Secondo un nuovo report di Amnesty International, l’Arabia Saudita starebbe rimpatriando forzatamente migliaia di migranti etiopi, sottoposti a torture e condizioni disumane
Secondo le stime, in Arabia Saudita sono presenti circa 10 milioni di migranti provenienti da Asia e Africa.
Nel marzo 2022, le autorità etiopi hanno annunciato l’intenzione di rimpatriare oltre 100.000 migranti detenuti in Arabia Saudita entro la fine dell’anno.
Ad agosto, le autorità hanno rimpatriato almeno 71.000 persone.
Per questo motivo, tra maggio e giugno 2022, Amnesty International ha indagato sulle condizioni di migliaia di detenuti.
In particolare, hanno osservato i centri di detenzione di Al-Kharj e Al-Shumaisi, documentandone le condizioni disumane.
Hanno parlato con 11 migranti etiopi, con un familiare di un ex detenuto, con operatori umanitari e con giornalisti concentrati su questo tema.
Heba Morayef, direttore regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord, ha descritto la situazione osservata.
Dal 2017, l’Arabia Saudita ha detenuto arbitrariamente e rimpatriato con la forza centinaia di migliaia di migranti etiopi in condizioni così abusive e disumane che molti hanno sviluppato gravi condizioni fisiche e mentali a lungo termine. Ora, più di 30.000 cittadini etiopi sono detenuti in quelle stesse condizioni e rischiano di subire la stessa sorte. Solo perché una persona non ha documenti legali non significa che debba essere privata dei suoi diritti umani
Secondo il sistema “kafala“, i lavoratori migranti possono ottenere il permesso di lavoro o la residenza solo attraverso un datore di lavoro e possono rescindere il contratto o cambiare datore di lavoro solo a certe condizioni.
Coloro che perdono la residenza, perché lasciano il lavoro senza il consenso del datore o perché prolungano il loro contratto, e coloro che non sono in grado di trovare un impiego, sono a rischio di detenzione arbitraria e rimpatrio forzato.
Per questo motivo, almeno 30.000 migranti etiopi, in mancanza di una residenza legale, sono detenuti in centri sovraffollati dell’Arabia Saudita e rischiano il rimpatrio forzato.
Arresti arbitrari e rimpatri forzati
Amnesty International ha documentato 17 casi di arresti arbitrari verso i migranti etiopi.
La polizia mi ha chiesto: Sei indiano o etiope? Quando ho detto che sono etiope, mi hanno ammanettato e portato in un’auto della polizia.
Mi hanno preso anche il telefono e i soldi.
Siamo rimasti in macchina per circa due ore perché stavano cercando altre persone. Alla fine hanno preso tre persone, tutte etiopi
Dopo l’arresto, i detenuti rimangono in custodia per settimane prima di essere trasferiti verso un centro di detenzione.
Inoltre, hanno raccontato che, al momento dell’arresto, le guardie gli hanno consentito di portare sè al massimo un capo di abbigliamento. Non gli è stato concesso un avvocato, e non hanno ricevuto informazioni sulle accuse.
Tra i detenuti, sono presenti anche donne incinta e bambini di pochi mesi.
Questo, nonostante la detenzione di bambini legata alla migrazione sia vietata dal diritto internazionale, ai sensi della Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC).
Dopo alcune settimane o mesi dall’arresto, l’ambasciata etiope contatta i detenuti fornendogli un form da compilare per il rimpatrio. Senza, però, fornire informazioni sul processo.
In condizioni di questo tipo, il rimpatrio si dice forzato in quanto l’ambiente coercitivo rende impossibile prendere una decisione volontaria, ai sensi del principio del consenso libero e informato.
Inoltre, le autorità saudite non sono in grado di valutare le potenziali esigenze di sicurezza e protezione dei migranti. Di conseguenza, con il rimpatrio, questi potrebbero essere sottoposti ad abusi e persecuzioni, in violazione del principio di non respingimento.
Sovraffollamento e mancanza di cure mediche
Alcuni detenuti intervistati da Amnesty International hanno parlato di un ambiente sovraffollato, insalubre e disumano.
Bilal, ex detenuto che ha trascorso 11 mesi nel centro di Al-Shumaisi per 11 mesi, ha raccontato di aver condiviso una stanza con 200 persone, ma dotata di soli 64 letti.
Perciò, i detenuti facevano a turni per dormire sul pavimento.
Nella mia stanza c’erano 200 persone quando erano disponibili solo 64 letti. Non ci sono abbastanza materassi e lenzuola.
Molti di noi hanno dormito su letti di metallo senza materassi. Gli altri dormivano per terra… È come se non fossimo umani
In altri casi, sono stati costretti a dormire dentro sacchi della spazzatura.
Non ci era permesso avere coperte o cuscini. L’unica cosa che avevamo in quel periodo erano i sacchi della spazzatura.
