La segretaria di Stato svizzera per la migrazione ha firmato un accordo di cooperazione con la Guinea-Bissau. Esso regola la riammissione degli immigrati clandestini e consente di rafforzare la buona governance in Guinea-Bissau sulle questioni migratorie. Tra buoni propositi e tattiche di rimpatrio, l’accordo in fondo non risulta apportare cambiamenti positivi per entrambi i Paesi.
Il 28 febbraio Christine Schraner Burgener, segretaria di Stato svizzera per la migrazione, ha firmato un accordo con Udé Fati, segretaria di Stato per la Cooperazione della Guinea-Bissau.
Siglato a Berna, stabilisce un processo di cooperazione in materia migratoria tra i due Paesi. In particolare disciplina le questione relative alla “riammissione” di persone in situazione irregolare e permette di rafforzare la governance migratoria in Guinea-Bissau.
Con l’accordo Schraner Burgener ha assicurato il suo Paese soprattutto dalla questione degli immigrati clandestini. Per la Svizzera, infatti, è di fondamentale importanza cercare di espatriarli il più possibile, in quanto il loro numero è più che triplicato nel 2022.
La fragilità economica della Guinea-Bissau, tuttavia, solleva molte perplessità sull’espatrio dei migranti. Questo infatti incoraggia molti giovani a cercare di migrare in Paesi come la Svizzera caratterizzati da una maggiore stabilità economica e leggi migliori.
Non solo: sebbene la segretaria di Stato intenda sostenere la Guinea-Bissau con progetti di sviluppo in loco, l’accordo firmato nello specifico non dice nulla a riguardo. Si parla soltanto della necessità di risolvere problemi relativi l’identificazione e il rilascio dei documenti di viaggio e tutt’al più di digitalizzazione del registro civile del Paese.
Si tratta di questioni che non vanno a risolvere il problema dell’immigrazione né peraltro a beneficiare effettivamente la Guinea-Bissau. Per tale fine bisognerebbe risollevare l’economia del Paese africano e favorire lo sviluppo nel lungo termine. Al contempo si dovrebbe fare lo stesso per tutti quei Paesi in difficoltà economica, sociale e politica perché il problema immigrazione riguarda l’intero mondo.
In cosa consiste il testo nel dettaglio?
Il testo è costituito da sette capitoli, ognuno dei quali tratta un aspetto in materia di immigrazione. Alla base prevede il rafforzamento equo della cooperazione bilaterale tra i due Paesi, finalizzato soprattutto «a trovare soluzioni costruttive alle sfide poste dalla migrazione irregolare». Si riconosce pertanto che una protezione efficace dei diritti dei migranti è importante nella gestione migratoria e che l’immigrazione irregolare va affrontata anche in termini di sviluppo.
Nell’accordo si regolano innanzitutto le condizioni d’entrata e di soggiorno tra le Parti contraenti e il rispettivo disciplinamento. Si garantisce così il pieno rispetto delle domande d’asilo e dei permessi di soggiorno e un servizio che tratti con cura, diligenza e benevolenza queste richieste.
Si procede poi con la riammissione dei cittadini in situazione irregolare, ovvero l’espatrio degli immigrati clandestini presenti nella Guinea-Bissau e in Svizzera. Per tale operazione il Paese richiedente la domanda di riammissione deve presentare dati inerenti della persona da espatriare e ricevere l’accettazione dell’altro Paese. Solo se alla persona in questione viene riconosciuta la cittadinanza di quest’ultimo, allora si potrà procedere. Ciò avverrà se l’autorità competente del Paese considerato avrà individuato qualsiasi elemento riconosciuto della persona.
Una volta accertata la sua riammissione, l’espatrio deve salvaguardare l’onore, la dignità e l’integrità fisica e morale della persona. Si stabiliscono a tal proposito casi di risoluzione particolare per donne incinte, minori e anziani senza tutele, famiglie numerose e persone con esigenze mediche.
Svizzera e Guinea-Bissau, inoltre, si adoperano insieme a rafforzare e migliorare la capacità dei loro sistemi nazionali di gestione migratoria, cercando anche di «incoraggiare e facilitare il ritorno volontario di persone nel loro Paese d’origine».
