Migranti: la lotta alle ONG diminuirà davvero gli sbarchi?

Refugees on a boat crossing the Mediterranean sea, heading from Turkish coast to the northeastern Greek island of Lesbos, 29 January 2016.

“Meno partenze meno sbarchi, meno morti in mare”.

Un’equazione, quasi un mantra, o una giustificazione che non sta in piedi?Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha fatto di questo slogan uno dei punti cardine della politica di respingimenti e della guerra portata avanti dal nostro Governo, nei confronti delle Ong dedite ai salvataggi in mare lungo le rotte che dalle coste africane conducono a quelle europee.
Un’equazione, se corretta, non dovrebbe temere un confronto fondato sui numeri. Partiamo dai dati relativi alle morti in mare. L’OiM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) parla di 35.503 arrivi sulle coste europee e di 790 morti accertate nel primo semestre del 2018, a fronte di 24.053 arrivi e 543 morti accertate (di cui 343 nel Mediterraneo centrale) nel primo semestre 2019.

Numeri alla mano, la percentuale di migranti morti in mare è passata da 1 su 29 dell’anno scorso a 1 ogni 6 di quest’anno.

L’equazione tanto cara all’attuale Esecutivo si rivela pertanto un castello di carte e intanto si continuano a sequestrare le navi che solcano il Mediterraneo nel tentativo di ridurre il numero dei morti e far sì che il nostro Mare sia un mare non si trasformi in un enorme cimitero.
Per risolvere l’emergenza umanitaria è necessario che la politica operi in direzione di riforme necessarie dell’ordinamento giuridico europeo sulle migrazioni e contemporaneamente cessi di usare gli sbarchi nel Mediterraneo a fini esclusivamente propagandistici.

Da anni la Commissione europea ha aperto tavoli di confronto per la riforma del Regolamento di Dublino 3  (in vigore dal primo gennaio 2014), peccato che la Lega non si presenti e il Movimento Cinque Stelle si sia più volte astenuto quando è stato il momento di mettere ai voti le proposte di riforma sulla ripartizione dei migranti degli Stati Membri.                                        Forse perché impegnati ad urlare nelle piazze “stop invasione!” o “Ong taxi del mare”.

Se davvero si vogliono ridurre le morti e far sì che le vite dei migranti non finiscano nelle mani dei trafficanti di esseri umani, non si può pensare che la soluzione sia quella di stringere accordi con un Paese come la Libia nella quale, (parole di Carlotta Sami, portavoce di Unhcr):

“non possiamo garantire il rispetto dei Diritti Umani”.

Occorrerebbe piuttosto cooperare per l’apertura di canali umanitari, o perlomeno per far sì che i visti per motivi di lavoro presso la gran parte delle ambasciate europee presenti in Africa non siano praticamente inaccessibili.

La storia degli ultimi anni dimostra infatti che le politiche restrittive adottate dall’Europa non hanno arrestato i flussi migratori, ha semplicemente modificato modalità e rotte ed aumentato i rischi per chi le percorre.
Le morti sui valichi alpini dopo la chiusura delle frontiere tra Italia e Francia (come tra Italia e Austria); oppure quelle durante gli ultimi due inverni lungo la rotta balcanica.  Due tra le decine di esempi delle conseguenze delle scelte scellerate di cui l’Europa è stata ed è artefice, così come l’aumento sulle nostre coste dei cosiddetti “sbarchi fantasma”.
Per questo l’Italia e l’Europa devono essere ripensate non sulla base di slogan beceri e superficiali ma necessitano di essere riformate attraverso una parola chiave: opportunità.

Non è forse questo che spinge migliaia di persone ad affrontare un viaggio infernale con la speranza di trovare, al di là del mare, un altro luogo da chiamare casa?

Luca Carnevale

 

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