Quando ci informiamo sulla questione migratoria attraverso la narrazione che ci propone un certo tipo di dibattito pubblico, possiamo davvero ritenerci informati? O, forse, la narrazione tossica dei talk show e di certi titoli di giornali che evocano lo spauracchio dell’invasione, rischiano di farci perdere di vista le implicazioni e gli effetti reali del fenomeno? È la risposta che tenta di dare Marco Omizzolo, con il suo Essere migranti in Italia – Per una sociologia dell’accoglienza, edito da Meltemi.
Nella sua autobiografia, il filosofo italiano Norberto Bobbio diceva che “la cultura è aborrimento di ogni semplificazione”. E quale questione, nel dibattito politico di oggi, è maggiormente semplificata e banalizzata di quella sui migranti? Anche chi è animato dalle migliori intenzioni, rischia infatti di parlare di migrazioni con uno scenario e uno stereotipo preciso in testa. Quello dell’uomo che proviene da un Paese africano o arabo, di religione musulmana, non molto propenso a integrarsi. Spesso, poi, il dibattito sui flussi migratori, è costellato da parole come “problema” o “emergenza”, a cui gli sbraitanti ospiti dei talk show della sera cercano di trovare “una soluzione”.
Migranti in Italia: la paranoia dell’invasione
Il clandestino, come dice Marco Omizzolo nell’introduzione del suo Essere migranti in Italia, è “una minaccia sociale e identitaria”, il cui arrivo nel nostro Paese viene interpretato solamente con la chiave di lettura della sicurezza. La migrazione diventa dunque un fenomeno in sé e per sé pericoloso. Anche l’Istituto Cattaneo, secondo quanto si riporta già nell’introduzione di Maurizio Ambrosini, ha mostrato come i cittadini dell’Unione Europea non sappiano andare oltre questa lettura, sovrastimando di molto i numeri, in preda a una sorta di paranoia dell’invasione. In Unione Europea, il 7,2% sono gli immigrati effettivamente residenti sul territorio a fronte della popolazione totale. I cittadini comunitari, invece, ritengono che siano il 16,7% del totale.
Migranti in Italia: ma quanti?
È il nostro Paese che, però, sembra essere quello meno in grado di leggere la realtà: gli intervistati italiani ritengono infatti che gli immigrati non-UE presenti sul territorio siano il 25% della popolazione. Uno su quattro. Il dato reale è molto inferiore, perché la percentuale si attesta sul 7 su 100. A dire la verità, poi, il fenomeno dei flussi migratori è sostanzialmente stazionario da cinque anni a questa parte. La cosa più sorprendente riguarda però la composizione della popolazione degli stranieri presenti in Italia: la maggior parte di questi sono europei o, meglio, europee, provenienti da nazioni con una radicata cultura cristiana. I musulmani, invece, sono meno del 30%.
Migranti in Italia: tra slogan e percezioni
Il lavoro di Omizzolo, sociologo, ricercatore Eurispes e presidente della cooperativa In Migrazione e di Tempi Moderni, porta con sè un messaggio chiaro e semplice: prima degli slogan, dei dibattiti e delle “soluzioni”, efficaci o traballanti che siano, bisogna partire dai dati. E il suo libro lo fa attraverso un puntualissimo ancoraggio alle ricerche più complete in ambito migratorio. Tra le più interessanti, viene riportato parte del Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza in Italia e in Europa, a cura di Demos e Unipolis, pubblicato nel 2019. Quest’ultimo traduce i numeri in un trend chiaro: l’atteggiamento degli italiani nei confronti delle migrazioni si è molto deteriorato. Il 46% dei nostri connazionali, infatti, si sente in pericolo: eppure, l’indagine coincide al momento in cui le politiche di respingimento e il calo degli sbarchi erano il fiore all’occhiello del ministro degli Interni Matteo Salvini.
Figli dei migranti in Italia: ius soli sì o no?
Gli italiani, sempre secondo il report, vedono nell’immigrazione essenzialmente tre cose: per il 22% rappresenta una questione politica, correlata a inefficienza e corruzione; per il 41% degli intervistati invece prevale la lettura economica del fenomeno; per l’11% l’immigrazione è soprattutto una minaccia, da affrontare in modo prioritario. Gli sbarchi, secondo il rapporto, trovano invece un atteggiamento duplice: il 49% degli intervistati invoca i respingimenti, mentre il 46% ritiene necessarie le politiche di accoglienza. Soprendentemente, il 72% del Paese sarebbe favorevole alla concessione della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia, oltre all’accesso ai benefici del welfare e al voto amministrativo a coloro che pagano le tasse e lavorano nel nostro Paese.