L’accordo si conclude garantendo cooperazione, assistenza tecnica e piena protezione dei dati delle persone coinvolte nella domanda di riammissione. A dispetto di quanto dovrebbe fare, non considera in alcun modo delle problematiche interne alla Guinea-Bissau.
L’espatrio per i cittadini della Guinea-Bissau: cosa significa?
Tornare in questo Paese per i cittadini della Guinea-Bissau significa ritrovarsi in una situazione pericolosa sotto diversi punti di vista.
La debolezza delle istituzioni statali e una cattiva gestione della pubblica amministrazione non garantiscono servizi adeguati alla popolazione e generano malcontento. La maggior parte delle volte lo Stato risulta assente nel suo territorio e quei pochi servizi che fornisce spesso si rivelano inefficienti. Corruzione e impunità sono frequenti e prevale il tribalismo.
Il vuoto istituzionale, che ha sempre caratterizzato il paese, ha creato col tempo problematiche croniche. In particolare la povertà, essenzialmente motivata dalla mancanza di cibo e acqua, è una delle principali cause di tensioni e conflitti. La loro mancanza di disponibilità, accessibilità e sostenibilità economica sfocia in azioni violente, unico modo con cui la popolazione cerca di farsi sentire. Scontri diretti con l’esercito o per accaparrarsi risorse essenziali, saccheggi e danni alle poche infrastrutture presenti generano numerose vittime e feriti.
L’insicurezza pertanto è dilagante in tutto il paese e in Guinea-Bissau proliferano armi. Quest’ultime sono usate per attuare furti di bestiame nelle tribù e deteriorano le relazioni tra i diversi gruppi etnici. Le regioni interne del paese si presentano poco sicure e scontri armati sono possibili in qualsiasi momento. Sono presenti, inoltre, Zone minate, e la criminalità è alquanto diffusa, soprattutto i business di droga, unica fonte di sostentamento per i cittadini del Paese.
Condizioni locali precarie, opportunità limitate, desertificazione e malattie per giunta innescano un massiccio esodo rurale verso le grandi città, in particolar modo di giovani. Si assiste così a una crescente carenza di manodopera nel settore agricolo che colpisce fortemente l’economia.
Tutte questi problemi rendono il paese instabile e non si può in alcun modo garantire l’espatrio anche qualora fosse giustificato da motivazioni economiche. Ma il problema non è garantire l’espatrio, bensì la sicurezza internazionale.
Bisogna garantire la sicurezza internazionale affinché il problema dell’immigrazione venga risolto in Guinea-Bissau e non solo
La sicurezza mondiale oggigiorno è sempre più ostacolata dai fenomeni migratori. Il numero di migranti sta aumentando e bisogna contrastarlo se non vogliamo essere travolti da una crisi internazionale.
Per farlo è necessario sostenere i Paesi sottosviluppati non con semplici investimenti, in quanto non portano automaticamente a una riduzione delle migrazioni. Nell’immediato, anzi, si osserva che lo sviluppo dovuto a investimenti agisce persino come stimolo all’emigrazioni in questi Paesi: aumentando il reddito disponibile si possono sostenere costi per emigrare. Non solo: lo sviluppo spinge a emigrare anche perché accresce il livello d’istruzione, l’accesso all’informazione e persino le scelte di matrimonio e fertilità.
E non basta soltanto sostenerli economicamente nel lungo termine: bisogna evitare che la crescista si riveli per loro molto fragile. Negli anni Duemila infatti il Pil di diversi Paesi africani, tra cui la Guinea-Bissau, aveva subito un rapido aumento, prevedendo una strada simili a quelle delle Tigri asiatiche. Tuttavia, la crescita si è rivelata troppo legata al prezzo delle materie prime che esportava. Di conseguenza, una volta affermatesi materie più competitive provenienti da paesi più sviluppati, l’economia africana non ha saputo tenere il passo ed è crollata.
Pertanto si dovrebbe smettere di cercare di controllare le migrazioni con strategie di dubbia efficacia oltre che eticamente discutibili. Non possiamo, per esempio, contrastare le partenze come la Svizzera ha voluto fare con quest’accordo né esternalizzare le frontiere. Sono scelte che alla fine si ritorcono contro gli stessi Paesi che le attuano e che violano i diritti umani.