Gli sbarchi degli ultimi giorni sull’Isola di Lampedusa hanno riacceso l’attenzione sul tema della gestione delle politiche migratorie. In Italia, dal primo gennaio ad oggi, sono sbarcati in totale 123.863 migranti, praticamente il doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 e il triplo del 2021. Il DL 20/2023, firmato simbolicamente a Cutro dopo la tragedia dello scorso 26 febbraio, si è rivelato inadeguato a fronteggiare l’emergenza migranti mentre il Memorandum siglato tra Ue e Tunisia rischia già di saltare dopo l’incidente diplomatico che ha coinvolto Bruxelles e Tunisi. Ultima Voce ha affrontato l’argomento in un’intervista con Alessandro Bertani vicepresidente di Emergency.
Insieme al problema del cambiamento climatico, la gestione dei flussi migratori rappresenta una delle più grandi sfide del nostro tempo Negli ultimi trent’anni, le migrazioni di massa da paesi poveri e in via di sviluppo verso regioni del mondo più avanzate, sono diventate un fenomeno strutturale che necessita di essere governato nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti ad ogni essere umano. Tuttavia, ogni qual volta si è trattato di affrontare la questione attraverso una pianificazione politica chiara, sia le istituzioni internazionali che gli Stati interessati dalle pressioni migratorie, si sono sempre limitati a derubricare il problema alla voce “emergenza”, fornendo risposte approssimative e ignorando, spesso volutamente, le cause profonde del fenomeno migratorio.
Nell’ambito dei programmi di salvataggio e assistenza di migliaia di persone che ogni giorno affrontano il mare o attraversano interi continenti per arrivare alle porte dell’Europa in cerca di una possibilità di vita migliore, il ruolo delle organizzazioni non governative (ONG) si è rivelato di vitale importanza, nonostante le limitazioni imposte dalla politica internazionale e le accuse, rivelatesi poi infondate, di essere le principali responsabili dell’aumento degli sbarchi.
Emergency, associazione umanitaria fondata da Gino Strada, è impegnata da anni nel portare sostegno e cure mediche ai migranti che approdano nel nostro Paese. Nel 2022 il team di Emergency ha allestito una propria nave, la Life Support, con la quale effettua operazioni SAR (ricerca e salvataggio) nel Mediterraneo centrale, diventato la rotta migratoria più pericolosa del mondo.
Dopo l’ennesima ondata di sbarchi che ha travolto l’Isola di Lampedusa, Ultima Voce ha intervistato Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency, per approfondire il tema della governabilità dei flussi migratori e discutere della validità degli ultimi strumenti normativi messi in atto dal governo italiano e dall’Ue nel contenimento dei migranti che quotidianamente sbarcano sulle coste italiane.
L’impegno di Emergency nel progetto “Life Support”
Emergency vede la luce nel 1994, a Milano, da un’idea di Gino Strada e di sua Moglie Teresa Sarti per offrire cure mediche alle vittime delle guerre, delle mine e della povertà. In tanti anni di attività avete costruito ospedali, centri chirurgici, centri di riabilitazione, centri pediatrici, posti di primo soccorso in 20 paesi diversi, assicurando cure mediche e supporto sanitario. Da alcuni anni avete iniziato ad effettuare delle operazioni SAR in totale autonomia con la nave Life Support per garantire il diritto alla vita anche ai naufraghi in mezzo al mare. Come nasce l’idea di allestire una vostra nave per effettuare i soccorsi nel Mediterraneo?
«Ma guarda, è un’idea che parte da qualche anno fa. Dai tanti progetti che aveva Gino (Strada) che ancora una volta ci aveva visto lungo. Ormai cinque anni fa abbiamo cominciato a discutere di iniziare con un’attività che per noi era completamente nuova (le missioni Sar ndr). In passato, abbiamo fatto delle missioni con dei team sanitari di altre navi ma poi ci è venuta l’idea di allestire una nostra nave perché secondo Gino ci saremmo trovati di fronte a una riduzione di quei soggetti che operano i salvataggi. E ancora una volta aveva ragione Lui come dimostrano gli eventi degli ultimi anni viste tutte le barriere e gli ostacoli che sono stati creati per fermare questa attività. Da allora abbiamo cominciato a cercare una nave che fosse idonea a compiere questo tipo di attività, un’operazione non semplicissima. Una volta comprata, abbiamo allestito gli spazi per adattarli alle esigenze delle missioni sar, il personale di bordo che è composto dalla crew strettamente navale, cioè quella che garantisce l’attività della nave, e il team dei rescuers, cioè quelli che saltano sui rib (battelli per il salvataggio) e vanno a recuperare le persone sulle imbarcazioni in difficoltà. E poi c’è il personale sanitario: medici, infermieri e mediatori culturali che sono coloro che hanno il primo contatto con le persone salvate. Come vedi, è un progetto che ha cinque anni d’incubazione.»