Abbiamo preso i sacchi per 10 SAR (2,66 dollari USA). Li abbiamo usati come lenzuola e come stuoie per dormire.
Il cibo giornaliero, così come l’acqua potabile, sono insufficienti. Ogni detenuto riceve mezzo litro di acqua al giorno, nonostante le temperature elevate dell’Arabia.
Un altro problema riscontrato è quello delle malattie.
I migranti hanno parlato di diffusioni di pidocchi e malattie della pelle, tanto da rendere necessario l’utilizzo di sacchetti della spazzatura come coperte, o persino la bruciatura dei capelli dal cuoio capelluto.
Due operatori sanitari hanno riferito di un numero significativo di casi di malattie respiratorie e infettive come la tubercolosi.
Un ex detenuto ha raccontato, per esempio, di aver condiviso la stanza con un uomo che vomitava sangue, ma al quale sarebbe stato consegnato del semplice paracetamolo.
Nel tentativo di ottenere una visita medica, tre detenuti hanno raccontato di aver dovuto battere ripetutamente sulla porta della cella o boicottare i pasti.
Una volta dal medico, tuttavia, questo avrebbe fornito loro solo un antidolorifico.
Non potendo verificare il legame tra la mancanza di cure mediche adeguate e le morti, Amnesty International ha chiesto alle autorità saudite di indagare, in particolare, su dieci decessi avvenuti tra l’aprile 2021 e il maggio 2022.
Torture e percosse: le testimonianze dei migranti etiopi in Arabia Saudita
Altri ex detenuti hanno denunciato torture all’interno dei centri, mediante l’utilizzo di bastoni di metallo e cavi, schiaffi in faccia, pugni, e l’obbligo di stare all’aperto in condizioni di caldo estremo su strade asfaltate fino a bruciarsi.
Il motivo delle torture sarebbe l’utilizzo di telefoni di contrabbando per condividere foto e video delle condizioni di detenzione. Ma anche l’aver protestato contro le misure di detenzione.
Uno dei detenuti ha raccontato di essere stato torturato dopo aver boicottato i pasti per convincere le guardie a portare i suoi compagni di cella da un medico.
Ci siamo rifiutati di mangiare cibo per 24 ore. Abbiamo detto loro [alle guardie] che se i nostri fratelli qui stanno morendo, moriremo insieme. Lo facevamo ogni volta che uno di noi era malato.
Le guardie carcerarie hanno detto che “non ci interessa se morirete o meno”, e hanno preso a pugni 10 persone che, a loro dire, guidavano il boicottaggio
In un altro caso, un detenuto ha raccontato di essere stato torturato due volte per aver postato un video sui social media e per aver litigato con dei compagni.
Le guardie carcerarie mi hanno costretto a stare in piedi sulla strada asfaltata, che era rovente, e mi hanno preso a calci con un bastone. Mi hanno anche preso a calci con i piedi. La tortura è durata circa un’ora.
La seconda volta ci hanno portato sulla strada asfaltata, ci ha fatto togliere le scarpe, camminare e poi sdraiarsi per circa tre ore…
Il giorno dopo non riuscivo a camminare e non mi è stato dato altro che il paracetamolo
Secondo una testimonianza, un detenuto sarebbe morto in seguito alle percosse.
Aveva dolore alle costole e non è stato portato in ospedale. Abbiamo pregato le guardie carcerarie di prendere il suo corpo dopo la sua morte, ma ci hanno impedito di continuare a bussare ai cancelli.
Hanno portato via il suo corpo due giorni dopo
Anche in questi casi, Amnesty International ha richiesto alle autorità di indagare sui casi di tortura e di decesso.
“L’Arabia Saudita rispetti i diritti umani”: l’appello alla comunità internazionale
L’organizzazione ha lanciato, infine, un appello perché l’Arabia Saudita rispetti gli obblighi internazionali e perché l’ONU monitori il rispetto dei diritti umani nel Paese.
L’Arabia Saudita è uno dei Paesi più ricchi del mondo, eppure ammassa i migranti in sporchi centri di detenzione e si rifiuta di fornire loro cure mediche, cibo e acqua adeguati. I continui abusi, che in alcuni casi hanno portato alla morte dei migranti, segnalano la mancanza di volontà delle autorità saudite di migliorare il trattamento dei lavoratori migranti.
Le autorità devono indagare con urgenza sulle morti e sulle torture subite dai migranti detenuti. Meglio ancora, dovrebbero smettere di trattenerli
Anche Abdul, un ex detenuto di 34 anni, ha voluto lanciare un appello al mondo perché riconosca le condizioni dei migranti nei centri di detenzione sauditi.
Voglio che il mondo sappia questo: in Arabia Saudita, queste persone in prigione non hanno infranto la legge. Allora perché si rifiutano di fornire cibo? Perché li picchiano? Perché non li portano in un centro medico?
Questo dovrebbe finire
Giulia Calvani