Nel 2017 in Grecia sono arrivate 29.634 persone, principalmente dalla Siria (42%), dall’Iraq (19%) e dall’Afghanistan (11%) e l’83% degli arrivi riguardano tre isole: Lesbo, Chio e Samos. Specularmente rispetto ai dati globali secondo cui donne e bambini arrivano a costituire fino a metà della popolazione di rifugiati a livello mondiale, il 22% degli arrivi registrati sono donne e il 37% bambini. Fino a inizio Ottobre si contavano almeno 60mila fra rifugiati e migranti bloccati in Grecia in condizioni disperate a causa del limbo di incertezza e abbandono in cui sono costretti a vivere.
Sia nel 2016 che nel 2017, circa il 10% delle persone hanno intrapreso la cosiddetta “migrazione secondaria”: dopo aver trascorso in media un anno in un paese diverso da quello di origine, si sono avventurate verso l’Europa -e la Germania in particolare- nella speranza di avere migliori chance di vita. La sola differenza è che nel 2017 sono aumentate le partenze da Grecia, Turchia e Iran mentre sono diminuite quelle provenienti dalla Siria e la rotta che passa attraverso il Libano è stata quasi del tutto dismessa.
In termini di traffico di esseri umani, dalle 4771 interviste realizzate fra la metà di Febbraio e la fine di Agosto 2017 sono emersi dati allarmanti in riferimento ai 4 indicatori considerati: detenzione contro la propria volontà (più frequente fra le donne e i bambini); svolgimento di mansioni lavorative non pagate; lavoro forzato e proposte di matrimonio combinato. In alcuni casi gli intervistati -principalmente nigeriani, camerunensi e somali- hanno anche denunciato che è stato loro chiesto di donare sangue, organi o altre parti del corpo. Dal campione preso in considerazione l’età media sembra essere intorno ai 26 anni, il sesso femminile mentre i bambini sono i soggetti che più spesso viaggiano soli, toccando un apice del 55%.
Un simile contesto ha conseguenze devastanti sulla salute mentale delle persone che, dopo aver affrontato esperienze traumatiche nel proprio paese d’origine e durante il viaggio verso la salvezza, vedono tutti i propri sogni e le proprie speranze infrangersi contro il muro della burocrazia e nel silenzio dell’indifferenza. Hanno viaggiato conservando nel cuore la certezza che Europa facesse rima con rispetto per i diritti umani, dignità, riscatto, sicurezza e pace. Hanno sopportato ogni ostacolo, umiliazione e privazione solo per poi trovarsi bloccati nell’anticamera della salvezza: ad un passo dalla loro terra promessa, sono costretti a subire limitazioni della propria libertà di movimento e ad accettare di dover procrastinare all’infinito l’inizio della tanto attesa nuova vita. Le persone vengono abbandonate a se stesse senza alcun punto di riferimento, senza un percorso di sostegno o un aiuto qualunque. Sulle isole greche, poi, la condizione è anche peggiore perché i servizi psichiatrici mancano quasi del tutto e la libertà di movimento è estremamente limitata così come la possibilità di accedere all’assistenza sanitaria e ai servizi sociali. La sensazione più diffusa per chi vive qui è quella di vivere come ostaggi o prigionieri.
Inoltre, nonostante la notevole diminuzione degli attraversamenti di quel tratto di mare, che hanno fatto passare l’accordo UE-Turchia per un successo, alla spicciolata le persone hanno continuato ad arrivare e solo nel mese di Agosto 2017 se ne sono contate 3700, mentre nella prima metà di Settembre si è mantenuta una media settimanale di circa 400 persone. Fra le cause, oltre al bel tempo, si è pensato anche alla liberazione di alcune aree controllate dall’ISIS in Siria e Iraq che consentirebbe adesso alle persone di transitare dalla Turchia per poi intraprendere direttamente il viaggio verso la Grecia. Anche la composizione dei flussi è mutata con un netto aumento di donne e bambini che vorrebbero ricongiungersi con altri familiari che li hanno preceduti e ora vivono in altri paesi europei. Purtroppo però sia le procedure per il ricongiungimento familiare che gli schemi di relocation infraeuropea si dimostrano lenti ed inefficaci a far fronte alle attuali esigenze delle persone le cui vite rimangono sospese, perennemente in attesa.
La drammatica situazione di chi è bloccato in Grecia è la perfetta metafora di un sistema che in ogni paese dell’Unione Europea, al di là delle differenze, si rivela lacunoso e inadeguato a tutelare i diritti dei migranti che sempre più spesso ricorrono al suicidio come estremo atto di disperazione o alla prostituzione per racimolare il denaro necessario ad arrivare nel cuore dell’Europa.
Ed è proprio col loro dolore e con la nostra inadeguatezza che fatichiamo a fare i conti.