Sul fronte sbarchi, il governo Meloni ha battuto sino a questo momento ogni record negativo. Del resto i dati parlano chiaro: dal primo gennaio in Italia sono sbarcati in totale 123.863 migranti, praticamente il doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 e il triplo del 2021. Il DL 20/2023 firmato simbolicamente a Cutro dopo la tragedia dello scorso 26 febbraio si è rivelato inadeguato a fronteggiare l’emergenza. Uno degli elementi più controversi e contestati del decreto Cutro riguarda la stretta sulla protezione speciale (il dl ha ristretto nuovamente le ipotesi di divieto di espulsione). Come giudichi le decisioni di questo governo?
«Intanto, va detto che gli ostacoli non sono stati creati soltanto da questo governo ma anche dagli altri governi precedenti. Questo è bene ricordarlo, perché sono stati creati degli ostacoli all’accoglienza, che, come i migranti, spesso viene definita clandestina e che invece riguarda persone che scappano da guerre, povertà, stupri, pestaggi. A questa stratificazione di ostacoli si è aggiunta poi quella dell’ultimo governo. La stretta introdotta dal decreto Cutro è profondamente sbagliata. Intanto perché, è vero che con quel decreto si sono inasprite le pene per gli scafisti, ma ciò non ha migliorato la situazione sulle partenze. Perché i cosiddetti scafisti sono solo coloro che trasportano i migranti, quasi sempre sono essi stessi migranti, ma il vero problema restano i trafficanti. E poi, togliere la protezione speciale significa togliere delle garanzie previste dalla costituzione e dal diritto europeo e internazionale alle persone che sbarcano, rendendo la loro posizione ancora più precaria, impedendogli ad esempio di ricevere le cure necessarie garantite in precedenza (ampliate con il dl 130/2020), in quanto vengono immediatamente rimpatriati. Inoltre, c’è il rischio di lasciare che una piccola parte di queste persone finisca nelle mani della criminalità organizzata, diventando o vittima delle nuove schiavitù come braccianti nelle campagne o peggio ancora come manovalanza per le cosche».
Per governare davvero l’immigrazione è necessario tutelare i diritti fondamentali
I numeri degli sbarchi che stanno interessando l’Italia in questi giorni si spiegano guardando ai Paesi di partenza, oltre che alle condizioni favorevoli del mare. La maggior parte dei migranti proviene dall’Africa, un continente ricchissimo ma molto sfortunato anche per colpa di noi europei che continuiamo a considerarlo, dopo secoli di colonialismo, come una riserva di caccia personale. Le migliaia di persone sbarcate in queste ore a Lampedusa scappano da terremoti, nubifragi, guerre e colpi di stato e non viaggiano certo per piacere. Eppure, in Italia e più in generale in Europa, quando si parla di migranti provenienti dall’Africa si tende sempre a distinguere tra migranti economici e rifugiati. Attualmente, quali sono i progetti che Emergency sta attualmente portando avanti in Africa per aiutare la popolazione?
«Da più di vent’anni abbiamo un ospedale e un centro pediatrico costruito per supportare le vittime di quella ‘croce’ che è stata la guerra in Sierra Leone, combattuta con i machete. In quei luoghi c’erano un sacco di amputati che andavano curati e c’era la necessità di realizzare dei reparti di chirurgia di guerra. Poi abbiamo un centro di cardiochirurgia in Sudan, in questo momento devastato dalla guerra (causata dal colpo di stato ndr), totalmente completamente ignorata dalla comunità internazionale. Il centro di eccellenza di Karthoum è un riferimento per la cardiochirurgia nell’intero continente africano: riceviamo pazienti da più di ventisei paesi dell’Africa. Inoltre, è un modo per creare cooperazione internazionale tra i vari stati che magati sono in guerra tra di loro. E sul modello di questo progetto di medicina regionale abbiamo realizzato un secondo centro di chirurgia pediatrica a Entebbe in Uganda. Poi abbiamo un progetto cardiologico anche in Eritrea».
Oggi, il problema dei flussi migratori è una questione strutturale e non può essere derubricata a semplice situazione emergenziale. Eppure, la politica – sia a livello nazionale che sovranazionale – continua a trattarlo come un epifenomeno, utile da brandire quando si tratta di fare proclami, soprattutto in tempo di campagna elettorale. Basta vedere quello che è successo con il Memorandum d’intesa sottoscritto dall’Ue con la Tunisia che tra l’altro rischia anche di saltare dopo che Tunisi ha vietato l’ingresso di una delegazione di eurodeputati. La leader dei socialisti e democratici, la spagnola Iratxe Garcìa ha detto chiaramente che il Memorandum è stata un’idea sbagliata se non addirittura illegale e che sarebbe stato meglio non sottoscriverlo. Secondo Meloni, invece, il Memorandum rappresenta il nuovo “modello” su cui costruire le future relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa. Secondo te funzionerà?
