La quantità di microplastiche sui fondali marini è triplicata in soli due decenni

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Microplastiche sui fondali marini

Le microplastiche, invisibili a occhio nudo, permeano l’ambiente dalla cima delle montagne al fondo dei mari

Solo sui fondali marini la quantità di microplastiche è triplicata negli ultimi due decenni, spiega un team di ricercatori dell’Istituto di Scienze e Tecnologie Ambientali dell’Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB) e del Dipartimento di Ambiente Costruito dell’Università di Aalborg.

Gli scienziati hanno scoperto questo dato preoccupante esaminando l’inquinamento da microplastiche nei sedimenti ottenuti nella parte nord-occidentale del Mar Mediterraneo. L’aumento di tre volte riscontrato, va di pari passo con la crescita della produzione globale di plastica dal 1965 al 2016.

Nello specifico, i risultati mostrano che dal 2000 la quantità di particelle di plastica depositate sul fondale marino è triplicata e che, lungi dal diminuire, l’accumulo non ha smesso di crescere imitando la produzione e l’uso globale di questi materiali.

Ne sentiamo parlare da anni, ma cosa sono queste microplastiche e da dove vengono?

Esistono due categorie di microplastica: la primaria è il risultato diretto dell’uso umano di queste sostanze. La secondaria è prodotta dalla frammentazione di rifiuti plastici più grandi.

Provengono da diverse fonti: prodotti cosmetici, vanno a costituire fino al 90% del peso totale del prodotto, come nel caso degli esfolianti per la pelle, ma anche prodotti per l’igiene personale e per la casa.

In agricoltura: i teli che vengono usati per pacciamare si disintegrano nel suolo quando alla fine del ciclo di coltura non vengono raccolti e smaltiti.

Sono presenti anche nei materiali edili o come scarti industriali. L’usura di pneumatici produce microplastiche.

Il fondale marino è il luogo di riposo finale delle microplastiche, che prima galleggiano sulla superficie del mare, e poi filtrano verso il fondo nel tempo per accumularsi nei sedimenti. Ricerche precedenti hanno rilevato che ben 14 milioni di tonnellate di microplastiche si depositano sul fondo marino.




Gli impatti ambientali di questo inarrestabile inquinamento devono ancora essere pienamente compresi. Anche se è ormai assodato che le microplastiche hanno contaminato le nostre scorte di cibo e acqua.

A partire dagli anni ’80, ma soprattutto negli ultimi due decenni, è aumentato l’accumulo di particelle di polietilene e polipropilene provenienti da imballaggi, bottiglie e pellicole alimentari, nonché di poliestere proveniente dalle fibre sintetiche dei tessuti per l’abbigliamento.

La quantità di questi tre tipi di particelle raggiunge complessivamente 1,5 mg per chilogrammo nei campioni di sedimenti marini raccolti, con il polipropilene più abbondante, seguito da polietilene e poliestere, dicono gli esperti.

Nonostante le campagne di sensibilizzazione sulla necessità di ridurre la plastica monouso, i dati delle registrazioni annuali dei sedimenti marini mostrano che siamo ancora lontani dal raggiungere questo obiettivo. Politiche a livello globale in questo senso potrebbero contribuire a migliorare questo grave problema.

È importante notare che, una volta intrappolate nei fondali marini, le microplastiche non si degradano più.

Il processo di frammentazione avviene principalmente nei sedimenti delle spiagge, sulla superficie del mare o nella colonna d’acqua. Una volta depositata, la degradazione è minima, quindi la plastica degli anni ’60 rimane sul fondale marino, lasciandovi la firma dell’inquinamento umano.

Nel 2022, il 77% del sangue delle persone testate dai ricercatori dell’Università Vrije di Amsterdam, è risultato contenere microplastiche poiché esse possono viaggiare nel corpo e depositarsi negli organi.

L’umanità del terzo millennio sarà di plastica o troveremo il cuore di reagire a tutto questo?

David Angelelli

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