Magistrato del Consiglio di Stato ed ex capo di gabinetto di diversi ministeri, Michele Corradino dal 2014 è commissario dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). Già autore per Chiarelettere di un tragicamente spassoso volume sulla corruzione endemica, ne L’Italia immobile (2020) Corradino illumina il pantano degli appalti pubblici nostrani. Un libro di difficile lettura, non solo per i fitti riferimenti giuridici ma anche per il travaso di bile che provocano i resoconti che contiene. Vicende di ottusità legislativa e incompetenza burocratica che non conosciamo eppure che ci riguardano, perché rallentano lavori e peggiorano forniture di beni e servizi di interesse collettivo. Un libro irrinunciabile, dunque, proprio per capire le ragioni di tante lungaggini e disservizi dannosi per la collettività e la crescita economica. E per provare a esigere con consapevolezza un già tardivo cambiamento dalla politica e dalle amministrazioni.
Il funzionamento degli appalti pubblici, spiega Michele Corradino nel suo ultimo libro, può sembrare materia da addetti ai lavori. Ignorandolo, però, ai cittadini sfuggono dinamiche che incidono fortemente sulla qualità delle loro vite. Per questo, scrive il magistrato, questo testo vuole essere uno strumento
per i contribuenti, che hanno il diritto di sapere come vengono spesi i loro soldi. Quanto potrebbero essere meglio utilizzati per ottenere sviluppo, occupazione e servizi pubblici più efficienti. Solo così potranno porre ai politici e agli amministratori le domande giuste e giudicarne l’operato.
Del resto, tutti conosciamo le difficoltà del servizio pubblico in Italia. L’emergenza covid-19, ad esempio, ha reso evidente ancora una volta come le forniture mediche siano spesso inadeguate. Non solo: è frequente che manchino i servizi fondamentali alla cittadinanza, come nel caso delle ripetute emergenze rifiuti a Roma. Per non parlare dei lavori e dei cantieri mai terminati, anzi, talvolta neppure iniziati.
«Dalle criticità degli appalti» riflette l’autore «si possono comprendere le ragioni del mancato funzionamento della burocrazia italiana. I punti di crisi dei contratti pubblici sono il riflesso dei vizi e dell’inefficienza del sistema amministrativo del nostro paese».
Vizi e inefficienza che, secondo Michele Corradino, discendono anzitutto da una cattiva legislazione. Questa, priva di una precisa e lungimirante strategia complessiva, ha oscillato tra l’imposizione di regole più severe e la deregolamentazione, obbedendo soprattutto a interessi politici. Così, susseguendosi, codici e decreti hanno costituito una selva di rimandi giuridici inestricabile per il riferimento a norme abrogate o semplicemente criptiche. Nessun governo si è assunto l’onerosa responsabilità di scegliere una direzione o l’altra, mettendo finalmente ordine nel caos di fonti in contraddizione. Di conseguenza, il Paese languisce anche perché, nell’incertezza su quale sia la condotta adeguata in materia di appalti, le amministrazioni spesso preferiscono tergiversare. E, mentre gli amministratori onesti esitano ad agire per timore di essere portati a processo, i disonesti trovano sempre più facilmente scappatoie per esercitare malversazioni.
Del resto, purtroppo non è solo l’incertezza nell’interpretazione delle norme e sulla corretta condotta in materia di appalti a paralizzare le amministrazioni.
Infatti, ormai da anni a lavorare per le pubbliche amministrazioni sono in maggioranza giuristi ed esperti dell’oscura selva normativa. Tuttavia, per rispondere adeguatamente alle esigenze della collettività occorrono anche tecnici. Figure, cioè, in grado di interpretare i bisogni dei cittadini non soltanto come una voce di spesa. La necessità di forniture, servizi e opere pubbliche potrebbe costituire una straordinaria occasione non soltanto economica, bensì di innovazione e sviluppo tecnologico. Purtroppo ad oggi, constata Michele Corradino, mancano nelle amministrazioni le competenze per poter dialogare col mercato in questo senso e influenzarne virtuosamente l’andamento. Così l’assegnazione di pubblici appalti si riduce sempre più spesso al gioco al ribasso di cui tutti quanti finiamo per fare le spese.
Dunque, che fare per aiutare quest’Italia apparentemente immobile a ripartire facendo dei pubblici appalti un motore di crescita?
Per prima cosa, argomenta Michele Corradino, oltre a rimettere in ordine la normativa sulla base di un disegno coerente, occorre rendere più efficienti le amministrazioni. Una trasformazione che, necessariamente, passa attraverso una riqualificazione del personale così come attraverso la creazione e l’utilizzo di banche dati aggiornate sui bisogni dei cittadini. In secondo luogo, bisognerebbe che alle autorità garanti del corretto svolgimento degli appalti pubblici fosse concesso un effettivo potere d’intervento là dove siano riscontrate irregolarità. Perché l’ANAC, ammette il magistrato con amarezza, ad oggi è una «tigre di carta» che può soltanto certificare e notificare un illecito, segnalandolo alle amministrazioni. Si tratta di far presente una scorrettezza procedurale e invitare le amministrazioni a correggerla, senza poter però intervenire qualora il vizio permanga. Di conseguenza, l’intervento pedagogico dell’autorità finisce per gettare nel panico i funzionari corretti e suscitare una scrollata di spalle negli altri.
Il cambiamento più importante che Michele Corradino auspica nel nostro Paese, tuttavia, è culturale, civile, morale. E riguarda tutti i cittadini.
Infatti, spiega il magistrato,
I cittadini devono stare in prima linea, sentendo gli appalti come qualcosa di proprio. Come uno degli strumenti che può cambiare direttamente la loro vita. Non si tratta solo di prevenire la corruzione, ma soprattutto di assicurarsi che il denaro versato in tasse sia speso nel modo migliore. Cioè per dare occupazione e sviluppo ai propri figli e benessere e servizi migliori alla comunità. È questo il controllo sociale diffuso che le organizzazioni internazionali chiedono ai cittadini, ai giornalisti e alle associazioni civiche.
Perché in Italia possa concludersi il circolo vizioso di gattopardesca memoria, quello per cui «bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga uguale», il modo c’è. Occorre che ogni cittadino comprenda che il diritto a servizi efficienti e di qualità va preservato esercitando la cittadinanza attiva. Ossia vigilando sull’operato delle amministrazioni, tenendosi informati per poter chiedere conto consapevolmente di ciò che lede l’interesse collettivo.
Valeria Meazza