«Se è lo stesso per cui poi la Tunisia respinge una delegazione dei membri del parlamento europeo, direi che è un modello che parte davvero male perché dovrebbe esserci almeno un piano paritario di confronto e di collaborazione tra Ue e Tunisia. Lasciando da parte il fatto che l’Italia e l’Europa così scendono a patti con autocrati che non rispettano i diritti umani, Questo protocollo prevede, ancora una volta, il contenimento del numero delle partenze e questa è una scelta che negli anni si è rivelata sbagliata. Sono tutte scelte miopi che non mettono a fuoco il vero problema. Un vero modello di cooperazione europea dovrebbe andare a bloccare alla radice le cause che spingono queste persone ad affrontare un viaggio terrificante, ma che resta comunque l’unica possibilità per scappare da morte certa. Queste cause sono ovviamente le guerre, gli abusi, la povertà e le violazioni dei diritti umani. Informare semplicemente queste persone sui pericoli cui vanno incontro ogni volta che provano ad attraversare il mare non risolve il problema. Per cambiare la situazione bisogna provare ad affrontare le cause che nel lungo periodo spingono i migranti a mettersi in viaggio. Ma intanto per evitare che il mediterraneo resti una delle rotte migratorie più letali al mondo bisogna garantire vie legali e sicure di accesso in Europa, nonché una missione Sar europea».
Prima di concludere questa intervista, vorrei condividere con te una riflessione sull’idea che molte persone hanno della figura del migrante. Sempre più spesso quando si parla di immigrazione, sui giornali e nei talk show i migranti vengono presentati come una risorsa da sfruttare, ad esempio per incentivare la crescita economica o magari per contrastare la crisi demografica. Come giudichi questo modo di pensare, ormai sempre più diffuso, per cui il migrante per essere accettato debba per forza “servire” a qualcosa?
«Io penso che ci siano persone in malafede e persone in buonafede ma le più preoccupanti sono quelle in buonafede perché magari sono abituate a pensare in questo modo per il semplice fatto che l’Unione Europea oggi è una comunità economica e le sue politiche sono prevalentemente incardinate sul dato economico. Ma considerare le persone come merci, utili soltanto se in grado di lavorare, è un approccio profondamente sbagliato della natura umana e anche fortemente razzista. E poi, guarda caso, questo atteggiamento è prevalente nei confronti di persone che sono deboli e hanno magari bisogno di protezione internazionale, garantita dai trattati internazionali. E siccome l’Unione europea è la culla del diritto, il territorio nel quale il diritto è ancora un pilastro, dobbiamo fare in modo di richiamare l’attenzione su questo principio fondamentale. Se l’Europa è da settant’anni una terra pacificata dopo essere stata la terra più guerreggiata del continente lo si deve alla pratica e all’applicazione quotidiana. E allora bisogna richiamare l’attenzione sul rispetto dei diritti e sulla possibilità di garantirne la tutela a tutte queste persone in virtù della loro condizione. E poi c’è la grande contraddizione di quest’ultimo anno: siamo stati disposti ad accogliere profughi che scappavano da una guerra alle porte dell’Europa ma i profughi sono tutti uguali anche quelli che scappano dalle guerre in Africa e in Asia. Perché ogni volta che si pregiudica un diritto ci perdiamo tutti».
In questi anni, il lavoro delle ONG nei salvataggi in mare è stato fortemente osteggiato dalla politica. Il primo decreto-legge varato dal governo nel 2023 (cosiddetto decreto ONG) ha imposto stringenti condizioni alle navi-soccorso delle Organizzazioni Non Governative mentre a Bruxelles hanno preferito appaltare il contenimento delle partenze a paesi come la Tunisia di Kaïs Saïed, tristemente famosa per le sistematiche violazioni dei diritti umani. E ancora adesso, dopo gli sbarchi degli ultimi giorni sull’Isola di Lampedusa, le parole del Premier italiano Giorgia Meloni sembrano confermare questo disastroso e surreale scenario con le istituzioni che continuano a guardare il dito ignorando la luna. Per l’attuale governo l’obiettivo restano i rimpatri, non la redistribuzione mentre dall’Europa arrivano soltanto flebili rassicurazioni di circostanza con la presidente Ursula von der Leyen che ha timidamente fatto appello alla generosità (inesistente) dei Paesi membri “perché attivino meccanismi di solidarietà volontaria” nella redistribuzione.