Non solo dati
Il lavoro di Omizzolo, per quanto puntuale, non riporta solamente uno sguardo ai dati che raccontano il fenomeno migratorio. Snocciolate le dovute premesse, dal secondo capitolo in avanti il libro si addentra in una descrizione dettagliata di quel che incontra il migrante che mette piede in Italia. Inizia quindi una disamina minuziosa fatta di confronti tra situazioni diverse, nel mare magnum di sigle e denominazioni che compongono la cornice dell’accoglienza in Italia: i CPSA e gli hotspot, i CAS, lo SPRAR. Quanti, anche tra noi che abbiamo spesso espresso la nostra irrinunciabile opinione sul fenomeno migratorio, saprebbero descrivere le differenze? Quanti sarebbero in grado di valutarne, alla luce delle singole criticità, l’effettivo funzionamento? Il lavoro di Essere migranti in Italia ne dà conto, con un linguaggio semplice ed efficace, accessibile anche a quanti non hanno mai masticato questi argomenti.
Complessità sommate
Non si ferma qui, però. A una situazione già di per sè complessa da descrivere dal punto di vista organizzativo, infatti, aggiunge benzina al fuoco. Omizzolo infatti non trascura di citare le criticità della longa manus mafiosa, che, ironia della sorte, nella questione migratoria non vede un problema, ma un’opportunità di business.
“Approfittando dell’emergenza sbarchi la criminalità organizzata ha cercato di inserirsi nel sistema dell’accoglienza dei migranti. Ci sono soggetti grossi, multinazionali legate a faccendieri locali che non ci piacciono, che disponendo di
molto denaro si sono proposte dietro facce pulite, ma noi leabbiamo individuate e respinte”.Leopoldo Falco, Prefetto di Trapani, da un’intervista a RaiNews24 rilasciata nel giugno 2014
E poi ancora approfondimenti sui tanto vituperati 35 euro al giorno ai migranti, sui costi e sulla dotazione minima dei centri, sulla distribuzione delle strutture sul territorio e, non da ultimo, sulla questione Libia. Il lavoro di Omizzolo alterna tabelle a dati, statistiche a riflessioni sociologiche, per uno sguardo a 360 gradi sul fenomeno migratorio, sulla capacità delle nostre istituzione di darvi risposte e sugli effetti che certe scelte di pancia hanno prodotto. Se, da una parte, il libro porta gli esempi virtuosi di comunità ed enti che armate di buona volontà, hanno saputo ribaltare le logiche di segregazione, aspra è invece è l’analisi che Omizzolo traccia facendo un bilancio del decreto sicurezza adottato nel 2018, con dati che spiegano come questa riforma abbia disarticolato un sistema ventennale che, pur con i suoi punti deboli, aveva trovato una sua efficacia.
Un approccio diverso
Il libro, pubblicato nel 2019, si conclude con una riflessione interessante, che va al di là dei decreti sicurezza, dei governi e degli slogan di partito. Omizzolo ritiene necessario ripensare il sistema dell’accoglienza alla luce di un paradigma che sia il più lontano possibile da quello della segregazione, in cui spesso le nostre paure si rifugiano. La visione di un’accoglienza integrata e diffusa, al momento, risulta ancora zoppicante, perché nei servizi territoriali faticano a sgretolarsi le barriere linguistiche. Resistono queste ultime, rafforzate anche dagli “ostacoli invisibili” dell’intolleranza e del pregiudizio.
Modelli che funzionano
Che fare dunque? La risposta sta proprio negli esempi virtuosi che Omizzolo porta a sostegno della sua tesi: i territori che hanno investito su un modello di integrazione diffusa, che non lascino il migrante vulnerabile e esposto perché minaccia, stanno ottenendo buoni risultati dal punto di vista della coesione sociale. Non ne guadagnerebbe, dunque, solamente chi arriva, ma ne beneficerebbe soprattutto chi c’è già.
Elisa Ghidini