Migranti deportati in Albania tornano di nuovo in Italia per la seconda volta

Migranti deportati in Albania tornano di nuovo in Italia

Per la seconda volta in poche settimane, i migranti deportati in Albania fanno ritorno in Italia, dopo che il tribunale civile di Roma ha sospeso la convalida del loro trattenimento. La decisione, che segue un simile provvedimento emesso a ottobre, arriva in attesa della pronuncia della Corte di giustizia europea sulla legittimità dell’elenco italiano dei “Paesi sicuri.”


Rientro in Italia per sette migranti: i limiti della deportazione in Albania

Per la seconda volta in poche settimane, un gruppo di migranti deportati in Albania sta facendo ritorno in Italia. Il tribunale civile di Roma ha sospeso la convalida del trattenimento di sette persone che erano state trasferite nel centro albanese di Gjader. Questo provvedimento, giunto dopo il respingimento della convalida del trattenimento dei primi dodici migranti a ottobre, si inserisce nel contesto delle problematiche legate alla gestione delle politiche migratorie tra Italia e Albania, e riflette la crescente attenzione della magistratura verso il rispetto delle normative europee sui Paesi sicuri.

Le persone coinvolte in questa seconda sospensione – due migranti provenienti dall’Egitto e cinque dal Bangladesh – erano arrivate in Albania venerdì scorso a bordo della nave Libra. Tuttavia, con il mancato accoglimento della convalida del trattenimento, trascorse le 48 ore previste dalla legge, i migranti verranno riportati in Italia.

La Corte di giustizia europea chiamata a valutare l’elenco dei Paesi sicuri

Il tribunale civile di Roma ha bloccato i trattenimenti per una ragione ben precisa: in attesa della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che deve esprimersi su alcuni aspetti della normativa italiana. Al centro del dibattito vi è la legittimità della lista dei Paesi di origine sicuri stabilita dal governo, che include l’Albania tra le destinazioni idonee al rimpatrio e alla detenzione temporanea dei migranti. La decisione finale della CGUE, attesa nei prossimi mesi, risponde a quesiti sollevati dai tribunali italiani, i quali stanno analizzando se l’Albania risponda ai criteri di sicurezza territoriale e generale richiesti dal diritto comunitario.

Secondo le norme europee, un Paese può essere designato come “sicuro” per i migranti solo se la sicurezza è assicurata su tutto il territorio e per tutte le categorie di persone. Ma la Corte di giustizia europea ha recentemente stabilito che la sicurezza di un Paese non può essere valutata solo in termini generali, bensì deve garantire protezione su tutta la superficie territoriale, un parametro che l’Albania, per alcune categorie di migranti, non sembra rispettare completamente.

Il governo italiano e la blindatura dell’elenco dei Paesi sicuri

Per consolidare la posizione dell’Albania nell’elenco dei Paesi sicuri, il governo ha recentemente modificato le modalità di approvazione dell’elenco stesso. Mentre in passato era il risultato di un decreto interministeriale, ora il governo ha varato un decreto legge per proteggere questa lista e rendere più difficile l’impugnazione da parte dei tribunali. Tuttavia, la magistratura italiana ha mostrato una crescente autonomia nelle decisioni in materia, spesso richiamandosi alla supremazia del diritto comunitario, come garantito dalla Costituzione.

L’effetto sulle procedure di rimpatrio e il ruolo della magistratura

L’Italia, affrontando un crescente flusso di migranti e richiedenti asilo, ha cercato di adottare misure più rapide, trasferendo temporaneamente alcuni migranti in Albania con procedure semplificate. L’obiettivo di queste deportazioni temporanee è alleggerire la pressione sui centri italiani, introducendo una strategia che si avvale del principio del Paese di origine sicuro. Tuttavia, le recenti sospensioni dei trattenimenti indicano che questa strategia potrebbe non essere in linea con i principi europei, e la questione è diventata oggetto di una disputa giuridica.

L’orientamento della magistratura, come illustrato dalla sezione immigrazione del tribunale di Roma, sottolinea che le norme europee devono prevalere qualora siano incompatibili con la legislazione italiana, e che il concetto di “Paese sicuro” deve essere applicato in modo rigoroso e uniforme. Luciana Sangiovanni, presidente della sezione immigrazione del tribunale, ha affermato che i giudici italiani hanno il dovere di verificare la corretta applicazione del diritto dell’Unione, richiamando anche il principio di tutela dei diritti fondamentali.

Le conseguenze di queste decisioni sulle politiche migratorie italiane

Il rientro in Italia di questi migranti mette in luce la complessità dell’accordo bilaterale tra Italia e Albania. Anche se concepito per fornire una soluzione temporanea all’emergenza migratoria, questo piano si sta rivelando poco efficace. Le difficoltà legali e le contestazioni da parte dei tribunali potrebbero spingere l’Italia a rivedere la propria strategia, in particolare se la Corte di giustizia europea dovesse emettere un verdetto che limita l’applicazione del concetto di “Paese sicuro”.

Questa vicenda ha generato un’accesa discussione sul diritto di espulsione e sulla possibilità di applicare procedure accelerate per le persone provenienti da Paesi ritenuti sicuri. La questione è particolarmente critica per il governo Meloni, che ha messo in campo politiche più restrittive in tema di immigrazione e punta a gestire i flussi migratori con misure rapide ed efficaci.

Prospettive future: un modello migratorio europeo?

Le divergenze europee sulla gestione dei flussi migratori trovano ulteriore conferma in questa vicenda. L’Italia, come altri Paesi di confine dell’Unione Europea, si trova spesso a prendere decisioni in tempi stretti, cercando di gestire gli arrivi e di alleggerire la pressione sulle proprie risorse. Tuttavia, la tutela dei diritti umani fondamentali e il rispetto delle norme comunitarie pongono dei limiti alle misure temporanee, come le deportazioni in Paesi terzi, che non rappresentano una soluzione sostenibile e rispettosa della libertà di movimento.

Un’alternativa più giusta e lungimirante potrebbe essere la creazione di un sistema migratorio realmente europeo, con un piano di accoglienza e integrazione condiviso, in cui tutti gli Stati membri partecipino equamente alla distribuzione dei migranti. Una gestione centralizzata e solidale, con risorse comuni e procedure standard, sarebbe un primo passo verso un’Europa che rispetti la dignità e le aspirazioni di ogni persona. Sebbene questo richieda una maggiore collaborazione e integrazione tra i Paesi membri, il dibattito si sta lentamente spostando verso questa direzione, alimentando la speranza di un futuro europeo più inclusivo e rispettoso dei diritti di tutti.

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