All’età di 7 anni, a Michael Phelps fu diagnosticato un Disturbo da Deficit di Attenzione. <<Non sei capace>>, dicevano. Oggi è il nuotatore più famoso al mondo.
Prima della nostra nascita, se ci fosse stato detto che tutto sarebbe stato facile, probabilmente avremmo deciso di non nascere più. “Non ne vale la pena”, avremmo pensato. E spesso ci saremmo anche detti che tutto quello che avremmo fatto in vita per cercare di essere felici non sarebbe servito a nulla. E’ così strano che la nostra esistenza si fondi su quello che gli altri pensino di noi e su come reagiscano ai nostri comportamenti. Eppure, la storia di Michael Phelps, oggi uno dei nuotatori più famosi al mondo, ne è la prova schiacciante: quello che saremo è una conseguenza di come gli altri ci vedono oggi. E noi, dunque, ne siamo solo gli artefici.
GLI INIZI E LA DIAGNOSI
Micheal Phelps nasce a Baltimora il 30 giugno 1985 e vive solamente assieme alla madre Debbie e alle sue due sorelle maggiori. All’età di soli cinque anni, la maestra d’asilo convoca d’urgenza la mamma di Michael per avvisarla di ciò che lei già da tempo credeva.
<<Michael ha dei problemi>>, le dice.
<<Quali problemi?>>, risponde Debbie.
Così le racconta che il bambino non riesce mai a stare seduto, che non è mai tranquillo, che non riesce a comprendere quello che gli viene spiegato.
Il tempo passa inesorabile e per Michael arriva la tappa delle elementari. Tutte le insegnanti si lamentano spesso. <<Suo figlio non è capace>>, dicono a Debbie. E ancora, <<non ha intelligenza>>.
Sua madre decide così di fargli dei controlli e ben presto, all’età di 7 anni, gli viene diagnosticato un ADHD (Disturbo da deficit di attenzione/iperattività). Tutti attorno a lei continuano ad affermare che, con Michael, la partita è persa in partenza e che non riuscirà mai a raggiungere un livello intellettivo idoneo per un bambino della sua età.
Ma Debbie no. Debbie non si dà per vinta.
Essendo anche insegnante e preside di una scuola media, inizia a studiare approfonditamente i disturbi di suo figlio e ai commenti delle maestre lei risponde sempre allo stesso modo:
“Mio figlio può. Mio figlio ce la farà”.
<<Sapevo che, se avessi lavorato duro con Michael, lui avrebbe potuto raggiungere tutti gli obiettivi che si fosse prefissato>>, ha dichiarato Debbie in un’intervista.
Così studia giorno e notte, e inizia ad affiancare gli insegnanti di Michael trovando sempre la soluzione ad ogni sua lacuna.
IL NUOTO
Per migliorare la condizione del figlio, un giorno decide di iscriverlo in piscina. Il nuoto aiuta molto i bambini con questi disturbi, aveva letto su dei libri. Così lo accompagna in prima persona: Michael è inizialmente terrorizzato dall’acqua, e non ci vuole entrare.
Poi si convince e da allora cambia tutto.
All’età di 11 anni riesce già a nuotare in un modo unico e veloce, e diventa il migliore dei suoi coetanei. Grazie al nuoto, migliora anche a scuola e nei suoi comportamenti, e l’acqua gli regala tranquillità e pace.
In prima media, Michael dice che non vuole più prendere i farmaci per l’attenzione e Debbie glielo permette. E’ stata una decisione di cui non si è pentita, e che l’ha aiutata a comprendere che la settimana di Michael, fatta di allenamenti e lezioni, era sempre ben organizzata nonostante l’assenza dei farmaci.
E’ il maggio del 1996 e Debbie viene convocata dall’allenatore Bob Bowman. <<Nel 2004 suo figlio vincerà delle medaglie olimpiche>>, le dice.
Ma aveva torto.
Il 30 marzo 2001 Michael Phelps diventa il più giovane nuotatore a battere un record sui 200 metri farfalla. Ai mondiali di Fukuoka, in Giappone, batte in finale il campione olimpico Tom Malchow e a soli 16 anni vince la sua prima medaglia d’oro, confermandosi anche ai Campionati di Yokohama del 2002 e ai mondiali di Barcellona del 2003. Nel 2004, si qualifica in sei gare ai Trials di Atene conquistando sei medaglie d’oro e due bronzi. Da quel momento e nei successivi 16 anni, ha vinto 83 medaglie, di cui 66 di oro, 28 olimpiche, 33 iridate diventando, nel 2008 a Pechino, l’atleta con più ori in una sola edizione della storia dei Giochi Olimpici e il nuotatore più vincente di tutti i tempi.
IL LORO UNIVERSO DI PENSIERI
<<Suo figlio non è capace>>, aveva detto la sua insegnante rivolgendosi alla mamma. Debbie non le aveva dato peso e, continuando per la sua strada, aveva deciso che le capacità del figlio andavano ben oltre i commenti della gente.
Dopo il racconto di questa storia senz’altro commovente, la domanda da porci è:
“Chi può mai decidere dove inizia l’intelligenza di un bambino?”.
Ogni ragazzo ha dentro sé una storia e un modo tutto suo di raccontarla: c’è chi lo fa con i disegni, chi con parole dette troppo velocemente e chi con gesti inappropriati. È comunque un mondo che va protetto e, più di ogni altra cosa, ascoltato. È dunque un universo di pensieri che non vanno etichettati ma, al contrario, che vanno accolti.
Come?
Diventando semplicemente bambini, poi ragazzi, e poi adulti assieme a loro. Dunque crescere mano nella mano, e portarli più di ogni altra cosa a una consapevolezza: che nonostante la loro mente in disordine, non saranno mai soli.
Né in quel momento, né mai.
E ne usciranno, da queste storie in frantumi, altre bellissime storie da raccontare e che ci dimostreranno solamente questo:
“Niente è perduto e tutto si può recuperare”.
Stefania Meneghella