panorama migratorio in costante evoluzione

Le migrazioni interne ed internazionali stanno registrando numeri senza precedenti. Secondo il Rapporto mondiale sulla migrazione dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), nel 2022 si contavano 281 milioni di migranti, di cui 117 milioni sfollati. La migrazione climatica è un fenomeno che si intreccia con tutti i conflitti in corso e le crisi economiche dei paesi in via di sviluppo, contribuendo così a ridisegnare i flussi migratori e le loro implicazioni globali. In questo contesto, ci sono anche le migrazioni climatiche, cioè quando i disastri ambientali per mano umana sono così tragici che l’unica soluzione è quella di spostarsi, promettendosi un giorno di ritornare.

Eventi come il conflitto in Ucraina, l’instabilità in Sudan e l’assedio in corso a Gaza sottolineano come le migrazioni non siano solo una questione di opportunità economiche, ma anche una risposta a emergenze umanitarie e climatiche.

Il peso dei cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici rappresentano un elemento cruciale nel fenomeno migratorio. Proiezioni dell’OIM stimano che entro il 2050 circa 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a spostarsi a causa di eventi climatici estremi e processi di degrado ambientale.

La siccità, l’innalzamento dei mari e la desertificazione minacciano la stabilità delle comunità più vulnerabili, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito causando così la migrazione climatica di tutte quelle persone che vivono nelle zone più devastate o soggette ad un pericolo evidente.

In queste regioni, la migrazione climatica è spesso l’unica strategia di adattamento possibile. Il fenomeno però non è lineare: crisi ambientali lente, come l’erosione del suolo, spesso intrappolano le popolazioni in condizioni di estrema povertà, impedendo loro di spostarsi.

Il ruolo delle rimesse nelle economie globali

La migrazione climatica, che il più delle volte si verifica all’interno di un Paese, senza quindi superare le frontiere nazionali, non è solo un fattore di resilienza per gli individui, ma anche un motore economico per i Paesi di origine. Tra il 2020 e il 2022, le rimesse internazionali sono cresciute esponenzialmente, raggiungendo gli 831 miliardi di dollari. Di questa cifra, 647 miliardi sono stati inviati verso Paesi a basso e medio reddito, contribuendo significativamente al PIL locale e superando gli investimenti esteri diretti.



Questo flusso di risorse offre una parziale risposta alle difficoltà economiche, ma non può compensare le lacune strutturali generate da crisi climatiche e geopolitiche.

Conflitti e migrazione climatica: un legame complesso

Le guerre amplificano le migrazioni forzate e aggravano le fragilità preesistenti. L’invasione dell’Ucraina, ad esempio, ha generato milioni di sfollati interni e rifugiati, interrompendo decenni di cooperazione internazionale.

Allo stesso modo, il conflitto in Sudan ha spinto 700.000 persone a cercare rifugio nel Ciad, un Paese già gravemente colpito da siccità e desertificazione. Questi esempi dimostrano come i conflitti, combinati agli effetti dei cambiamenti climatici, rendano insostenibili le condizioni di vita nelle regioni più vulnerabili.

Un quadro normativo frammentato

La governance internazionale delle migrazioni climatiche è ancora insufficiente e frammentata. Strumenti come il Global Compact for Migration riconoscono il legame tra cambiamenti climatici e migrazioni, ma mancano di vincoli legali e di un’implementazione efficace. Inoltre, i diritti umani sono spesso subordinati agli interessi nazionali. In Europa, le politiche migratorie si concentrano sulla deterrenza e sull’esternalizzazione delle frontiere, ignorando la necessità di creare meccanismi di protezione più inclusivi per i migranti climatici.

Criticità del termine “migranti climatici”

Definire i migranti climatici rimane una sfida complessa. Gli spostamenti sono spesso causati da una combinazione di fattori economici, sociali e ambientali. Sebbene il termine “rifugiati climatici” non sia riconosciuto dal diritto internazionale, cresce l’urgenza di offrire protezioni specifiche a chi migra per motivi ambientali.

Gli eventi improvvisi, come cicloni e inondazioni, trovano alcune risposte nei meccanismi di protezione umanitaria, ma i fenomeni graduali, come la salinizzazione dei terreni, lasciano milioni di persone senza tutela adeguata.

Verso un approccio più olistico

La migrazione climatica, vista non solo come problema ma anche come strumento di adattamento ai cambiamenti climatici, sta acquisendo rilevanza nelle discussioni globali. Questo approccio rischia di ignorare la responsabilità dei Paesi industrializzati e le disuguaglianze che alimentano le crisi. È necessario un cambio di paradigma che integri diritti umani, giustizia climatica e cooperazione internazionale, mirando a soluzioni sostenibili e inclusive.

Le migrazioni sono parte integrante della storia umana e una risposta inevitabile alle sfide del nostro tempo. La comunità internazionale deve affrontare con urgenza le lacune normative e finanziarie che ostacolano la protezione dei migranti.

Il rapporto dell’OIM invita a un’azione coordinata, basata sui diritti, per affrontare le crisi climatiche e le loro implicazioni migratorie. Solo un approccio olistico potrà garantire un futuro più giusto e resiliente per le popolazioni più vulnerabili del pianeta.

Lucrezia Agliani

Exit mobile version